Natura vietata: l’editoriale di ottobre del direttore
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Le decisioni della Commissione europea sulle specie botaniche utilizzate negli integratori alimentari destano grande preoccupazione nel settore e tra gli esperti, poiché si va verso una crescente mole di divieti. L’editoriale del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree.
In un’epoca in cui la riscoperta del rapporto tra uomo e natura si fa sempre più urgente, le recenti decisioni dell’Unione europea in merito all’utilizzo dei principi attivi delle piante negli integratori alimentari potrebbero segnare una svolta decisiva, e potenzialmente dannosa, nel nostro accesso ai rimedi naturali.
La Commissione europea ha intenzione di procedere con la forte limitazione, o il divieto, dell’utilizzo di specie botaniche contenenti derivati idrossiantracenici (o antrachinoni), utilizzati per il benessere intestinale. Ha già adottato un regolamento che vieta l’utilizzo di aloe emodina, emodina e foglie di specie di aloe negli integratori alimentari e ha messo «sotto osservazione» derivati di cascara, frangola, senna e rabarbaro, annunciando una decisione definitiva entro il 2025.
Questa stretta normativa, basata su studi ritenuti da molti insufficienti e inadeguati, rischia di mettere al bando piante di uso comune, provocando reazioni accese da parte di esperti e produttori.
L’adozione di un approccio tanto restrittivo solleva numerosi interrogativi: si tratta di una misura necessaria per tutelare la salute pubblica o di una strategia per ridurre la scelta di prodotti e soluzioni naturali?
Il cuore del dibattito non riguarda solo la sicurezza di alcune molecole presenti nelle piante, ma il criterio stesso con cui queste vengono analizzate. L’isolamento di singoli composti e la loro valutazione decontestualizzata rispetto alle miscele complesse di cui fanno parte ignora millenni di utilizzo sinergico di queste sostanze. Le piante non sono mai state solo «contenitori» di singoli principi attivi, ma organismi complessi le cui componenti interagiscono tra loro in maniera integrata. E questo gioca un ruolo fondamentale nei loro effetti complessivi sul corpo umano.
Mentre Efsa e la Commissione europea sembrano proseguire sulla strada delle restrizioni, il mondo scientifico e produttivo risponde con studi che dimostrano la sicurezza di questi rimedi tradizionali. La domanda che sorge spontanea è: perché queste evidenze vengono ignorate?
Questa vicenda si inserisce in un più ampio quadro di crescente controllo sul mercato dei rimedi naturali, in cui rischiano di essere colpite anche altre specie botaniche di uso comune, come finocchio e curcuma. Se non vi sarà un cambio di rotta, nel 2025 potremmo trovarci di fronte a severe limitazioni nell’utilizzo delle piante negli integratori, sacrificando conoscenze millenarie sull’altare di un approccio miope e restrittivo.
È fondamentale che questa crisi diventi un’opportunità per aprire un dialogo trasparente tra mondo scientifico, istituzioni e cittadini, affinché si salvaguardi il diritto di scegliere approcci naturali per il nostro benessere.
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