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Paniè e Mori: «G7 Agricoltura, si conferma l’alleanza con l’agroindustria»

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«Il linguaggio del G7 Agricoltura? Non è differente da quello utilizzato anche dalle multinazionali: si menziona l’agroecologia, ma poi si punta sui nuovi OGM e sull’intelligenza artificiale, il tutto pienamente inquadrato nel sistema agroindustriale»: così Francesco Paniè e Stefano Mori del Centro Internazionale Crocevia.

Paniè e Mori: «G7 Agricoltura, si conferma l’alleanza con l’agroindustria»

Nei giorni scorsi si è concluso il summit dei ministri dell’agricoltura del G7, che, malgrado l’utilizzo di termini quali sostenibilità, sovranità alimentare e agroecologia, ha di fatto delineato una direzione che conferma l’alleanza con l’agroindustria. 

«Il linguaggio del G7 non è differente da quelli che vediamo utilizzare da alcuni paesi e dalle grandi multinazionali che dominano l’agroalimentare nei forum internazionali dove ci misuriamo insieme ai movimenti contadini» dicono Francesco Paniè e Stefano Mori del Centro Internazionale Crocevia e co-autori del libro-inchiesta “Perché fermare i nuovi OGM”. «Nel comunicato finale si menziona l’agroecologia, ma subito accanto compaiono i “nuovi metodi di breeding”, ovvero i nuovi OGM. Come se l’agroecologia fosse uno degli strumenti nella scatola degli attrezzi dei governi che vogliono “aggiustare” l’agricoltura alle prese con la crisi ecologica. Non è così, perché le due soluzioni sono mutualmente esclusive e non possono coesistere. L’approccio agroecologico per sua natura va ben oltre il set di pratiche sostenibili, perché è allo stesso tempo anche un movimento sociale che ha al suo cuore la sovranità alimentare e il superamento di questo modello di sviluppo. Biotecnologie e intelligenza artificiale, più volte menzionata nei documenti del G7 Agricoltura, appartengono invece pienamente al sistema basato sull’agricoltura industriale assistita dai soldi pubblici. Sono i mezzi per traghettarlo nella nuova era della cosiddetta “economia della conoscenza” e dei big data. Sistemi di calcolo previsionale basato sull’Intelligenza Artficiale, anche se  imprecisi e inaffidabili, ingegneria genetica e brevetti sulle forme e i cicli del vivente sono diventati le chiavi per fare ottimi affari».

Paniè e Mori sottolineano anche come la sovranità alimentare sia «un concetto coniato dai movimenti contadini internazionali all’inizio degli anni Novanta, sviluppata in una dettagliata dichiarazione al Forum di Roma della Società Civile del 1996, organizzato sotto la responsabilità di Crocevia. Di questo termine si è indebitamente appropriato il governo italiano nell’ultima legislatura. La definizione esatta è questa: “la sovranità alimentare è il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi ecologicamente sani e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli”. L’accento è dunque sull’autodeterminazione dei popoli e delle comunità, mentre il governo lo distorce fino a ribaltarlo in una “sovranità alimentare di Stato”, dove le organizzazioni dei contadini e dei consumatori non hanno alcun peso nelle decisioni. In questa visione antidemocratica della sovranità alimentare, rientrano infatti il tentativo di imporre i nuovi OGM, affossare il biologico, salvare gli allevamenti intensivi e tutte le altre misure realizzate sotto la dettatura di un ristretto gruppo di interessi». 

Per quanto riguarda l’apertura ai governi africani, secondo Paniè e Mori si tratta di «un tentativo del governo Meloni di ammantare di condivisione il cosiddetto Piano Mattei per l’Africa. In realtà è un piano di investimenti già deciso autonomamente e da tempo dalle realtà che plasmano la politica del paese, come Eni e Coldiretti, sul quale il governo tenta di mettere un cappello politico e fornire delle agevolazioni. Noi lo leggiamo come neocolonialismo in salsa italiana, che nulla ha a che fare con la cooperazione, ma intende solo aprire nuovi mercati nel Sud globale ai capitalisti di casa nostra. Dei problemi del Piano Mattei parleremo meglio il 17 ottobre in un evento in Parlamento, insieme ai movimenti sociali e alla società civile africana».

E i giovani, anch’essi menzionati al G7 Agricoltura? «I giovani sono come la pace nel mondo: un tema buono per tutte le stagioni e non controverso – proseguono Paniè e Mori – Il punto è: quali politiche sono in campo a oggi per stimolare il turnover generazionale nel settore agricolo? La risposta ce l’abbiamo nei dati ed è: nessuna. In tutta Europa si perdono aziende agricole, soprattutto in Italia. L’età media degli agricoltori aumenta e i giovani responsabili di aziende agricole sotto i 40 anni sono meno di 1 su 10. Finché l’accesso alla terra sarà negato a chi non ha risorse o parenti nel settore, finché le politiche agricole spingeranno all’acquisto di macchinari nuovi e costosi invece che al riuso e alla cooperazione, finché mancherà la formazione in agroecologia e incentivi all’ingresso in agricoltura, non ci sarà nei fatti alcuna sostanza nei comunicati del G7».

In conclusione, quella che emerge dal G7 «ci sembra una visione confusa e priva di visione strategica. Come sempre, si cerca di non nominare i veri problemi o di imputarli a fattori esterni, da contrastare con azioni figlie della stessa logica che li ha creati. Questi governi non parlano in nostro nome, né tantomeno in nome dei movimenti contadini con cui lavoriamo ogni giorno, che rappresentano alternative concrete ma costantemente ostacolate dalle politiche pubbliche». 

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PERCHÈ FERMARE I NUOVI OGM

Si prepara un’ondata di nuovi Ogm in Europa e in Italia, che potrebbe cambiare per sempre l’agricoltura e il cibo che mangiamo.
Finora gli obblighi di tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio secondo il principio di precauzione hanno evitato a Italia ed Europa l’invasione di coltivazioni figlie dell’ingegneria genetica e del cibo creato in laboratorio. 

Ora però la Commissione Europea vuole cancellare ogni vincolo per le cosiddette New Genomic Techniques (NGT), ribattezzate in Italia Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), compresa la possibilità per gli Stati di vietarle sul loro territorio.

In questo libro si intrecciano storia della biologia, inchiesta giornalistica e testimonianze dai movimenti, per raccontare gli enormi interessi e le relazioni pericolose tra multinazionali, politica e scienziati che rischiano di compromettere la vera transizione agroecologica, i diritti dei contadini sui semi e quelli dei consumatori a una scelta informata. 

IN DIFESA DEI CONTADINI

L’agricoltura che non è industriale non è facile, ma c’è, esiste e i contadini che la praticano sono ancora tanti e vogliono far sentire la loro voce. Ce lo spiega bene Antonio Onorati in questo libro, che ci fa capire: 

  • come le politiche agricole finiscano per favorire i grandi gruppi e le multinazionali, ma anche come sia possibile cambiare rotta 
  • come la pressione su brevetti e OGM rappresenti un enorme pericolo per la biodiversità e i piccoli coltivatori
  • come ci sia da fare un grande lavoro per ripensare le rappresentanze agricole
  • come sia sempre più necessaria e improcrastinabile una svolta agroecologica 

L’agricoltura contadina, e l’economia che le corrisponde, ha gli elementi necessari per garantire la produzione di cibo in armonia con la natura e non contro di essa.

I contadini, seppur ostacolati, continuano a costruire e a rappresentare l’alternativa concreta alle lobby del cibo-merce. 

Via Campesina: «10 settembre mobilitazione in difesa dei contadini»

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