Biometano: costi alti, impatto ambientale e poca resa
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In tutta Italia stanno proliferando impianti di biometano, grazie ai fondi del Pnrr da utilizzare entro giugno 2026, per un totale di 1,73 miliardi di euro. Ma hanno costi alti, elevato impatto ambientale e poca resa. E i cittadini protestano.
In tutta Italia stanno proliferando impianti di biometano, grazie ai fondi del Pnrr da utilizzare entro giugno 2026, per un totale di 1,73 miliardi di euro. Ma hanno costi alti, elevato impatto ambientale e poca resa.
Gli impianti vengono presentati come «sostenibili», funzionali alla transizione energetica e appartenenti alla «famiglia» delle energie rinnovabili, mentre invece molti esperti parlano di un processo che consuma energia, ha una bassa resa ed efficienza, ed emette gas climalteranti. Attualmente siamo al quarto posto al mondo dopo Germania, Cina e Stati Uniti, con circa 2200 impianti a biogas o biometano, di cui circa 1730 nel settore agricolo e circa 470 nel settore rifiuti e fanghi di depurazione (dati Consorzio italiano biogas, Cib).
Il processo produttivo
Ma vediamo come si ottiene il biometano, partendo dal biogas. Dalla digestione anaerobica di enormi quantità di deiezioni animali, rifiuti organici, residui colturali, coltivazioni dedicate, scarti agroindustriali o fanghi di depurazione si ottengono biogas e digestato. Il biogas è composto da metano, anidride carbonica e piccole percentuali di altri gas. Per avere il biometano si ricorre all’upgrading (raffinazione) del biogas.
La protesta in Italia
In tutta Italia sono nati e si stanno battendo numerosi comitati di cittadini che contestano l’installazione di questi impianti, appoggiati da scienziati ed esperti.
Ne parliamo sul numero di novembre della rivista Terra, dando voce agli esperti e ai tanti cittadini che stanno chiedendo il rispetto della salute e dell’ambiente.