Siliani (Banca Etica): «Riarmo europeo, ecco come verrà finanziato e chi pagherà»
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Un piano di riarmo europeo da 800 miliardi di euro: è quello che la presidente della Commissione Europea ha presentato, sollevando durissime critiche. Chi pagherà? Ce lo spiega Simone Siliani, di Fondazione Finanza Etica.
Un piano di riarmo europeo da 800 miliardi di euro: è quello che la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha presentato ponendosi come obiettivo di rinfoltire gli arsenali degli Stati membri. Piano che ha sollevato durissime critiche e obiezioni che però non sono state prese in considerazione; anche la stragrande maggioranza dei cittadini appare contraria a questa scelta, ma l’iter non si ferma.
La von der Leyen ha anche predisposto il piano di finanziamento che dovrà consentire di sostenere i costi previsti. E di questo parliamo con il diretto di Fondazione Finanza Etica Simone Siliani, che abbiamo intervistato.
Cosa prevede questo piano? Come verranno reperiti i fondi necessari, cioè quegli 800 miliardi che vi sono stati destinati?
«Il piano di Ursula von der Leyen, ribattezzato pudicamente e anche ipocritamente Joint White Paper for European Defense Readiness 2030, prevede 800 miliardi di euro per rafforzare la difesa militare dei 27 Paesi della Ue, non per una difesa comune, tanto meno per un esercito comune, che sono di là da venire. Cioè 800 miliardi di euro che graveranno tutti, in diverse forme, sulle finanze dei singoli Stati membri. Infatti, 650 miliardi verranno direttamente dai bilanci statali, mentre 150 miliardi saranno sì messi a disposizione dall’Ue ma nella forma di prestiti agli Stati che investono in armi. Tutti questi 800 miliardi graveranno sui bilanci degli Stati e si trasformeranno immediatamente in debito pubblico che peserà sulle generazioni future. Tanto è vero che la Ue ha fatto un’eccezione al Patto di Stabilità e Crescita europeo, mai fatta in precedenza per combattere i cambiamenti climatici (che sono un “nemico” effettivamente presente, non ipotetico, da noi stessi generato), o la disoccupazione, o le crisi sanitarie o l’abbandono scolastico di milioni di giovani europei: questi 650 miliardi saranno scorporati dal calcolo deficit/PIL (il famoso 3% intesa come soglia invalicabile dagli Stati). Tutto ciò utilizzando l’articolo 122 del Trattato di Funzionamento dell’Unione che permette al Consiglio Europeo, su proposta della Commissione, “qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo”, di “concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa”. Cioè sostanzialmente bypassando il Parlamento Europeo come se la Polonia o i Paesi Baltici avessero l’esercito russo ai confini pronto ad invaderli».
In quale misura ciò toccherà i risparmiatori? E con quali modalità?
«Certamente sembra da escludersi la possibilità che vi sia un prelievo forzoso dai conti correnti dei risparmiatori, come pure in un primo momento si era vociferato. Ma la fantasia nel campo finanziario sembra non avere limiti. E i meccanismi escogitati sono essenzialmente due. Il primo riguarda la possibilità di inserire nei fondi cosiddetti sostenibili, regolati dalla Tassonomia sulla Finanza Sostenibile, anche le imprese degli armamenti quotate sulle diverse Borse mondiali. Questo era già suggerito dal Piano “Draghi” sul futuro della Competitività europea e da quel documento stanno discendendo iniziative per rimuovere criteri di esclusione o vincoli per i fondi ex articoli 8 e 9 della Tassonomia europea. Con il risultato che i risparmiatori e gli investitori istituzionali crederanno o potranno dichiarare di investire in fondi sostenibili (o ESG) al cui interno però si troveranno le imprese degli armamenti di ogni parte del mondo. Tolte queste limitazioni i fondi avranno più prospettive di valorizzarsi (basti considerare che tutti i titoli borsistici a livello internazionale hanno registrato risultati molto positivi: complessivamente il 72,2% a fronte del 20,1% dell’indice azionario globale dall’inizio del 2022 ad ottobre 2024, gli anni della guerra in Ucraina). Questo significa che dei fondi sostenibili interesserà solo la loro performance finanziaria e non il loro impianto e impatto ESG (dove la S sta per social, e qualcuno ci dovrebbe spiegare quale sia l’impatto socialmente positivo delle armi)».
Diversi mezzi di informazione hanno lasciato titoli a effetto affermando che saranno i risparmiatori (anche italiani) a “finanziare” il riarmo. Cosa c’è di vero in questa affermazione?
«C’è molto di vero ed è la seconda delle modalità creative studiate per utilizzare gli oltre 10.000 miliardi dei risparmiatori europei depositati nelle banche. Infatti, la Direttiva dell’Unione dei Risparmi e degli Investimenti, che sarà approvata nei prossimi mesi, consente di utilizzare tali risparmi per finanziare le imprese degli armamenti europee attraverso il meccanismo delle cartolarizzazioni, che permette di trasformare un credito in un titolo finanziario. Ad esempio la banca che concede un mutuo, invece di attendere che questo venga restituito attraverso rate mensili in 10-15 anni, potrà trasformarli in titoli che può vendere, ovviamente a un valore inferiore a quello dato dalla sommatoria dei crediti che lo compongono, a delle società che comperano così dei fondi garantiti dalle rate dei risparmiatori e dunque esigibili. La banca in questo modo ha esternalizzato i rischi dei crediti e ha liberato quote di capitale che potranno essere utili per fare nuovi prestiti. Ma le stesse imprese acquirenti ne ricavano un beneficio perché, non essendo magari quotate in Borsa non potrebbero emettere azioni e obbligazioni da collocare sui mercati finanziari, ma con questi titoli acquistati dalle banche accedono di fatto e surrettiziamente ai capitali dei risparmiatori europei. Un complesso meccanismo di finanziarizzazione dell’economia, cioè di trasformazione di risparmio, di capitale (fattore principe dell’economia) in strumenti finanziari. Nello stesso modo in cui negli Stati Uniti nel 2008 si creò la bolla dei mutui subprime. Chi credete che rischierà maggiormente da questa operazione? Quindi, come dicevo, quello del prelievo forzoso sui conti correnti appare un obiettivo irrealistico. Soprattutto perché è scoperto e provoca immediatamente reazioni negative sia dei cittadini (e dunque crollo del consenso), sia dei mercati. È molto meglio e più creativo fare la stessa operazione in modo occulto, come quello sopra descritto, senza provocare le ire dei cittadini e ottenendo gli stessi effetti».
Come è possibile per il cittadino mettere in atto misure che scongiurino l’utilizzo del proprio denaro a questi fini?
«Bisogna che i cittadini imparino a fare scelte consapevoli con i propri soldi per difendersi e difenderli dalla tendenza predatoria di Governi e finanza. Prima di tutto scegliendo, se lo vogliono, istituti di credito o di gestione del risparmio che fondino la propria operatività su una chiara esclusione dell’industria bellica. Ve ne sono diverse di queste banche e Sgr in Italia e in Europa. Banca Etica è una di queste. E in Europa le troviamo all’interno della Federazione delle Banche Etiche e Alternative (Febea) e della Global Alliance for Banking on Values (Gabv). Ma prima occorre chiedere alla propria banca se ha una policy relativa agli armamenti e cosa questa dice. Oppure chiedere conto del perché, se del caso, quella banca risulta nell’elenco delle banche che finanziano il commercio delle armi secondo ciò che annualmente riporta la L.185/90. Non a caso il Governo ha predisposto una modifica di questa legge che cerca proprio di oscurare questo elemento di trasparenza. Fondazione Finanza Etica, che si oppone a questa operazione di occultamento, ha messo in campo un proprio sistema di misurazione e valutazione del grado di coinvolgimento delle maggiori banche italiane nel settore degli armamenti. Si chiama ZeroArmi (perché il mancato coinvolgimento nel settore corrisponde ad un valore zero) ed è scaricabile sul nostro sito. Lì si può vedere chiaramente quali banche sono coinvolte nel settore, quanto e come. Poi spetta a ciascun risparmiatore, ciascuna persona o investitore istituzionale fare le proprie consapevoli scelte.»
Cosa è bene sapere e cosa è bene chiedere alla propria banca?
«La prima cosa da chiedere, secca, è: “La vostra banca finanzia imprese che producono o esportano armi?”. Può darsi che la persona allo sportello non sappia (o non voglia?) rispondervi. Beh, allora chiedete a chi potersi rivolgere per avere una risposta chiara e inequivocabile. Chiedete anche se la banca ha una policy circa questo settore e se è pubblica. Poi, consultate ZeroArmi: lì avrete maggiori dettagli e un quadro d’insieme sulle maggiori banche italiane. Potete, se volete, seguire il corso “Dividendi di pace”, gratuito e online (su ValoriLab.it) che abbiamo realizzato proprio per dare risposte a chi si fa queste domande: “come faccio a sapere se i miei soldi in banca o gestiti finiscono a finanziare gli armamenti?”, “Se scopro di sì e non mi piace, come faccio ad uscirne?”, “Come faccio a gestire i miei soldi senza finanziare, magari inconsapevolmente, le imprese delle armi?”. Sono video brevi e semplici. Perché, contrariamente a quello che possiamo pensare, sono domande semplici e che possono risolversi in modo semplice».
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