“Una delle nostre sconnessioni è proprio quella di credere che la natura sia là fuori, mentre in realtà è proprio chi siamo. É il nostro pensiero ad essere disconnesso, non ciò che siamo, che è natura”.
Le parole di Ermanno, uno dei fondatori di Tempo di vivere, comunità stanziata sui colli piacentini, rendono perfettamente il grande equivoco della società moderna: la concezione dualistica che separa l’uomo dalla natura.
Negli ultimi anni tantissimo si è parlato di Antropocene, l’era dell’uomo la cui tecnologia ha impattato enormemente e in modo strutturale sulla Terra che lo ospita, al punto da generare cambiamenti climatici importanti. Alluvioni, terremoti, siccità estreme, frane, sono all’ordine del giorno su tutto il pianeta e per quanto in parte siano sempre esistite, oggi sappiamo bene che la portata di questi fenomeni è dovuta ad uno stile di vita non più sostenibile e a pratiche distruttive di cui tutti stiamo cominciando a pagare le conseguenze (Staid, 2022).
Vedere la natura come oggetto, in una concezione separata e duale che per altro non appartiene a tutti i popoli, è ciò che ha permesso agli uomini di razionalizzarla e quindi di sfruttarla. Abbiamo dimenticato che l’essere umano è natura, che non è separato da essa, e per poter migliorare le condizioni in cui oggi la società versa, è necessario rendersi conto di questo e costruire un’altra cosmovisione: un approccio ontologico meno antropocentrico e più consapevole dell’interconnessione profonda che ci lega agli altri esseri viventi.
Che gli ecovillaggi sorgano in luoghi il più possibile distanti da grossi centri abitati e immersi nella natura è cosa nota e non è un caso. Anche quando l’attenzione del progetto comunitario è maggiormente orientata alla relazione e alla persona, la natura assume comunque una centralità. Per chi vive in un ecovillaggio però, la natura non rappresenta solo una fonte di benessere ma qualcosa a cui egli è profondamente legato e connesso. “Tutto acquista un senso quando osservi questa bellezza – Luca indica la meravigliosa natura intorno al casale di Meraki – capisci che non sei nulla di diverso da tutto questo, che sei parte di un Tutto che ci circonda e in automatico comprendi che non c’è altro in fondo che ti serve e che se distruggi, rovini, fai del male alle piante, agli animali, non fai altro che fare del male a te stesso” (Luca, Progetto Meraki, Monzuno).
Le parole di Luca sono eloquenti nel descrivere l’approccio olistico che sottende la ricerca di un benessere che non può prescindere dalla cura del proprio habitat. Gli ecovillaggi non sono semplicemente comunità rurali, sono piuttosto luoghi in cui l’esperienza del vivere collettivo è intrecciata al lavoro di crescita personale e profondamente ispirata da una forte sensibilità ambientale. Gli ecovillaggisti non vedono una differenza tra loro e tutte le entità viventi, ma credono nell’affermazione “noi siamo la natura”.
Ciò che ho notato durante le mie ricerche è che i membri degli ecovillaggi hanno un approccio evolutivo universale, ovvero sostengono che comprendere di essere parte di un Tutto più grande, sia un’evoluzione della coscienza. La comprensione del fatto che ogni cosa animata e inanimata abbia una propria forma di coscienza, è la base di un nuovo fondamentale paradigma ontologico che nel vivere comunitario si intende perpetuare e diffondere. L’assunto è infatti che umani e non-umani siano fatti degli stessi elementi, fisici e spirituali, che sussistono, sotto forme diverse, nello stesso contesto e in relazione tra loro. Vi è la convinzione che esista una connessione spirituale tra tutte le cose e che rispettare il proprio intorno equivalga a rispettare se stessi.
Vivere circondati da montagne, in prossimità di un bosco o in aperta campagna, lavorare la terra quotidianamente secondo i principi della permacultura e ricavare i frutti dell’orto, non si tratta solo di una prossimità ritrovata con l’ambiente circostante, ma di un nuovo rapporto, più profondo e consapevole, con il proprio corpo, la propria sensorialità ed emotività (Brombin, 2017). Si tratta di un percorso di conoscenza, di riscoperta e di affermazione di sé, oltre che una fonte di benessere e soddisfazione personale. La natura viene infatti percepita come uno specchio attraverso cui è possibile approfondire la conoscenza di sé e degli altri esseri umani. Un processo, che potremmo definire di incorporazione al contempo materiale e simbolico, un percorso di comprensione che contribuisce a scoprire il proprio sé più profondo e intimo. Ho chiesto a Carlo, fondatore di Progetto Meraki, perché l’influenza sociale di chi vive in comunità non sarebbe la stessa vivendo in città, la sua risposta è stata chiara: “La prima cosa che mi viene in mente riguardo alla tua domanda è semplicemente la natura. Perché prima di tutto per poter dare il mio contributo alla società e agli altri devo stare bene io e sicuramente vivere nel bosco, nella natura, porta ad avere una salute migliore, sia perché respiro un’aria migliore, sia perché non c’è inquinamento acustico, sia perché bevo acqua di sorgente. Quindi se mi prendo cura di me a livello psicofisico, riesco a prendermi meglio cura anche degli altri. Qui nel bosco il ritmo è molto più lento. In città si corre, c’è un altro tipo di energia, poi certo ognuno si sceglie il proprio ambiente, ma in generale in città ti trovi a dormire in una casa con i muri di cemento dove ci sono un sacco di persone intorno, sei bombardato da un sacco di stimoli tutto il tempo che ti portano fuori da te stesso. Io da alcuni mesi dormo in una tenda nel bosco e sento i caprioli che di notte mi vengono a trovare, li ho incontrati già due o tre volte ed è stato bellissimo, ci sono le lucciole che illuminano il bosco, giro nudo e guardo il cielo stellato e limpido, la luna qui è enorme… Sai, sembrano cose semplici ma la qualità della vita cambia decisamente. Noi siamo natura e secondo me il vivere in natura fa bene non solo a noi che facciamo parte del progetto ma anche alle persone che ci vengono a trovare e che ritrovano qui questo contatto con la natura che in città hanno perso. Sembra una cosa banale, ma non lo è. Perché per queste persone, respirare aria sana, ascoltare gli uccellini al mattino invece che le macchine nel traffico, bere acqua di sorgente, è già cura” (Carlo, Progetto Meraki, Monzuno).
La natura quindi è molto di più che il luogo del benessere, rappresenta una fonte di riconnessione con sé stessi, uno spazio di libertà in cui sentirsi accolti e dove è possibile muoversi con minori condizionamenti sociali. Il concetto di abitare assume un significato diverso, la natura viene considerata come la propria dimora, l’abitare rappresenta qualcosa di molto più profondo rispetto al vivere ordinario in un appartamento o al radicarsi in una casa. Scegliere di vivere in collina o montagna, in luoghi isolati e lontani dalla città e immersi nella natura rappresenta un nuovo inizio, una rinascita, la resa concreta di un cambio di vita che si realizza nella coerenza e nell’equilibrio tra le necessità materiali e le profonde esigenze etico-esistenziali. La concezione uomo-natura di chi vive in ecovillaggio è il concretizzarsi dell’Ecosofia teorizzata da Guattari (1989) che vede l’ambiente non come qualcosa da sfruttare ma lo specchio del proprio essere. Gli ecovillaggi ci propongono oggi un nuova cosmovisione che se diffusa e integrata potrebbe cambiare le sorti del nostro pianeta.