Dietro alla nascita del progetto Orosia, negli anni ‘80, c’è la visione del mondo della Beat Generation, in rivolta contro una società opprimente in nome di un pacifismo libertario; in ricerca di relazionali più aperte, contaminata dalla spiritualità orientale.
Il gruppo di giovani Orosia, siamo negli anni ’80, in Valchiusella nel Canavese, va ad abitare in una casetta che si affaccia sui boschi della vallata. Con gli amici si formano i primi cerchi e i dialoghi sino a notte fonda sulla vita, come sognarla, come progettarla. Ancora oggi a Orosia si racconta del Baba (all’anagrafe Diego), come rappresentante della beat generation. Il Baba incontra il gruppo Orosia attraverso Mari. Mari durante gli anni dell’Università, per guadagnare qualche soldo, va a raccogliere la frutta come fanno molti studenti. Per risparmiare sul pernottamento i gruppi dei giovani “braccianti” si sistemano coi loro sacchi a pelo in casolari abbandonati. Lì nasce l’amicizia tra Mari e Baba, creature di pianeti diversi. Baba ha scelto il vagabondaggio nel mondo, tra periferie metropolitane e viaggi in solitaria per terre lontane. Si affeziona a Mari come a una sorella, forse nostalgia familiare, lui scappato adolescente da una famiglia molto complicata. Mari,20 anni, coltiva un amore platonico per il Baba (35 anni): lo vede come eroe di pace contro un mondo di guerra e sopraffazione. Lo chiama Baba, per la sua anima buona e dolce. Baba macina libri su libri, ma solo “sulla” e “della” Beat Generation, a cui si sente di appartenere e diffonderne la cultura (i suoi viaggi per l’America sono frequenti).
Tra un viaggio e l’altro fa soste nella casa Orosia e in quei periodi si organizzano incontri di reading in cui Baba legge scritti degli autori della Beat Generation, soprattutto dei suoi preferiti: Allen Ginsberg e Jack Kerouac. Intervalla la lettura alle sonate con la sua inseparabile armonica a bocca. Poi Baba riparte. Inutili domande, consigli o date future. Rimangono i suoi racconti su quella rivoluzione culturale della Beat Generation nata in America, nel dopoguerra: periodo fecondo, dopo le ferite e gli orrori della guerra, per correnti di pensiero antimilitariste e pacifiste. La sua origine è collegata alla Columbia University, e all’incontro di giovani studenti quali, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Lucien Carr, che si oppongono alla tradizione idealistica culturale dei professori e propongono una nuova “visione” del mondo.
La Beat Generation arriva anche in Italia attraverso le traduzioni di Fernanda Pivano a metà degli anni ’60. La parola “beat”, ha significato diverso: positivo, preso da “beatitudo”, quella dello spiritualismo zen o delle droghe più svariate, ma anche il significato di segno opposto come “sconfitto”. Il successo del libro di Kerouac, morto a soli 47 anni, On the road (Sulla strada) dà vita al movimento dei figli dei fiori, alle lotte contro la guerra del Vietnam, al movimento studentesco. Poeti e scrittori beat cercano rifugio contro la società considerata opprimente nei costumi e nelle imposizioni. Cercano libertà di espressione, spiritualità per la quale si ispirano a cattolicesimo, buddismo, taoismo. E’ una ricerca personale anche attraverso alcool, droghe e incontro sessuale libero. Baba ci tiene a dire che non è vandalismo né violenza. Cita Kerouac: “Sono bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo”.
Ma Baba incontra anche critiche aspre soprattutto da parte dei più politicizzati, tipo Sam di Orosia, che ritiene la sua una fuga da una lotta politica e sociale necessaria per migliorare il mondo. C’è comunque da evidenziare che le opere della Beat Generation portano a idee e musica nuova: le ballate di Bob Dylan, di Joan Baez, di Leonard Cohen. Aprono allo sviluppo delle teorie sulla liberazione sessuale, alla diffusione e conoscenza delle filosofie orientali, alle culture teatrali. Un giorno, Mari riceve una telefonata: hanno trovato Baba morto in un prato. Con sé un biglietto con la richiesta di essere cremato, e come riferimento l’indirizzo di Mari.
In un giorno di Autunno, a dargli l’ultimo saluto ci sono due o tre persone, e poi i giovani di Orosia. Aveva scelto il gruppo di Orosia come sua famiglia, o meglio, comunità intenzionale, anche se in quel suo modo così originale, libero, ma anche doloroso. Per molti anni dopo la sua morte, anziché i Reading, il gruppo di Orosia in Autunno organizza una serata in cerchio: chitarra, poesie e canzoni iniziando sempre con “Dio è morto” di Francesco Guccini. Che coincidenza.” Dio è morto” è un brano di Guccini del 1965 ed il testo è ispirato al poema di Ginsberg intitolato “L’urlo”. Nel testo hanno molte somiglianze, con una differenza. Nelle parole di Guccini c’è una speranza, assente in Ginsberg: “…Ma penso/ Che questa mia generazione è preparata/ A un mondo nuovo e a una speranza appena nata/ Ad un futuro che ha già in mano/ A una rivolta senza armi…”.
La controcultura degli ani 1960, arrivata anche in Italia, porta la consapevolezza della necessità di un cambiamento del mondo, della società, dell’uomo, che Rive trent’anni dopo raccoglierà e ne farà suo sogno e programma.