«Oggi, più che mai, dobbiamo riconoscere come l’agricoltura non sia un componente scorporato dalla società, un mero comparto produttivo da plasmare e gestire a nostro piacere. Il modo con cui produciamo il nostro cibo è l’espressione pratica del modo in cui pensiamo e interpretiamo il nostro pianeta, la nostra stessa esistenza – scrive Manlio Masucci nel suo libro “
Pesticide Nation. Guida di sopravvivenza alimentare” – Da mero elemento produttivo, l’agricoltura diviene visione del mondo, cura della terra e di tutte le forme viventi che la abitano. Diviene socialità, cultura, bellezza del paesaggio. La sapienza contadina rappresenta, da questo punto di vista, un patrimonio dell’umanità da recuperare, difendere e valorizzare. Un patrimonio su cui l’industria dell’agribusiness ha voluto mettere le mani. Appropriandosene, secondo la sua visione del mondo basata sui diritti di proprietà intellettuale. L’appropriazione delle forme di vita, attraverso i brevetti, riguarda, in primo luogo, proprio la sapienza contadina».
«Le grandi aziende, con il loro know how da laboratorio e i brevetti registrati, puntano ad ottenere il monopolio non solo del mercato ma anche della conoscenza – prosegue Masucci – Secondo questa visione, il contadino deve divenire un operaio, un ingranaggio di un complesso macchinario a filiera lunga, lunghissima, in cui ogni prodotto deve necessariamente perdere la sua valenza culturale e sociale per entrare nella grande catena di produzione e distribuzione globalizzata. La sapienza contadina, che evolve negli anni insieme all’ambiente in cui si sviluppa, viene improvvisamente imbrigliata, spesso anche con metodi violenti. La conoscenza delle colture, della biodiversità, dell’utilizzo dei concimi naturali e delle risorse idriche e della cura del suolo deve essere cancellata. Solo le grandi aziende del settore hanno il diritto a quella conoscenza che, una volta brevettata, può essere rivenduta sul mercato a carissimo prezzo. Il suolo diviene improvvisamente un contenitore vuoto da riempire a piacimento e i contadini vengono spinti, attraverso escamotage più o meno legali, a interrompere le pratiche millenarie di conservazione e scambio di sementi, per essere obbligati ad acquistare, annualmente, semi ibridi, OGM o Nbt, che arrivano sui campi con il loro kit di pesticidi, diserbanti, fertilizzanti».
«Il mantra dell’uniformità viene imposto come unico credo, perché è ciò che conviene all’industria, mentre la biodiversità, l’alleata storica dei contadini e di tutte le specie viventi, diviene improvvisamente un nemico da combattere – si legge ancora
nel libro di Masucci – E poco importa se i contadini non riescono a sopravvivere alla trappola di un meccanismo che li priva della propria identità, li chiude nella spirale del debito e li obbliga a lasciare le terre. Anzi, è questa la deriva auspicata dall’agribusiness che è pronto ad attivare meccanismi diland grabbing, accaparramento delle terre, da affidare a speculatori fondiari pronti a riprodurre, come una grande metastasi, il modello cancerogeno delle colture intensive».
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LETTURE CONSIGLIATE
L’ambiente in cui viviamo è soggetto a numerose forme di contaminazione causate dal modello agricolo industriale che si basa sull’uso di pesticidi chimici. Le malattie non trasmissibili legate a fattori ambientali e all’alimentazione sono un’emergenza globale.
La biodiversità, lo stesso ciclo della vita di cui facciamo parte, è sotto attacco. L’industria dell’agribusiness rappresenta uno Stato a sé stante, sovranazionale e indipendente, dai confini indefiniti e dalla pervasività diffusa. È una nazione tossica e aggressiva: la Pesticide Nation.
È possibile rifiutare il futuro distopico impostoci da un gruppo di multinazionali i cui introiti e la cui influenza politica eccedono quelli della maggioranza degli Stati nazionali?
Mettere a fuoco i confini della Pesticide Nation, identificare i suoi gerarchi, le sue strategie offensive e difensive, è il primo passo per riguadagnare il diritto a un ambiente incontaminato e a una sana alimentazione.
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La crisi ambientale, sociale ed economica che viviamo oggi ha un principale colpevole: l’attuale modello agroalimentare, che espone l’intero Pianeta ai pericoli di una nuova estinzione di massa, depredando le risorse naturali, come l’acqua e la fertilità dei suoli. In questo libro, Vandana Shiva e Andre Leu presentano i risultati delle ultime ricerche scientifiche, dimostrando che un altro modello agricolo non solo è possibile, ma anche necessario, per combattere la fame, frenare i cambiamenti climatici e arginare la devastazione del Pianeta.
La questione ha anche una valenza di ordine sociale e politico. L’agricoltura industriale, basata su monocolture, pesticidi e biotecnologie, rende sempre più dipendenti e indebitati gli agricoltori consegnando i saperi, i mezzi di produzione e gli stessi semi nelle mani di poche multinazionali, con una concentrazione di potere senza precedenti nella storia.
In un testo destinato a fare storia, gli autori smontano un modello produttivo a lungo celebrato come efficiente, ma che ad uno sguardo più attento si mostra del tutto incapace ad affrontare le sfide della crisi climatica, la fame nel Sud del mondo e la malnutrizione cronica nei paesi cosiddetti sviluppati. La soluzione è nelle pratiche agricole sostenibili supportate da nuove conoscenze agronomiche in grado di valorizzare la complessità del vivente, garantire cibo sano per tutti e una nuova democrazia per il futuro del Pianeta.