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Revisione del codice deontologico degli psicologi: il fronte del no pubblica il documento critico

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Dal 21 al 25 settembre si terrà il voto online per la categoria professionale degli psicologi per il referendum con cui il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi propone le revisione del codice deontologico. Un gruppo di psicologi ha stilato un documento per dire no alla revisione e ne spiega le ragioni.
Revisione del codice deontologico degli psicologi: il fronte del no pubblica il documento critico
«Abbiamo elaborato un documento di approfondimento sul tema, in cui riportiamo le nostre perplessità. In questo documento, di critica alla revisione del Codice, andiamo ad approfondire le modifiche per noi salienti apportate ai vari articoli, che ci portano a votare NO» si legge sul sito ” Il no che unisce” su cui il fronte critico ha pubblicato documenti e motivazione del voto contrario.
«Il 27 giugno 2023 è stato comunicato che il quesito referendario sarà uno e soltanto uno, cioè quello di accettare o rifiutare in blocco il nuovo Codice Deontologico. La richiesta di approvare o rifiutare in toto le modifiche rappresenta di per sé una limitazione alla libertà di espressione, che orienta la decisione verso una forzata approvazione – si legge nel documento che spiega le ragioni del no – Inoltre, l’attuale campagna informativa sulla revisione del Codice è apparsa poco strutturata e poco approfondita, facendo passare il messaggio che sono stati apportati cambiamenti minimi di adeguamento dei termini di legge e di rifinitura linguistica, mentre a nostro parere risultano esserci cambiamenti sostanziali che andrebbero meglio argomentati».
«All’interno della proposta del nuovo Codice Deontologico è stata inserita una premessa etica che si compone di 4 principi etici – prosegue il documento – Tale premessa non è sottoposta a referendum. Pertanto, un ristrettissimo numero di professionisti decide e potrà decidere in futuro il fondamento etico della professione di un’intera Comunità, in modo autocratico e senza alcuna consultazione con i colleghi iscritti. (…) Leggendo questa premessa, si osserva la genericità di diverse frasi e concetti, che si possono prestare a interpretazione, lasciando un potenziale ampio margine d’azione. Sembra che queste aggiunte/modifiche spingano per consentire un uso passepartout della norma: non si comprende quale sia la direzione intrapresa ma appare evidente che grazie a queste nuove introduzioni venga ampliato il margine interpretativo a svantaggio della chiarezza normativa, vulnerabilità che espone il Codice Deontologico a un uso inopportuno».
E ancora: «Dal momento che le parole scienza e scientifico ricorrono genericamente in più punti, mentre non compaiono nel vecchio e attualmente vigente Codice Deontologico, e considerando ora la professione di psicologo compresa tra le professioni sanitarie soggette a linee guida autorizzate dal Ministero, ci preme problematizzare ciò che viene considerato scienza nella pratica professionale (…). È sicuramente necessario preservare innanzitutto la correttezza metodologica (…). Riteniamo parimenti necessario tenere conto del fatto che nelle comunità scientifiche di qualunque disciplina, il confronto/contraddittorio tra metodologie, teorie e risultati, è necessario in misura proporzionale alla complessità dei sistemi oggetto di studio, al fine di garantire il progresso della conoscenza. Gli enti che si dovrebbero occupare di dirimere le controversie scientifiche dovrebbero essere super partes, svincolati da interessi politico-economici. Da qui, sarebbe inoltre necessario precisare in quale misura le loro opinioni sarebbero da ritenersi vincolanti per tutti i professionisti».
«Nel portare avanti una scienza fondata sull’etica, è necessario riconoscere quando il termine “scientifico” può venire pericolosamente inquinato dal trinomio farmaceutico/economico/politico – prosegue il documento – Gli psicologi hanno una grande responsabilità in merito al corretto rapporto tra scienza e etica, ma si ha l’impressione che le modifiche proposte per il nostro Codice allontanino da un approccio scientifico proprio perché lo affidano a linee guida, esautorando lo psicologo dall’obbligo di operare in “scienza e coscienza”. Non vorremmo pertanto avallare la scelta di sottostare a linee guida che scaricano il/la professionista dalle vere responsabilità etiche, oltre a limitarne l’autonomia».
Il gruppo di psicologi che ha sottoscritto il documento sostiene poi che la nuova formulazione rischi di limitare l’autonomia professionale, critica l’eliminazione «del riferimento diretto al rispetto dell’autodeterminazione delle persone» e lo stralcio della parte riguardante il rispetto del diritto alla riservatezza del paziente/cliente, così come si pone in maniera critica di fronte a quello che viene definito «l’invito all’obbedienza a indicazioni istituzionali».
In riferimento, poi, nello specifico a un articolo (22) della nuova versione del codice, nel documento si legge: «La modifica di questo articolo riporta un’aggiunta che abbiamo qui di seguito sottolineato: “La psicologa e lo psicologo adottano condotte non lesive per le persone di cui si occupano professionalmente, e nelle attività sanitarie si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali”. Viene introdotta la dicitura attività sanitarie, che si lega alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali, limitando così l’intervento del professionista che diviene il veicolo di contenuti preconfezionati non pensati sul singolo caso, con il rischio di ridurre sia la/il terapeuta che chi usufruisce dei suoi servizi a pezzi di una catena di montaggio, dove l’unicità del soggetto scompare in favore di processi uguali e replicabili per tutti». E ancora: «Non sappiamo quanto l’attenersi a tali linee guida, declinate in possibili e precisi protocolli, possa compromettere in futuro il valore della pluralità di approcci insita nella nostra disciplina, ricordando che in psicologia le differenze teoriche stanno alla base della sua storia», e «ci si chiede quanto determinate linee guida rischino di limitare e snaturare l’ampia dimensione della relazione terapeutica e di annullare la personalizzazione e l’arte della cura».
Per quanto riguarda la modifica dell’articolo 24 sul consenso informato, si legge nel documento: «Nella revisione di questo articolo si può cogliere, in più passaggi, una certa limitazione dell’autonomia sia del paziente/utente che del professionista e un tentativo di assimilazione della psicologia all’ambito medico per quanto riguarda determinati aspetti, annullando in questo modo le specificità della nostra disciplina. Viene introdotto il concetto di trattamento sanitario (al posto di rapporto/prestazione professionale riportato nell’art. 24 ancora vigente) in merito al tema del consenso informato. Da ciò discenderebbe che le prestazioni psicologiche sanitarie continuerebbero ad essere soggette a consenso informato mentre per le altre prestazioni psicologiche non sarebbe più necessario. Resta in sospeso un chiarimento ufficiale su quali prestazioni professionali psicologiche siano da considerarsi “trattamento sanitario” e quali no, così come chi deve e può tracciare questa linea. In rete sono comparsi alcuni video e documenti in cui autorevoli colleghi, anche autori di questa revisione, sostengono che la nuova definizione trattamenti sanitari alleggerirebbe lo psicologo da incombenze che vi erano finora. Ciò significa che, per esempio, riguardo ai minori, nel caso di un intervento a scuola, non sarebbe necessario il consenso da parte dei genitori o tutori. Riteniamo questa modifica potenzialmente pericolosa, in quanto apre la strada alla possibilità, per lo psicologo, di approfondire tematiche e impartire insegnamenti, non dando modo ai genitori di esprimere il consenso e riducendo potenzialmente il loro coinvolgimento. Inoltre, l’assenza di consenso informato varrebbe per tutti gli ambiti non sanitari in cui lo psicologo opera. Ne consegue una grave limitazione dell’autodeterminazione delle persone e della loro possibilità di scelta».
Tra i numerosi punti del nuovo codice oggetto di critica nel documento del gruppo “Il no che unisce”, c’è anche quello riguardante l’articolo relativo ai giudizi sull’operato dei colleghi: «Nella nuova formulazione dell’articolo, viene introdotto un termine che aumenta il livello di controllo all’interno della comunità professionale: tra i motivi di segnalazione, oltre alla scorretta condotta professionale, si aggiunge quella “metodologica”. Ci si chiede, quindi, se un collega potrà segnalarne un altro non solo per azioni indecorose o lesive, ma anche per aver utilizzato approcci metodologici sgraditi alla “comunità scientifico-professionale” ovvero alle scuole di pensiero prevalenti al momento. Insieme al generale orientamento del nuovo Codice, nel quale sembra restringersi l’autonomia del professionista, questa integrazione appare un’ulteriore estensione dei vincoli a cui il professionista si deve attenere per poter esercitare».
In conclusione del documento, si legge: «Si desidera esplicitare la necessità di un Codice Deontologico privo delle zone d’ombra menzionate, che si presenti con una maggiore chiarezza espositiva e che tuteli:
● l’autonomia, l’autodeterminazione e la riservatezza del paziente/cliente e dello psicologo/psicoterapeuta;
● l’imprescindibile valenza della responsabilità genitoriale sui figli minorenni;
● la libertà di cura da parte del professionista, non obbligato a sottostare a linee guida che non compaiono nelle fondamenta di molti approcci di psicoterapia;
● la segretezza e la libertà di scelta del professionista in merito ai trattamenti sanitari a cui si sottopone».

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