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Transition Towns, idee e strumenti per mettere in pratica la transizione

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Il termine “transizione” è ormai usatissimo, ma l’idea di cambiamento che sottende incontra ancora molte resistenze. Il movimento delle Transition Towns lavora da anni per individuare strumenti per mettere in pratica i cambiamenti.
Transition Towns, idee e strumenti per mettere in pratica la transizione
Oggi di transizione si sente parlare spesso, come una necessità per individuare e portare nel concreto un modo di vivere, di produrre e di intendere la società che garantisca rispetto per le relazioni, l’ambiente e gli individui.
In Italia esiste da diversi anni il movimento delle Transition Towns e nel tempo ha concentrato sempre più gli sforzi nel cercare strumenti e soluzioni che vadano proprio nella direzione di portare la transizione nella realtà quotidiana di tutti noi.
Ne parliamo con il portavoce del movimento, Cristiano Bottone.
Cristiano, come si è trasformata la vostra rete da quando siete partiti a oggi?
«In Italia abbiamo cominciato a sperimentare le idee del movimento delle Transition Towns nel 2008. Nei primi anni abbiamo seguito il modello sperimentale iniziale, quello che prevedeva la nascita di iniziative di transizione in tante diverse città e siamo arrivati ad avere una trentina di esperimenti in località del nord e centro Italia. A quel punto però è stato evidente che questa strategia aveva grandi limiti. In primo luogo, proprio mentre noi profetizzavamo profondi cambiamenti economici ed ecologici, questi cambiamenti stavano diventando palesi. Nel 2008 il nostro modello economico ha subìto un tracollo repentino dal quale, come si può osservare, non si riesce più a riprendersi. In secondo luogo, gli impatti del cambiamento climatico e la crisi dei sistemi della biosfera hanno cominciato a diventare osservabili anche a una platea ampia di non specialisti. Terzo elemento fondamentale, noi avevamo avuto l’esperienza di Monteveglio Città di Transizione, dove avevamo potuto fare una vera e propria partnership strategica con l’amministrazione comunale fin dal primo giorno di lavoro, unico esempio di questo tipo nel mondo. Questo ci aveva tolto dalla tradizionale posizione dell’attivismo, quella di una forza esterna che, per quanto efficace e benvoluta, difficilmente può accedere al “pannello di controllo del potere” per proiettarci a un livello di consapevolezza molto più profondo. Avevamo scoperto quanto limitate siano in realtà le possibilità di incidere di un Comune e quanti fossero gli ostacoli legislativi, amministrativi, burocratici, tecnologici che si frappongono tra le buone intenzioni e la possibilità di fare davvero cose utili per il bene comune. Abbiamo quindi abbandonato l’idea di formare gruppi in giro per l’Italia perché se non adeguatamente attrezzati sarebbero stati destinati a fallire o a risultare ininfluenti. Ci siamo invece concentrati per trovare strumenti operativi efficaci in grado di risolvere i tantissimi problemi che l’idea di transizione incontra quando la si vuole mettere in pratica nel mondo reale».
Come dunque mettere in pratica la transizione nel mondo reale?
«Rob Hopkins aveva sintetizzato questa idea in modo efficace e sensato: agire usando testa, cuore e mani. La testa rappresenta la volontà di collegarsi allo stato reale delle cose attraverso il metodo scientifico, evitando quindi di inseguire posizioni ideologiche, di schieramento, di fantasia, ecc. Il cuore rappresenta l’impegno a considerare con grande attenzione le conseguenze psicologico-emozionali che una vera connessione con la realtà comporta. Tanto per capirci, se comprendo realmente le conseguenze del surriscaldamento globale non posso non provare angoscia, paura, rabbia ecc. e queste emozioni devono trovare uno spazio interiore ed esteriore per essere processate. Infine, le mani; se i primi due ambiti, quello cognitivo (testa) ed emozionale (cuore) sono stati processati correttamente, quando si passa al “fare” le probabilità di fare cose utili e sensate aumentano notevolmente. Negli ultimi anni il nostro tema di ricerca è stato quindi questo: possiamo trasformare questa formula in un processo praticabile nella realtà di ogni giorno delle nostre comunità, conservandone le caratteristiche e includendo i livelli amministrativo istituzionali? La risposta a oggi è: ci sembra di sì. Grazie a tante collaborazioni nazionali e internazionali, includendo quelle di molti sistemi istituzionali, ci sembra di essere oggi riusciti a distillare una metodologia piuttosto completa, efficace e adatta ad essere applicata nel mondo reale nelle attività quotidiane di una comunità». 
In cosa consiste questa metodologia?
«Attualmente è denominata “Local Transformation Toolkit” ed è stata sperimentata attraverso un progetto di 4 anni chiamato “Municipalities in Transition” che ha visto applicazioni pilota in Italia (Valsamoggia, Roma V Municipio, Santorso), Spagna, Ungheria, Portogallo e Brasile. Si tratta di dotare la comunità di tutto ciò che serve a formare un centro permanente di sviluppo, coordinamento e valutazione delle attività di transizione che possa operare e prendere decisioni al di fuori dei normali processi di competizione politica e pressione di mercato, focalizzandosi completamente sul senso delle azioni da intraprendere. Questa strategia è fortemente ispirata a esperienze esterne al mondo della transizione molto positive e pragmatiche come ad esempio quella della città di Växjö in Svezia. Ciò che è nuovo è la dotazione di strumenti di processo che vengono forniti a questo centro di coordinamento, come ad esempio una governance basata sulla sociocrazia 3.0 che permette di arrivare a decisioni che non è possibile raggiungere in una logica di “tradizionale” competizione tra maggioranza e minoranza. Lo scopo è quello di amplificare il potenziale di impatto rispetto a quello che un gruppo di cittadini ben intenzionati può ottenere, coinvolgendo una porzione molto più grande e significativa della comunità e interagendo anche sul piano normativo. I prossimi anni ci diranno se e quanto potrà fare la differenza». 
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