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La cooperativa Terra di Resilienza entra nella mappa dell’agroecologia in Europa

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“Le commari e i compari” di Terra di Resilienza, cooperativa della rete CGM e socia del Consorzio La Rada, in provincia di Salerno, sono stati inseriti nella mappa sull’Agroecologia in Europa tra i 20 esempi italiani per l’innovazione sociale e le pratiche agroecologiche messe in campo. Lo annuncia in una nota il consorzio Cgm.
La cooperativa Terra di Resilienza entra nella mappa dell’agroecologia in Europa
Sono stati inseriti «nella mappa sull’Agroecologia in Europa tra i 20 esempi italiani per l’innovazione sociale e le pratiche agroecologiche messe in campo. Sono “le commari e i compari” di Terra di Resilienza, cooperativa della rete CGM e socia del Consorzio La Rada, con sede a Caselle in Pittari in provincia di Salerno. Da anni questa realtà si dedica all’innovazione sociale mettendo al centro la riscoperta delle tradizioni rurali»: lo annuncia in una nota il consorzio Cgm.
L’associazione si occupa di agricoltura sociale, turismo esperienziale e sviluppo dell’innovazione sociale, «e ha come principale obiettivo il recupero delle tradizioni agricole tipiche del Cilento». “Siamo tornati a mangiare il nostro pane”, spiega Antonio Pellegrino, co-fondatore della Cooperativa. “Abbiamo lavorato molto per recuperare grani indigeni a rischio di scomparsa, affidandoli a coltivatori locali che li lavorano in modo autonomo, attivando percorsi di agricoltura consapevole e responsabile. In un mondo in cui l’agricoltura intensiva, l’industrializzazione e l’urbanizzazione portano all’abbandono di migliaia di ettari agricoli, noi vogliamo continuare a proteggerla e tutelare i luoghi dove nascono le nostre origini e i nostri valori”.
«Tutto nasce dal Palio del Grano, che da 15 anni nel mese di luglio, coinvolge le comunità della zona in una gara in cui 120 partecipanti divisi negli otto rioni di Caselle in Pittari, e gemellati con altre comunità della zona, si sfidano nella mietitura con i falcetti – prosegue la nota – Dall’esperienza del Palio è nata la Biblioteca del Grano, un campo sperimentale che ogni anno cambia forma (quest’anno ha quella di un labirinto) in cui la cooperativa coltiva e studia fino a 100 diverse varietà di grano, locali e provenienti da altri territori. Oltre alla Biblioteca, c’è il Mulino a pietra in cui la cooperativa produce, con il metodo della macinazione a pietra, farine di alta qualità in grado di preservare le qualità organolettiche del grano».
Grazie al Palio ci siamo riconnessi col passato, ci siamo inseriti in un discorso, non con nostalgia ma con lo sguardo fisso alla contemporaneità. L’esperienza che abbiamo ottenuto grazie a questi progetti ci hanno permesso di creare metodi di lavoro moderni, in cui la qualità diventa l’elemento caratteristico”, prosegue Antonio.
«All’interno di questi progetti, c’è il sistema Monte Frumentario, un sistema mutualistico di produzione e relazione che si praticava già nell’800 e che viene riproposto. La cooperativa affida i semi a circa 20 contadini che li coltivano, senza l’utilizzo di sostanze chimiche, su campi che si estendono in totale per circa 30 ettari. Al termine del raccolto, la cooperativa compra da questi contadini fino al 70% del grano, la restante parte rimane a loro che possono così “mangiarsi il proprio pane”. Ecco che, in questo sistema, “i contadini tornano ad essere protagonisti, ritrovano la loro capacità critica”. I circa 600/700 quintali di grano che ogni anno la cooperativa con questo sistema raccoglie vengono poi trasformati in farine di grano tenero, duro e farro vendute a ristoratori e commercianti della zona. Tra qualche settimana, la cooperativa, aprirà un biscottificio denominato “Stelle Fragranti”, realizzato in un mulino ristrutturato nella vicina Montecorvino Novella, in cui sarà possibile trasformare le farine in biscotti e in cui sviluppare percorsi di inserimento lavorativo per persone che vivono situazione di disagio psicologico».
Riaprire un mulino in un Paese di 1900 abitanti nel Mezzogiorno, in territori rurali ai margini dello sviluppo economico, è una sfida estrema”, conclude Antonio. “Perché lo facciamo? Perché siamo noi il grano. Letteralmente. Non in senso bucolico, quello proprio non ci interessa, ma in senso vero. Abbiamo recuperato saperi importanti che sarebbero stati destinati all’oblio e li abbiamo riportati nella modernità senza idealizzarli o per puro marketing. Mangiare il nostro pane significa seminare e coltivare il cibo che troveremo sulle nostre tavole. Significa soprattutto proteggere il territorio, attraverso l’aiuto di persone che credono nell’importanza di ciò che ci circonda”.
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