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Greenpeace: «Crisi climatica, i mari italiani si riscaldano»

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I mari italiani registrano fino a 2°C in più: anche il Mediterraneo soffre gli impatti della crisi climatica. Lo afferma Greenpeace citando il terzo rapporto del progetto Mare Caldo che conferma un aumento generalizzato delle temperature con conseguenze evidenti sulla flora e la fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi.
Greenpeace: «Crisi climatica, i mari italiani si riscaldano»
«L’aumento delle temperature sta causando drammatici cambiamenti nella biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo», dichiara Monica Montefalcone, ricercatrice del Seascape Ecology Lab del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università di Genova.
«Quanto affermato dalla ricercatrice emerge dal  terzo rapporto del progetto Mare caldo che conferma un aumento generalizzato delle temperature con conseguenze evidenti sulla flora e la fauna del Mediterraneo e un’intensificazione degli eventi climatici estremi – spiega Greenpeace – Il progetto Mare caldo, che abbiamo avviato nel 2019 insieme al DISTAV dell’Università di Genova, studia l’impatto dei cambiamenti climatici lungo le nostre coste e monitora, grazie ad una rete che oggi conta ben 13 aree marine protette (AMP) italiane, cosa sta succedendo sotto la superficie del mare. Negli ultimi tre anni abbiamo analizzato oltre un milione di dati di temperatura in nove aree di studio, dove sono stati osservati diversi periodi particolarmente caldi. Le analisi dei dati relativi ai monitoraggi biologici, condotti in sette aree di studio, hanno evidenziato inoltre vari segnali riconducibili agli effetti del riscaldamento globale e cambiamenti, con ogni probabilità irreversibili, in tutte le comunità di scogliera indagate».

Un mare più caldo e pericoloso

«Nei mesi tra giugno e settembre 2022, i soli sensori posizionati all’Isola d’Elba e nell’area marina protetta di Portofino, le due aree per le quali si dispone di tre anni di dati, sul versante settentrionale dell’Isola d’Elba hanno registrato anomalie termiche fino a 2°C in più a 10-15 m di profondità rispetto alle medie mensili degli anni precedenti – prosegue l’associazione – Ma gli effetti della crisi climatica e delle anomalie termiche sono evidenti in tutte le aree di monitoraggio, indipendentemente dalla localizzazione geografica o dal livello di conservazione dei siti. Il nostro mare sta pagando un prezzo elevato: diventa sempre più povero ma anche sempre più pericoloso, perché il calore che si accumula in mare contribuisce ad alimentare fenomeni climatici sempre più estremi».

Tutte le aree marine protette hanno specie a rischio

«In tutte le aree monitorate abbiamo osservato segni di sbiancamento e necrosi in varie specie come le gorgonie, la madrepora Cladocora caespitosa e le alghe corallinacee incrostanti, attribuibili al riscaldamento delle acque – scrive ancora Greenpeace – l’area marina protetta di Capo Carbonara e l’Isola d’Elba sono le aree dove si sono osservati i maggiori impatti sulle gorgonie. A Capo Carbonara, in particolare, il 50% delle colonie di gorgonie rosse hanno mostrato segni di necrosi. All’Isola d’Elba è inoltre aumentata la frequenza di mortalità della madrepora Cladocora caespitosa. Infine, nelle aree marine protette di Capo Carbonara e Torre Guaceto i segni di sbancamento delle alghe corallinacee incrostanti hanno raggiunto rispettivamente percentuali preoccupanti del 65% e del 45%.  Sul versante Adriatico, nell’area marina protetta di Miramare, a Trieste, sono stati registrati eventi di moria di massa del mollusco bivalve Pinna nobilis, che ha coinvolto tutte le popolazioni mediterranee di questa specie a partire dal 2018. Nelle aree marine protette più meridionali è stato registrato il maggior numero di specie termofile (adattate ad acque calde), il cui potenziale aumento, unito alla diffusione di specie aliene, potrebbe portare a un impoverimento delle comunità autoctone».

Rete di aree marine protette

«Solo attraverso la mitigazione e la corretta gestione delle attività umane(pesca, turismo, urbanizzazione, sviluppo costiero, ecc.) possiamo mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici sui nostri mari. L’istituzione di aree marine protette è sicuramente tra le strategie migliori per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini.  Questi interventi devono essere inoltre accompagnati da politiche climatiche ed energetiche in grado di abbattere velocemente le emissioni di gas serra» dice Greenpeace, che ha lanciato una petizione per chiedere di istituire una rete di aree marine protette che coprano almeno il 30% dei nostri mari entro il 2030. 
Foto: Lorenzo Moscia / Greenpeace
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