«Ogni tecnologia andrebbe sempre valutata attentamente per capire se è compatibile con la nostra idea di democrazia. Questo, però, di solito non avviene»: così Gabriele Bindi, giornalista di Terra Nuova, nell’intervento pubblicato sul numero di maggio della rivista nella rubrica “Spunti di vista”. Lo condividiamo anche con tutti coloro che ci seguono sul web.
«Ogni tecnologia andrebbe sempre valutata attentamente per capire se è compatibile con la nostra idea di democrazia. Questo, però, di solito non avviene»: così Gabriele Bindi, giornalista di terra Nuova, nell’intervento pubblicato sul numero di maggio della rivista nella rubrica “Spunti di vista”. Lo condividiamo anche con tutti coloro che ci seguono sul web.
«Anzi, sembra che avvenga esattamente il contrario. Ogni ambito della nostra vita viene sistematicamente governato dalla tecnologia e spinto verso l’innovazione digitale. I giganti dell’informatica si sono impossessati della nostra vita e siamo stati noi a dargli gratuitamente le chiavi di accesso: i nostri gusti, i nostri dati sensibili, idee e sentimenti.
Alla fine degli anni ’90 si parlava di digital divide: c’erano le classi più ricche che avevano accesso alla tecnologia informatica e le classi più povere che ne restavano escluse. Oggi, in piena era digitale, siamo nella situazione opposta: i privilegiati sono coloro che del digitale possono fare a meno. Il mondo cosiddetto analogico, quello fatto di relazioni, di persone in carne e ossa, viaggi d’avventura, ma anche dei negozi di antiquariato e dei vecchi dischi in vinile, sembra essere rimasto un privilegio per pochi. Bisogna sorprendersi se i signori della Silicon Valley mandano i loro figli nelle migliori scuole «analogiche»? I loro bambini crescono lontani dai mezzi informatici, usano lavagne con i gessetti colorati, fanno attività manuali. Ai bambini più poveri basta mettere in mano uno smartphone e il gioco è fatto.
Nella fruizione dei servizi si sta allargando la forbice tra chi può avere accesso all’analogico e chi invece al digitale viene costretto, perché non può permettersi altre alternative. Si cancellano i negozi di quartiere, gli uffici postali, gli sportelli informativi. Per molti di noi diventa diffcile poter fare a meno di uno Spid o una carta di credito. E diverse occupazioni vengono rimpiazzate dalle macchine. Le automobili potranno presto avere la guida autonoma e gli ospedali potranno offrire robot per fare diagnosi, trattamenti e operazioni chirurgiche. Probabilmente anche lo Stato sarà presto governato dall’intelligenza artificiale e magari gestirà il potere in modo più equo ed efficiente. Ma l’intelligenza artificiale non cancellerà del tutto i rapporti umani, la creatività, la nostra bellezza e i nostri errori. Così come non scompariranno del tutto i tassisti, i chirurghi, gli addetti al servizio pubblico, i venditori di dischi… diventeranno semplicemente più cari delle macchine!
Pensate che fregatura: cediamo la metà del nostro guadagno alle casse dello Stato e rischiamo di venire rimpiazzati dalle macchine. Ma allora perché non tassare di più le macchine e sgravare le persone dalle imposte? Perché non dare un prezzo ai nostri dati? Il digitale potrà cambiare le nostre vite, ma non dobbiamo permettergli di impossessarsene. La felicità, dopotutto, rimane ancora analogica».
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