«Pare vada di moda il ghiaccio come crema di bellezza, avete sentito?! Sembra che sempre più persone si avvicinino a cruente pratiche di ringiovanimento molto innovative, per cui ci si immerge in una vasca piena di cubi di ghiaccio oppure si entra in una stanzetta che accoglie con una temperatura intorno ai novanta gradi sotto lo zero; ci si entra per qualche minuto, giusto il tempo di far diventare la pelle viola, di gridare «Aiuto!», per farsi aprire la porta blindata, rivestirsi come se fosse la cosa più bella e rinfrancante da fare nella vita e uscire a pagare ottanta euro, con la mano paralizzata che non riesce a tenere in mano il bancomat ma tanto ormai, le carte funzionano senza bisogno di contatto, non si può sfuggire alla mancata transazione nemmeno da ibernati.
Tutti sanno che l’esposizione intelligente e contenuta al freddo fa bene a un sacco di cose, al metabolismo e al sistema immunitario, ma pagare per sottoporsi allo strazio dell’assideramento è degno soltanto di questa epoca assurda, in cui ascoltiamo musica sudamericana che, fino a poco tempo fa, era confinata nelle carceri in cui viviamo per lavorare e spendere, in cui pensiamo che i nostri connotati possano davvero migliorare. Non pensavo si potesse mai arrivare a queste nuove forme di punizioni autoinflitte destinate non più a purificare l’anima ma a tonificare il muso; non pensavo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei potuto provare le stesse sensazioni degli alpinisti da record, senza sentirmi un eroe ma una scema di livello.
Forse sto semplicemente rimanendo indietro ma non riesco ad abituarmi all’idea che per essere carina sia necessario che io prenda contatto con un centro benessere di altissimo livello per prenotare i miei quindici minuti nuda in un frigorifero; inoltre, i risultati in giro non mi sembrano rincuoranti. Quando cerco di immedesimarmi in chi prende sul serio questi pacchetti di bellezza, penso sempre: “E se dovessi morire là dentro e la gente venisse a sapere che sono schiattata mentre sfidavo la vecchiaia immersa in una piscina di ghiaccio, in mutande?! Cosa penserebbe di me?!”. Ma è chiaro che chi fa cose del genere se ne sbatte del pensiero altrui e io lo invidio perché forse è proprio questo atteggiamento che fa davvero bene alla pelle: quella sensazione di immensa leggerezza nei confronti degli astanti e delle proprie azioni, provocata dallo sconfinato lago ghiacciato del vuoto cognitivo».
Arianna Porcelli Safonov, nata a Roma e laureata in Storia del costume, ha scritto due libri umoristici, Fottuta Campagna e Storie di matti (Fazi Editore), ed è performer di monologhi di satira e critica al costume sociale. Dal 2018, collabora con l’Università di Pavia, con una docenza legata alle tecniche di improvvisazione applicate agli ambiti manageriali.
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