«Al recente via libera di Bruxelles per la vendita di prodotti a base di insetti nell’Unione europea, è seguito un acceso dibattito pubblico. Curiosamente, non mancano i sostenitori di questa nuova frontiera dell’industria alimentare anche tra gli ambientalisti. Chi avanza dei dubbi viene tacciato di ipocrisia: ma come, ora che finalmente è stata trovata un’alternativa sostenibile agli attuali allevamenti intensivi, storcete il naso perché vi disgusta l’idea di mangiare un grillo?
Ora: al di là dei numerosi problemi legati alla biosicurezza, alle reazioni allergiche, alle contaminazioni, alla trasparenza in etichetta, alle bolle finanziarie e così via, tutti aspetti che approfondiremo su questo numero nella loro complessità, c’è una questione di fondo che alcuni sembrano voler ignorare: per vivere una vita sana e condurre la nostra esperienza su questo Pianeta, abbiamo davvero bisogno di massacrare ogni anno miliardi di esseri viventi?
Oggi l’industria della carne ha già raggiunto numeri spaventosi: nel mondo vengono uccisi, pensate, mezzo miliardo di animali ogni giorno; 19 milioni di animali ogni ora; oltre 300 mila animali ogni minuto; oltre 5 mila animali al secondo. Eppure, invece di pensare di ridurre drasticamente il consumo di carne, la «soluzione» proposta è quella di cambiare la classe di animali soggetta al massacro. Per sostituire l’attuale industria della carne ci sarebbe bisogno di centinaia se non migliaia di miliardi di mosche, vermi e grilli, tutti stipati in grandi capannoni termoregolati e poi sottoposti a uccisioni di massa. Ovviamente sempre lontano dai nostri occhi sensibili.
È come se proprio non riuscissimo a liberarci da un paradigma di fondo che ci porta a condurre indicibili atrocità collettive, per di più nel nome del progresso. Eppure, nella storia non manca chi aveva ben compreso questa problematica. «Voi, uomini d’oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza?» scriveva Plutarco già nel II Secolo d.C. nel suo Del mangiare carne (De esu carnium). «Perché calunniate la Terra, come se non fosse in grado di nutrirvi? Non vi vergognate di mischiare i frutti coltivati al sangue delle uccisioni? Dite che sono selvatici i serpenti, le pantere e i leoni, mentre voi stessi uccidete altre vite, senza cedere affatto a tali animali quanto a crudeltà. Ma per loro il sangue è un cibo vitale, invece per voi è semplicemente una delizia del gusto».
Questa mentalità purtroppo finisce col ritorcersi pesantemente contro di noi, perché è lo stesso schema di pensiero che ci porta a dichiarare guerra agli insetti anche negli stessi campi che coltiviamo per il nostro sostentamento, irrorandoli di veleni che finiscono nei piatti dove mangiamo.
La soluzione è davanti a tutti: ridurre o eliminare del tutto il consumo di carne. Solo che questo richiede lo sforzo di rompere le nostre abitudini, quelle sì, le più dure a morire: basta vedere come viene ancora schernito e deriso chi sceglie una dieta vegetariana o vegana (si parla di food-shaming)… anche in ambienti non sospetti.
Ora che l’insostenibilità degli allevamenti intensivi è diventata sempre più evidente, l’industria alimentare gioca l’ennesima cinica carta e rilancia un sostanziale status quo travestito da novità salvifica. D’altro canto noi abbiamo ancora la possibilità di rispondere con un cortese, ma fermo: «No, grazie». Chi lo farà?».
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