“I libri per bambini mai nati”: la rubrica satirica di Arianna Porcelli Safonov
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Secondo me accade perché all’editoria piace soffrire da sempre e proporre due tipi di libri: best-seller che lo diventano perché in copertina ci sono i personaggi televisivi e, appunto, libri per bambini. Entrambe le pubblicazioni sono rivolte a un pubblico di lettori che ancora non sa leggere bene ed entrambe sono sfide destinate a fallire perché in Italia, lo sanno tutti, riproduzione e televisione sono in piena agonia.
Però agli editori piace andare alle fiere a lamentarsi che la gente non legge più oppure a sbraitare quando qualcuno presenta loro dei racconti, dicendo: «I racconti non vendono!».
Lo continuano a dire da sessant’anni ma, nel frattempo, il mondo è cambiato e nessuno li ha avvisati che non siamo più lettori dotati di concentrazione e che la forma breve è la soluzione perfetta per sostenere la fame di cultura, senza farla definitivamente precipitare nel baratro.
Ci è voluto Paolo Cognetti per far svegliare dal letargo un paio di editori, ma solo dopo che ha vinto i premi perché, in Italia, se non vinci premi nessuno ti vuole e se nessuno ti conosce non vinci premi. Ad ogni modo, mentre in Italia, nel 2022 non supereremo le quattrocentomila nascite, il reparto delle librerie dedicato ai libri per l’infanzia è sempre più ingombrante, supera quello delle pubblicazioni di cucina (e questa è comunque una buona notizia!), ed occupa spazio in tutti i sensi, visto che questi libri hanno un formato gigantesco, che se ne compri uno devi portarlo sottobraccio come una valigia perché, a quanto pare, gli editori pensano che i piccoli lettori siano già vecchi e cecati come il nostro paese, e abbiano bisogno di libri grandi come taglieri industriali.
Qualche adulto con velleità intellettuali regala ancora questo tipo di libri agli amichetti del proprio figlio solo perché grazie a questo formato gigante spera di fare un figurone.
Ma il libro verrà usato solo per stabilizzare i tavoli, in quelle case in cui sono i videogiochi a sostenere le nuove generazioni: mondi virtuali impressionanti agli occhi di chi è cresciuto col pittore del Commodore 64.
I videogiochi contemporanei provocano terrore a chi non vi è abituato: hai paura che i personaggi ti entrino in casa per davvero, con il loro kalashnikov, che tuo figlio sia sperduto dentro alle scene di un film di fantascienza e che, con tutti quegli effetti speciali, il mondo vero presto o tardi gli farà schifo. Come potranno competere le illustrazioni? Non hanno chances.
Anche quando, come nella maggior parte dei casi, sono curate dai migliori disegnatori del mondo che avrebbero voluto fare arte, moda e design e si ritrovano a scolpire volti agli alberi a cui fanno la bocca con la tana di un uccellino oppure a scarabocchiare con le matite colorate le pagine patinate di un volume in cartonato.
Agli illustratori viene richiesta una regressione professionale che faccia credere ai bambini che il loro modo di disegnare esista per davvero, che le persone siano davvero senza naso, con una testa tonda, due palle al posto degli occhi ed una linea al posto della bocca; bambini che poi cresceranno con la certezza che siano davvero loro a sparare agli orchi nei videogiochi colossal.
Ma così si corre il rischio che i bambini crescano pensando che la loro visione del mondo sia l’unica vera giusta e che, di quel passo, diventino come gli americani».
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