La rubrica satirica di Arianna Porcelli Safonov ci parla, questo mese, della meditazione in chiave ironica. Con la consueta ironia tagliente, ecco l’intervento della performer di monologhi di satira pubblicato sul numero di novembre della rivista Terra Nuova.
La rubrica satirica di Arianna Porcelli Safonov ci parla, questo mese, della meditazione in chiave ironica. Con la consueta ironia tagliente, ecco l’intervento della performer di monologhi di satira pubblicato sul numero di novembre della rivista Terra Nuova.
Ecco il testo.
«Dell’Oriente apprezziamo poche cose: piatti che ci dicono essere cinesi ma che i cinesi della Cina non hanno giammai mangiato, kimono per le feste mascherate che ci fanno sudare le ascelle, supporti alle tecnologie americane che costano la metà perché vengono prodotti ad Hong Kong e non hanno loghi di aziende che investono in comunicazione, film indipendenti che se fossero italiani disprezzeremmo, ma sono coreani e quindi li premiamo.
E poi il curry e il pollo tandoori, i massaggi thai che dovrebbero sciogliere e cos’altro? Ah, giusto: la meditazione.
Gli occidentali ricchi sembrano non solo avvicinarsi alle pratiche zen orientali, ma persino accanircisi e peraltro senza risultati, visto come va la storia.
Un bel libretto di Yogananda, Lo Yoga di Gesù, definisce le basi di ciò che a molti movimenti cristiani è chiaro da secoli e cioè che la pratica della meditazione esiste anche nelle culture religiose occidentali. Ma niente, a noi ci piace orientale. Ci piace vestirci di bianco e camminare scalzi sui sassi per arrivare con la circolazione perfetta all’ingresso dell’ashram e meditare cose in sanscrito mentre sbagliamo i congiuntivi in italiano.
Quando sento qualcuno ripetere ossessivamente la parola «pratica», quando mi dicono «giovedì pratico», penso sempre a un corso per imparare a far qualcosa piuttosto che a una disciplina per imparare a non far niente.
Perché la meditazione è anche questo: un allenamento a non far niente e cosa c’è di più difficile che non far niente?
La meditazione non fa per noi, eppure siamo alla ricerca disperata di una sua applicazione nella vita contemporanea, che è la cosa che ci riesce peggio perché ci picchiamo per il posto in prima fila alla recita del bambino: che abbiamo da spartire con la meditazione? Una cosa soltanto, forse: il respiro.
Chi ha diritto a respirare sembra avere il dovere alla meditazione: pur non avendo mai fatto corsi di apnea, la sperimentiamo tutte le mattine, quando la vita sociale ci investe con le sue quattro ruote motrici e per sopravvivere ci facciamo sostenere da questi afflati smilzi, denutriti, che si fermano a metà trachea, lo stretto indispensabile per mantenerci in vita.
Mentre il respiro è l’unica cosa che abbiamo di certo: gratis, omeopatico, liturgico. Potranno licenziarci anche se abbiamo la macchina aziendale, violentarci alla stazione della metro, fuggiranno i nostri amori, ma nessuno potrà toglierci il respiro meglio di come riusciamo a fare noi, ansiosi e maldestri che non onoriamo l’immensa capacità della nostra cassa toracica come invece sanno fare gli orientali, di cui siamo evidentemente invidiosi e perciò ipotizziamo che ci portino guerre e pandemie, tipica abitudine della pratica zen».
Arianna Porcelli Safonov, nata a Roma e laureata in storia del costume, ha scritto due libri umoristici, Fottuta campagna e Storie di matti (Fazi Editore), ed è performer di monologhi di satira e critica al costume sociale. Dal 2018 collabora con l’Università di Pavia, con una docenza legata alle tecniche di improvvisazione applicate agli ambiti manageriali.
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