I Fridays For Future hanno indetto per il 23 settembre un nuovo sciopero per il clima e hanno lanciato un appello anche agli agricoltori perché si uniscano alla mobilitazione per chiedere misure di contrasto alla crisi climatica.
I Fridays For Future hanno indetto per il 23 settembre un nuovo sciopero per il clima e hanno lanciato un appello anche agli agricoltori perché si uniscano alla mobilitazione per chiedere misure di contrasto alla crisi climatica.
«Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un’allarmante picco dei prezzi dell’energia, che sta colpendo direttamente l’economia italiana e in modo particolare l’agricoltura. Parallelamente, le dinamiche geopolitiche ed eventi estremi sempre più frequenti mettono in ginocchio agricoltori e allevatori, erodendo ulteriormente un reddito già esiguo e seminando paura per la sicurezza alimentare» si legge in una nota diffusa dai FFF.
«La crisi non morde tutti nello stesso modo: le borse merci sono luoghi in cui grandi attori finanziari, che a volte sono gli stessi che gestiscono i flussi commerciali, speculano sulla paura facendo grandi profitti, come sta avvenendo sui cereali – scrivono i FFF – Anche le grandi food companies italiane, nonostante gli accorati appelli di richiesta di aiuto e sostegno pubblico, non hanno visto scendere in modo significativo i loro utili, mentre sono migliaia le piccole aziende che rischiano di chiudere».
E aggiungono: «In Italia le piccole aziende agricole spariscono ad un ritmo impressionante, mentre quelle che rimangono diventano sempre più grandi ed intensive. Attualmente l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari, gli stessi che non hanno nessun interesse a favorire una maggiore redistribuzione dei soldi a disposizione. Ma se il nostro comune impoverimento deriva da speculazione finanziaria, cambiamenti climatici, accentramento delle risorse nelle mani di pochi grandi attori… perché sono proprio le istanze ecologiste e le misure di salvaguardia ambientale ad essere accusate di voler distruggere la produzione di cibo in Italia?».
«E’ proprio l’attuale sistema che sta mettendo a rischio il lavoro agricolo e il diritto ad un cibo sano a prezzi equi – proseguono i FFF – Produrre di più a tutti i costi non serve a garantire la sicurezza alimentare, ma i profitti di una cerchia ristretta che già ne ha fatti tanti in questi anni, a danno di ambiente e biodiversità. Serve invece ridurre gradualmente alcune produzioni insostenibili, come quelle derivanti dagli allevamenti intensivi, in modo da consentire una produzione di maggiore qualità, che possa garantire ai produttori un margine di guadagno più equo, incontrando la domanda dei consumatori con politiche di sostegno ai prezzi. Moltissimi studi provano che l’agroecologia può sfamare il mondo, ma è necessario un cambiamento che l’attuale agribusiness non vuole, e neanche le maggiori forze politiche, a giudicare dai loro programmi elettorali».
«Non devono essere i piccoli produttori e i consumatori a pagare una crisi che non hanno creato, non cadiamo nella trappola della guerra tra ambientalismo e agricoltura: non c’è agricoltura in un ambiente inospitale» concludono i FFF.
Intanto l’Associazione per la decrescita
ha dichiarato la propria adesione allo sciopero globale per il clima. E aggiunge, con una nota, proprie considerazioni. «Al pari di molti altri movimenti sociali di base, i gruppi che sostengono la decrescita ritengono che l’unico modo per rianimare la democrazia sia realizzare più democrazia. La prospettiva è quella della democrazia locale, di impianto municipalista e confederalista. Realizzabile decentrando, spostando in
basso i luoghi della decisione, favorendo con coraggio ogni forma e istituzione di autogoverno e di autodeterminazione delle comunità locali. Facendo affidamento con coraggio alle sensibilità delle persone e delle comunità e sulle loro capacità di interpretare e soddisfare le loro autentiche esigenze. Questa è la vera riforma di struttura istituzionale che ci attendiamo. Riconsiderare le fondamenta stesse dell’idea di democrazia, le sue prassi e le logiche funzionali delle sue istituzioni provando a considerare una logica di riconoscimento e interdipendenza tra popoli, generi, generazioni e specie. In linea con i principi della nostra Costituzione e delle carte internazionali dei diritti varate dopo la Seconda guerra mondiale».
E, rivolgendosi a partiti e movimenti, chiede loro, sempre nella nota, «di occuparsi dei temi della pace, del clima, delle diseguaglianze secondo i valori della giustizia, della sobrietà, della semplicità volontaria, del consumo critico e dell’economia solidale. Nelle condizioni date dell’Italia contemporanea, nel pieno di una crisi sistemica planetaria, le nostre preoccupazioni sono molto pesanti. Da parte di molte forze politiche è entrato in uso contrapporre gli interessi immediati dei ceti popolari (un reddito certo, un tenore di vita dignitoso, una prospettiva di lavoro buono per i propri figli) con quelli della salvaguardia delle condizioni di abitabilità del Pianeta (riscaldamento climatico, accesso alle risorse idriche, inquinamenti, ecc.)».
L’Associazione per la decrescita dichiara di respingerequesta contrapposizione, «che mira a mantenere lo status quo costringendo le persone come lavoratori/trici a sopportare condizioni di lavoro sempre più precarie e insoddisfacenti e le stesse persone, questa volta nella veste di abitanti, a vivere in ambienti sempre più degradati e inquinati» si legge ancora nella nota.
«Sarebbe invece del tutto possibile (oltre che necessario) tenere assieme le due esigenze (giustizia sociale e sostenibilità ecologica) avviando urgentemente una grande conversione tanto degli apparati tecnologici e infrastrutturali (decarbonizzazione), quanto dei modelli di consumo nella direzione dell’equità e della sobrietà, della sufficienza e del bastevole – spiega l’Associazione – È però certo che una simile inversione di rotta (“ecologia integrale”) può avvenire solo se la cultura politica prevalente abbandonerà la convinzione (sempre più fallace e controproducente) secondo cui la qualità della vita delle persone deve dipendere dalla crescita economica permanente ed esponenziale misurata in valore monetario (Pil). Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la qualità della vita dipende sempre più dall’accesso ai mezzi di produzione e ai servizi comuni (ambientali, sociali, economici) piuttosto che dal loro possesso individuale ad uso esclusivo. Dovrebbe anche essere evidente come in un pianeta con risorse limitate e popolato da otto miliardi persone, la crescita non sia più possibile (il tanto propagandato disaccoppiamento tra crescita e impatto ambientale è una vera e propria chimera) e vada considerata la causa prima delle crisi ambientali, delle guerre e dei conflitti tra i popoli».
«È quindi necessario entrare urgentemente nell’ordine di idee di un cambiamento radicale delle forme di produzione, allocazione e utilizzazione della ricchezza sociale collettiva. In definitiva, avviare un vero processo di trasformazione del paradigma socio economico dominante del capitalismo di mercato, come “predicato”, sostenuto e affermato da decenni da teorici, studiosi ed attivisti della decrescita» conclude l’Associazione.