Vai al contenuto della pagina

Bulimia da social e lavoro: la natura ci salverà

homepage h2

Una storia toccante e profonda che si legge tutta d’un fiato: è quella che Riccardo Lupino, contadino, musicista e scrittore, ci regala nel suo ultimo libro. Una testimonianza per dirci che possiamo liberarci da molte «schiavitù» tornando alla terra, alla natura e alle relazioni vere. 
Bulimia da social e lavoro: la natura ci salverà
È una bulimia dilagante quella da social network, da internet, dallo smartphone, dall’iperconnessione, ma anche dal denaro, dal ritmo frenetico di vita, dal vortice di un tempo che passa veloce ma spesso senza lasciare una traccia vera dentro di noi; è una bulimia che ci porta persino a temere di essere “tagliati fuori” se usciamo senza cellulare, se sostiamo in un luogo dove “non c’è campo”, se smettiamo di pensare a quanti soldi dovremmo avere per comprare questo o quello, se non accettiamo il sacrificio in nome di ciò che qualcuno ci promette. Ma… tagliati fuori da cosa? Non è che, per caso, così facendo ci costringiamo a essere “tagliati dentro” a qualcosa? A una “bolla” di intangibilità, di (non) realtà virtuale, di illusione, magari? La percezione di ciò che è veramente “realtà” rischia di essere ormai talmente alterata da farci ritenere più reale ciò che sta “dentro” un telefonino, un televisore, un portafogli, un pensiero ossessivo o un ufficio piuttosto di ciò che sta fuori da tutto questo. Non è forse così un po’ per tutti? E non è forse questa una forma di neo-schiavitù efficacissima, che noi stessi alimentiamo con la convinzione che “ormai non se ne può più fare a meno”, che è inevitabile?

Riccardo Lupino, contadino, artista e musicista, ha fatto tesoro di queste riflessioni e le ha sviluppate in una storia dolce, ironica e profonda dove il protagonista cambia la sua prospettiva nel momento in cui inizia a vedere e ad ascoltare veramente ciò che fino a quel momento non si era soffermato né a vedere né ad ascoltare, ciò che magari si definisce “disconnesso” ma che in realtà rappresenta la vera connessione, con la natura, con gli altri, con tutto ciò che ci sta intorno. 

Ne è uscito un libro che si legge d’un fiato,  Il giogo è bello quando dura poco, dove Saverio, manager di una grossa azienda milanese, si perde nelle campagne toscane perché il suo iPhone è inutilizzabile. Prima si dispera, poi conosce Mario, un contadino che lo ospita aprendogli le porte del suo mondo, semplice ma vero, dove il termine libertà acquista corpo, vita e significato.
Riccardo, il protagonista della tua storia formula la sua “riflessione”, che è poi diventata il titolo del libro, al termine della sua avventura: cosa intendi quando dici che il giogo è bello quando dura poco?
«Credo che l’essere umano abbia un potenziale infinitamente superiore a quello che attualmente dimostra e credo che questo sia dovuto a un “giogo” che si porta sulle spalle da sempre. Senza perdersi in lunghi discorsi provenienti dalla notte dei tempi, mi limito a parlare di questo nostro periodo attuale nel quale la stragrande maggioranza delle persone vive vite che probabilmente non vorrebbe vivere, se soltanto ne avesse la possibilità. Quante persone per esempio fanno un lavoro che le soddisfa veramente? Quante persone vivono in luoghi che amano veramente? Quante hanno scelto un percorso personale grazie al quale possono esprimere quello che sentono profondamente? Perché ci risulta difficile per non dire impossibile vivere come realmente vorremmo? Questa società purtroppo è strutturata come un giogo che non consente alle persone di esprimere tutto il proprio potenziale e per fare questo usa un semplice ma terribilmente efficace strumento, il denaro. È per il denaro che siamo “costretti” a fare un lavoro che magari non amiamo o una vita che non ci valorizza, perché senza denaro siamo tagliati fuori dalla società e questo ci paralizza.Ovviamente le dinamiche sono talmente tante e intrecciate che non è possibile dare una risposta chiara e netta alla questione in poche righe ma non possiamo far finta che non sia cosi. Quando dico che “il giogo è bello quando dura poco”, intendo dire che per l’essere umano è fondamentale prendere consapevolezza del giogo che tiene sulle spalle, perché soltanto cosi potrà sperare, un giorno, di poterselo togliere. Anche se ora sembra impossibile, arriverà un momento nel quale sarà possibile farlo. Io ci credo».
Ciò che hai messo nel romanzo, con delicatezza ma incisività, è anche il rapporto con la natura, con i ritmi lenti che “stanno al di fuori” delle connessioni artificiali superveloci, degli schermi e dei diktat di un sistema che molti sentono alienante. Cosa significa per te e come pensi possa fare la differenza nella nostra vita?
«Partendo dal presupposto che le riflessioni presenti nel libro sono mie personali elaborazioni di quello che sta accadendo nelle nostre vite di esseri umani e che quindi non hanno ovviamente una valenza “universale”, mi pare di percepire che effettivamente sempre più persone stiano cercando una qualche via d’uscita da questa nostra attuale società. Quello che ho tentato di raccontare nel romanzo è una di queste vie d’uscita, quella che personalmente reputo la più adatta e la più efficace per combattere contro tutto quello che ritengo pericoloso per il vero “sviluppo” dell’essere umano. L’agricoltura è il ponte che ci collega alla natura ed è per questo che un ritorno a un mondo più rurale, oltre che auspicabile diventa anche necessario e fondamentale per riavvicinarsi alla natura e ai suoi ritmi perché oggi più che mai per noi è diventato vitale cercare di capire cosa significhi realmente vivere». 
C’è una vita, dunque, al di là dei cellulari, al di fuori delle tv e di internet, dei ritmi frenetici che ci annebbiano. Ma allora quello che c’è dentro quei flussi digitali cos’è?
«L’epoca che stiamo vivendo credo sia un’epoca di “transizione”, mai come in questi tempi infatti, siamo inondati da innovazioni tecnologiche di potenza smisurata che per la prima volta si sono massicciamente accanite sugli aspetti più personali e intimi delle persone. Gran parte dello sviluppo tecnologico di questi frenetici anni si è concentrato sul modificare i rapporti umani e l’idea stessa della vita. Ecco perché per la prima volta nella storia dell’umanità, gli esseri umani non riescono a definire chiaramente cosa sia la vita. Sembra paradossale ma non lo è. Per molti (purtroppo) la vita si sta spostando sempre più verso un piano virtuale nel quale indubbiamente risulta più facile gestire i vari momenti di difficoltà che la realtà ci mette davanti. Attraverso lo schermo di uno smartphone è molto più facile sentirsi sicuri di se stessi ed è per questo che sempre più persone preferiscono “viverci dentro”. Non so a cosa porterà questo “passaggio” di epoche; è sempre più difficile relazionarsi con le persone ma so anche che prima o poi la realtà busserà alla porta, magari quando dimenticheremo il caricabatterie a casa!».
Con il tuo libro, ma anche con la tua musica e i tuoi spettacoli, riesci a far passare messaggi importanti con ironia, sorrisi e leggerezza. Quanto è importante mantenere questa modalità oggi e quali possono esserne i limiti?
«Personalmente credo che sia l’unico modo che ho per poter tentare di veicolare certi messaggi, specialmente in una società come quella odierna che ha il nefasto potere di esasperare ogni aspetto della nostra vita. Dico questo sia perché sono convinto che l’ironia abbia la capacità di rendere più leggero e fruibile qualunque concetto o riflessione, sia perché ammetto che mi viene naturale tentare di condire con un filo di ironia le tematiche che sento di voler affrontare. Potrei dire che in pratica l’ironia è come un buon olio extravergine di oliva, è un ingrediente eccezionale che sta bene praticamente su tutto grazie alla sua capacità di rilasciare profumi e sensazioni che non possono essere ignorati, oltre al fatto che è un alimento tra i più salutari per l’essere umano. Direi che l’unico limite potrebbe essere l’eventuale abuso ingiustificato. Io ogni mattina consumo un cucchiaino del mio olio per iniziare la giornata al meglio…se ne bevessi un litro probabilmente non avrei delle grandi giornate! Così l’ironia, deve essere in giusta misura». 
Un messaggio che ti senti di dare ai giovani, che dovranno cavarsela in un futuro incerto?
«Siete capitati (secondo alcune filosofie lo avete addirittura scelto) in un’epoca di transizione nella quale le certezze vengono nascoste in una sorta di “iCloud” universale del quale non abbiamo consapevolezza. Per quello che può valere la mia visione, credo che la via migliore in questa incertezza globale sia quella di riappropriarsi degli istinti primordiali che ancora abitano in noi, prima che ci vengano sostituiti con qualche algoritmo, e credo che ricominciare a potare un olivo e a seminare del grano possa essere un gran bel punto di partenza!».

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!