Mare Vivo onlus rilancia la sua petizione e l’attività per salvare i delfini in occasione della ripartenza a settembre della caccia ai delfini in Giappone. Questi animali vengono cacciati sia per la carne sia per ottenere esemplari da inserire nei delfini.
È iniziata a settembre «e si concluderà a marzo, la stagione della
caccia ai delfini in Giappone. Durante queste battute di caccia, che fanno parte della cultura locale del paese, i pescatori spingono i cetacei in una baia stretta, battendo con i remi sulle barche per disorientare gli animali. Poi, dopo averli spinti in un luogo prestabilito, i pescatori
selezionano gli animali più giovani che vengono inviati negli acquari e sterminano il resto del branco»:
così spiega Mare Vivo onlus.
«In Giappone, infatti, i delfini vengono cacciati in particolare per la loro carne, anche se è aumentata la domanda di esemplari da esporre nei delfinari: un delfino addestrato può valere fino a 50.000 euro. Tra i primi mercati c’è quello cinese, seguito da Russia, Thailandia, Messico, Vietnam, Turchia, Egitto e Tunisia – prosegue Mare Vivo – Le ultime stime disponibili parlano di circa 1.500 animali uccisi nel corso della stagione di caccia; numeri ipotetici e forse al di sotto del reale, visto che non è possibile avvicinarsi ai luoghi della caccia. Infatti, nella città portuale di Taiji, nella parte sud occidentale dell’arcipelago giapponese dove si apre ogni anno la caccia ai delfini, le autorità locali hanno istituito una stazione di polizia temporanea con il compito di vigilare sulle eventuali azioni di protesta organizzate da attivisti e associazioni animaliste che si oppongono alla mattanza dei delfini».
«Nonostante siano protetti da leggi internazionali che ne vietano l’uccisione e la cattura, i delfini stanno vivendo un momento davvero difficile della loro storia evolutiva – prosegue l’associazione – I comportamenti e le abitudini di vita di questi affascinanti esploratori del “profondo blu” sono stati di recente studiati da un gruppo di ricercatori guidati dall’Università statunitense del Massachusetts di Dartmouth e dall’Università britannica di Bristol, che ha pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista dell’Accademia nazionale delle scienze statunitense (Pnas). Lo studio evidenzia che le società dei delfini, così come quelle dei primati non umani, costituiscono modelli preziosi per comprendere anche l’evoluzione sociale e cognitiva umana. È dei delfini la più vasta rete di cooperazione sociale dopo quella umana, una caratteristica che si riteneva unica della nostra specie: questi animali formano infatti alleanze su più livelli che permettono ai maschi di avere maggiore accesso alle femmine, aumentando quindi il loro successo riproduttivo. Questi mammiferi sono dotati di un ricchissimo “vocabolario”: oltre a fischiare, grugnire e strillare, riescono a emettere una vasta gamma di suoni percepibili anche da noi uomini, oltre ad emettere ultrasuoni con frequenze troppo elevate per i nostri limitati organi acustici».
«L’unico modo per conoscere davvero i delfini è vederli in mare, nel loro habitat originale, e non rinchiusi in vasche e sfruttati per il business dei delfinari. In un Paese come il nostro, circondato dal mare, con 30 aree marine protette, l’emozione di poter osservare un delfino in mare, non è paragonabile con qualsiasi spettacolo in un delfinario, ambiente nel quale i delfini sono costretti a una vita innaturale» conclude Mare Vivo.