«Il rapporto tra mal di testa e alimentazione è certamente complesso e per certi aspetti ancora poco definito. Ci sono sicuramente casi nei quali questa relazione è chiara. Quando, ad esempio, la crisi di cefalea è scatenata dal consumo di un determinato alimento al quale, con molta probabilità, si è allergici o intolleranti. Si tratta tuttavia di situazioni relativamente poco frequenti e nelle quali la soluzione è evidente: evitando di consumare quel cibo la crisi semplicemente non si produce» scrive il dottor Pigozzi.
E prosegue:
«Esistono comunque molti altri casi nei quali il rapporto tra la cefalea e le abitudini alimentari non è così immediato e comprensibile. In ogni caso, l’esperienza (dei pazienti e del medico attento) suggerisce che questo rapporto esiste. Nella pratica, molti aspetti delle abitudini alimentari e parecchi disturbi legati al consumo del cibo possono avere a che fare con il mal di testa. Cercheremo di indagare tali questioni, proponendo anche spunti e suggerimenti per una possibile soluzione.
La cattiva digestione
Il nostro modo di alimentarci è senza dubbio un’importante concausa delle malattie cronico-degenerative, quelle che oggi costituiscono anche le principali cause di morte. L’obesità, la patologia cardiovascolare, il diabete, i tumori sono in vario modo collegati ad abitudini alimentari poco adatte alla nostra fisiologia. Tuttavia, anche una gran parte di disturbi e di sintomi meno drammatici, ma che compromettono comunque la qualità della vita e determinano anche in vario modo il consumo di farmaci, hanno spesso come evidente causa abitudini dietetiche incongrue. Si pensi al reflusso gastroesofageo, alla stitichezza, alle malattie da raffreddamento, al cattivo o rallentato andamento del processo digestivo, alla sonnolenza postprandiale e al cerchio alla testa da maldigestione. È vero che talvolta esiste un’intolleranza individuale nei confronti di questo o quell’alimento. Tuttavia spesso la responsabilità non è del singolo cibo, ma del complesso delle abitudini alimentari, che vanno corrette e meglio adattate alle reali esigenze dell’organismo.
Cibi mal cucinati e di scarsa qualità
I cibi cucinati male (come quelli fritti in oli di scarsa qualità o riutilizzati più volte), le aggiunte sistematiche di formaggio, panna o salse ricche di grassi anch’essi di dubbia qualità, i piatti acquistati precotti e poi ricondizionati velocemente in cucina sono solo alcuni esempi di alimenti che l’apparato digerente gestisce con difficoltà e lentezza. Accentuano in modo fastidioso un senso di digestione lunga e complicata che non favorisce certamente lo stato di benessere fisico e mentale.
Mangiamo troppo
È purtroppo frequente, al giorno d’oggi, che la quantità di cibo consumata ogni giorno ecceda le normali esigenze dell’organismo. Le frustrazioni e le insoddisfazioni (sul lavoro, in famiglia, nelle relazioni sociali), la pubblicità martellante, la mancanza (o l’eccesso) di informazioni, una insufficiente attenzione ai messaggi che il corpo ci manda sotto forma di sintomi e disturbi portano spesso ad assumere una quantità di cibo decisamente superiore alle nostre effettive necessità. Le conseguenze non sono solamente di ordine, per così dire, estetico, ma soprattutto relative alla salute. Un eccesso di cibo non solo complica regolarmente la digestione, con la produzione dei sintomi ben conosciuti (tra i quali anche la cefalea), ma perfino accorcia la vita e aumenta il rischio per tutte le patologie, sia acute che cronico-degenerative.
Una masticazione insufficiente
Non mastichiamo più. Almeno da adulti. I ritmi di vita sempre più intensi, ma anche semplicemente la mancanza di attenzione al cibo che stiamo consumando (spesso mangiamo facendo anche dell’altro: leggiamo, guardiamo la TV, usiamo il telefono, litighiamo) producono masticazioni approssimative. Masticare con cura (almeno 20-30 volte ogni boccone) facilita la digestione e genera molti altri vantaggi. Tra questi la riduzione della quantità di cibo consumato e un più facile mantenimento del peso forma. Numerosi studi hanno accertato che mangiare lentamente, masticando bene e concedendosi una buona mezz’ora per consumare il cibo, favorisce la comparsa del senso di sazietà durante il pasto. In questo modo si introducono meno calorie, e chi mangia lentamente ha, nelle ore successive, una minore necessità di consumare snack. Ne traggono vantaggio il livello di insulinemia postprandiale (che rimane più basso) e un più facile controllo del peso. È interessante osservare infine che, oltre a consumare meno calorie, i “masticatori lenti” al termine del pasto sono generalmente più soddisfatti di chi ha rapidamente trangugiato la propria porzione. Altre ricerche hanno accertato che steatosi epatica (anomalo deposito di grasso nel fegato), iperuricemia, aumento dei trigliceridi e un basso livello di colesterolo HDL (quello “buono”) sono più frequenti in chi mangia voracemente fino alla sazietà. Mangiare lentamente (un comportamento che è possibile in pratica solo masticando con cura) migliora quindi notevolmente il processo digestivo, evitando l’insorgere di acidità di stomaco, gonfiori addominali, testa pesante, sonnolenza. Inoltre aiuta a ridurre il rischio di obesità e, infine, affina la sensibilità ai sapori e agli aromi».