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Storia dei miei integratori

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Abbandonarsi tra le braccia degli integratori per sentire la proropria vita utile e sana. La rubrica di Arianna Porcelli Safonov.
Storia dei miei integratori
Mi spiace dovervi confidare che non sono d’accordo con la frase che si trova sulle confezioni degli integratori: «Non vanno intesi come sostituti di una dieta equilibrata e devono essere utilizzati nell’ambito di uno stile di vita sano».
Da anni, il mio benessere psicofisico dipende da un sacchettino di stoffa pieno di pillole omeopatiche che mi rassicurano, come se al mio fianco ci fosse un monaco calvo, a farmi pat-pat sulla spalla, ogni volta che sbuffo alla vita (ed io sbuffo un sacco alla vita).
Gli amici mi prendono in giro e dicono che ho sostituito l’LSD che usavo al liceo per far fronte alle sofferenze dell’adolescenza con l’alga Klamath.
Ovviamente non è vero! Non avrei mai fatto questo tipo di sostituzione: l’alga Klamath e l’LSD hanno funzioni e benefici molto diversi ma il sostanziale motivo per cui son dovuta passare da una all’altra è che l’alga è, sì, molto più costosa, ma posso portarla ovunque e, soprattutto, in giro ci sono migliaia di persone che mi aiutano a credere che questa erba marina migliorerà la mia resa psicofisica e lo fanno in modo così efficace che a volte mi sembra di poterne davvero vedere i risultati che, invece, con l’LSD spesso non ricordavo.
Nella bustina, oltre all’alga salvavita, ho la vitamina B6, la D, che sembra ci salvi da qualsiasi pericolo virale, una bustina di semi di zucca e curcuma liofilizzati che sa di mangime per cani, di quelli con le ossa bovine ridotte in polvere, il magnesio che pare serva a tenere a bada anche i nervi più compromessi e ovviamente la vitamina C, in comode pillole da cento grammi l’una che, dopo aver rischiato di morire soffocata, ho deciso di assumere come supposte, sperando che gli effetti non cambino. Nel sacchettino non possono mancare anche i fiori di Bach.
Quando li acquisto in farmacia o in erboristeria o, insomma, non li faccio preparare dal mio amico fricchettone che calcola il dosaggio dell’alcool etilico a occhio, e quasi mi sterilizza, questi fiori hanno dei nomi davvero improbabili e finisco sempre per vergognarmi al bancone, guardandomi alle spalle, mentre dico «Mi dia un Cherry plum e un Diapason Misfit», sperando che nessuno mi senta, mentre il farmacista, che ha imparato negli anni a rimanere impassibile di fronte a qualsiasi richiesta, si sforza di non fare la smorfia poco professionale associata agli unici due prodotti ancora tabù nel cosmo parafarmaceutico; i fiori però non hanno un distributore esterno.
Nonostante quei musi lì, a me gli integratori mi sostengono da un sacco di tempo.
Son lì quando non mi pagano le fatture, quando mi sveglio e realizzo di essere sola come una pietra e di non dover preparare la colazione a nessuna famiglia: son lì, tutti in fila, pronti a far sentire la mia vita utile e sana contro ogni previsione ma solo se assumerò le dodici pillole rigorosamente a digiuno che poi è l’unica, vera controindicazione degli integratori.
Ti ricordano che non sostituiscono una dieta equilibrata ma ti lasciano in preda alla preoccupazione che non facciano effetto e così rinunci al pasto e attendi il calore della tua dose mentre deperisci.
Perciò proporrei di modificare la famosa frase riportata sulle confezioni in: «Se non avete mai avuto alcun tipo di equilibrio mentale o alimentare, se lo stile di vita sano è un miraggio nel deserto roccioso della vostra esistenza amara, abbandonatevi fra le braccia degli integratori per mantenervi distanti quanto basta da quelle degli spacciatori».
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Articolo tratto dalla rubrica Tanto per cominciare

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Maggio 2022
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