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La domesticazione delle piante coltivate

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L’agricoltura ha cambiato la cultura, la società e la salute umana. La storia dell’agricoltura inizia da quella delle sementi.
La domesticazione delle piante coltivate
La storia dell’agricoltura comincia con quella delle sementi!
Numerosi studi dimostrano che l’agricoltura ha cambiato la cultura, la struttura della società e la salute umana, compresa la riduzione della taglia degli uomini2 e lo sviluppo della carie dentaria3, associata all’introduzione dei cereali nell’alimentazione, la specie preferita all’inizio dell’agricoltura4.
In ogni continente, vediamo l’emergere di specie che ritroviamo ancora oggi nella nostra alimentazione: il farro piccolo, il grano amidaceo e l’orzo furono i primi in Medio Oriente 11.500 anni fa, poi il mais in Messico 8700 anni fa, il riso in Cina tra gli 8000 e i 10.000 anni fa, il miglio 6000 anni fa in Cina, 4500 anni fa in India e 3000 anni fa nell’Africa saheliana, il sorgo nell’Africa saheliana 4000 anni fa, e infine la quinoa, coltivata sugli altopiani andini del Sud America 3200 anni fa5.
Anche la co-domesticazione dei legumi è stata osservata in tutti i siti in cui è stata descritta la prima agricoltura. Nonostante queste specie siano essenziali nella dieta umana, il loro processo di domesticazione è meno noto di quello dei cereali. I piselli e le lenticchie sono considerati elementi fondamentali dell’agricoltura nel mondo neolitico6.
In generale, il numero di piante più o meno addomesticate è stimato tra 1000 e 2500 specie, appartenenti a più o meno 150 famiglie tassonomiche7.
Queste specie addomesticate sono state studiate ancora più estesamente da quando Charles Darwin, nel 1859, dedicò loro il primo capitolo della sua opera seminale L’origine delle specie, evidenziando le differenze tra “razze” o “generi” (termini usati prima della definizione di “varietà”), le somiglianze tra la prole e i genitori, e il ruolo trasformativo della selezione nel differenziare queste razze all’interno delle specie8.
Un insieme di tratti che segna la divergenza tra una specie addomesticata e il suo antenato selvatico è chiamato “sindrome di domesticazione”. Tra le molte caratteristiche che variano da specie a specie, per esempio, ci sono: una ridotta capacità di disperdere naturalmente i semi, una riduzione delle caratteristiche difensive (fisiche e chimiche), una riduzione dei germogli secondari non produttivi, riduzione della dormienza delle sementi, semi più grandi con una germinazione più prevedibile e sincrona e, in alcune specie propagate per seme, infiorescenze più grandi e più numerose9. Un esempio particolarmente spettacolare è quello dei cavoli, le cui varietà coltivate mostrano a prima vista caratteristiche molto diverse. Possiamo ancora osservare la pianta nella sua forma selvaggia sulle coste della Normandia o su quelle dell’isola di Bréhat. Le molteplici forme di cavolo che consumiamo sono in realtà il risultato di un unico fenomeno di domesticazione, quello dell’ipertrofia di un organo: il colletto, le foglie, il picciolo della foglia, le gemme vegetative, ascellari o floreali10.
Oltre alle piante propagate in campo per seme, ci sono anche quelle addomesticate che ora possono riprodursi solo vegetativamente. Questa incapacità di riprodursi per seme fa parte essa stessa della sindrome di domesticazione delle specie interessate, che è meno descritta che per le piante propagate per seme (sembra che il numero di caratteristiche che le differenziano dalla loro origine selvatica sia lo stesso nei due casi, nell’ordine di 2 a 5 per l’80% delle piante coltivate)11.
Queste specie “senza semi” sono in gran parte ugualmente importanti (in termini di quantità di cibo prodotto) e meritano altrettanta, se non maggiore, attenzione in termini di conservazione della loro diversità, data la tendenza all’omogeneità del loro patrimonio genetico in assenza della regolare mescolanza di geni fornita dalla riproduzione sessuale.
In queste specie, come per esempio il banano o il taro, la domesticazione ha portato alla necessità di una propagazione vegetativa, con caratteristiche che favoriscono o richiedono la riproduzione asessuata attraverso mutazioni spontanee o poliploidizzazione12, talvolta accompagnata dalla selezione per forme partenocarpiche (senza semi o vinaccioli).
La perdita della capacità riproduttiva sessuale è stata accompagnata da uno spostamento verso cicli di vita perenni.
Ad oggi, le complesse storie della domesticazione e della dispersione preistorica delle colture alimentari a propagazione vegetativa sono poco conosciute, in gran parte a causa della loro bassa visibilità archeobotanica e la scarsa conservazione dei loro resti rispetto a quelli dei semi. Tuttavia, frammenti di tuberi di patata sono stati documentati in contesti archeologici risalenti a 10.000 anni fa nel Canyon Chilca, costa centrale del Perù. Macrorisorse essiccate di manioca, patata e patata dolce sono state trovate anche in diversi siti datati tra 4250 e 3500 anni nella Valle di Casma, in Perù13.
L’assenza, o piuttosto la rarità, di una fase di riproduzione sessuale in queste piante non ha tuttavia limitato la loro capacità di espansione, evoluzione e adattamento. In effetti, all’epoca dell’esplorazione europea del globo, a partire dal XV secolo, le colture a propagazione vegetativa avevano la gamma longitudinale più ampia di qualsiasi coltura alimentare nel mondo: le banane erano distribuite nel “vecchio mondo”, dall’Africa occidentale e dalla penisola iberica alla Polinesia orientale; e il taro (C. esculenta) si è diffuso da terre di origine incerta nel sud-est asiatico, verso est in Polinesia e verso ovest nel Mediterraneo orientale dove era conosciuto dagli antichi greci e romani14.
 
Note:
2. Mummert Amanda, Esche Emily, et al., “Stature and robusticity during the agricultural transition: Evidence from the bioarchaeological record”, Economics & Human Biology, volume 9, n° 3, p. 284-301, 2001.
3. La carie dentaria è una malattia infettiva orale associata alla demineralizzazione dello smalto e della dentina sottostante, causata dagli acidi del metabolismo degli zuccheri alimentari nei cereali.
4. Larsen Clark Spencer, “The agricultural revolution as environmental catastrophe: Implications for health and lifestyle in the Holocene”, Quaternary International, n° 150, p. 12-20, 2006.
5. Birlouez Éric, “Céréales et civilisations”, revue AgroMag, n° 43, décembre 2016 ( www.ericbirlouez.fr/index.php/activites/articles/48-cereales-etcivilisations#_ftnref1).
6. Zohary Daniel et Hopf Maria, “Domestication of Pulses in the Old World”, Science, volume 182, n° 4 115, p. 887-894, 1973 ( www.doi.org/10.1126/science.182.4115.887).
7. Purugganan Michael D., “Evolutionary Insights into the Nature of Plant Domestication”, Current Biology, n° 29, 2019, p. R705-R714.
8. Ibid.
9. Larson Greger, Piperno Dolores R., et al., “Current perspectives and the future of domestication studies”, PNAS, volume 111, n° 17, 29 avril 2014, p. 6 139-6 146.
10. Queste caratteristiche riguardano la morfologia di un organo, il modo di riproduzione, la composizione o la lunghezza del ciclo vegetativo.
11. Meyer R.S., DuVal A.E., Jensen H.R., “Patterns and processes in crop domestication: an historical review and quantitative analysis of 203 global food crops”, New Phytol, volume 196, n° 1, 2012, p. 29-48, ( www.doi. org/10.1111/j.1469-8137.2012.04253.x).
12. La poliploidizzazione è la moltiplicazione del numero di serie di cromosomi nelle cellule di una pianta con il risultato di uno “stato poliploide”; questa moltiplicazione può essere naturale o artificiale e di solito genera un aumento del volume della pianta.
13. Denham Tim, Barton Huw, et al., “The domestication syndrome in vegetatively propagated field crops”, Annals of Botany, volume 125, n° 4, mars 2020, p. 1-17, 13, ( www.doi.org/10.1093/ aob/mcz212).
14. Grimaldi I. M., “Taro across the oceans: Journeys of one of our oldest crops”, Advances in archaeobotany, n° 3, 2016, p. 67-81.
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Articolo tratto dal libro Dal seme alla tavola

All’origine di ogni cibo, c’è un seme. Il chicco di grano è l’inizio del nostro pane, il seme del foraggio mangiato dalla mucca è l’origine del nostro formaggio e un seme d’uva è la radice dei nostri vitigni e del nostro vino.

Questo libro invita a una nuova collaborazione tra agricoltori biologici e cittadini, tra coloro che coltivano la terra in modo sostenibile e coloro che con le loro scelte di consumo possono condizionare il mercato e le scelte economiche più ampie.
Solo questa alleanza può garantire lo sviluppo di sementi e varietà prodotte e adattate in un’ottica di sostenibilità e di salute del cibo che portiamo in tavola, per far rivivere la biodiversità.

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