Il potentissimo click
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E se io ne faccio così poca, diciamo dal divano al portone di casa, chi ne deve fare tantissima per portarmelo?
Si è lavato le mani chi ti ha preparato, maki caro? Quanto costi al produttore, Riesling?
E al mio organismo? E allo sfruttamento del Pianeta? Coopererai al raggiungimento della mia taglia 50 anche tu oppure mi aiuterai a sopravvivere a tanta richiesta di perfezione, cheesecake del mio cuore?!
Magari perché ho ordinato una pizza che, se mi metto a chiacchierare, diventa di cemento armato, o perché il tizio che me la porta non può fermarsi a disquisire con me perché non parla la mia lingua (ma sa pedalare) e perché non ha il tempo di usare la sua, visto che più consegne effettua più ha speranza di potersene permettere una per sé.
A causa di queste spiacevoli faccende, quel tizio smette di essere un tizio e diviene ai miei occhi un cubo refrigerato con una sua mobilità che attendo anche con discreta emozione ma non perché mi vada di creare rapporto umano, anzi.
Per me, quel ragazzo è il mio paypal che si trasforma in cibo caldo pedalante, un cubo in tessuto imbottito arancione, verde o in qualche altro colore fluo che lo rende catarifrangente nella notte buia e tempestosa in cui pedala per arrivare da me e fuggire di nuovo, nella notte sempre buia, magari non tempestosa ma senz’altro piena di stronzi col SUV.
Riesco ad accorgermi che c’è un rumore dentro a certo silenzio che se uno vuol mettersi lì ad ascoltarlo, riesce a mantenersi più o meno umano quasi senza fare alcuno sforzo.
Funziona un po’ come alcuni integratori che promettono salute senza dover fare troppo esercizio; potremmo dire che la capacità innata di ascoltare il rumore che si nasconde nel silenzio di quei cubi che pedalano è un booster che ci serve ad ammettere che in una società così cool ed inclusiva esista ancora la servitù e per chiamarla non serva più il campanellino ma un breve, potentissimo click.