Il cambiamento è alle porte. Sulla nostra comfort zone è calato improvvisamente il buio: la
crisi energetica entra nel vivo e la
guerra in Ucraina innesca un grande cortocircuito economico e sociale. Cosa fare se incombe la
crisi climatica e le
rinnovabili rischiano di non bastare per coprire i nostri consumi? Ne parla “
Blackout” il libro-inchiesta di Gabriele Bindi, per la nuova collana “Le Formiche Verdi” di Terra Nuova, di cui ecco di seguito uno stralcio iniziale.
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«Senza corrente elettrica non c’è luce. Non c’è riscaldamento, non c’è telefono e dopo un po’ di tempo non esce nemmeno l’acqua dai rubinetti di casa. Se, anche solo per un giorno, per qualche oscuro motivo saltasse la fornitura di energia in un’intera città non ci sarebbero mezzi di informazione, telefoni, semafori, ascensori, treni, metropolitane, uffici in grado di funzionare. Una volta usciti in strada non troveremmo bancomat e uffici postali, i supermercati dovrebbero chiudere e molti di noi non saprebbero come cucinare o procurarsi il cibo. Ma ciò che forse è più grave è che dopo qualche ora molte persone cadrebbero nel panico e nella disperazione. Ahimè, l’eventualità di un blackout energetico è sempre più probabile. «Mettiamo che un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti petrolio, carbone ed energia elettrica. Non occorre usare fantasia per immaginarselo, prima o dopo capiterà» recita l’incipit de La fine del mondo storto di Mauro Corona. L’istrionico scrittore di montagna stavolta ha colto nel segno. Una qualche forma di blackout generale è sempre dietro l’angolo. E in qualche forma più lieve ci è già capitata. Se finisce il gas, il petrolio, se le pale eoliche non girano, se i sistemi di controllo vanno in tilt, cosa possiamo fare? Abbiamo gli strumenti per difenderci? Esiste un piano di emergenza? E se insieme all’energia andasse davvero tutto in malora? Se non ci fosse più internet? Se fosse la guerra a bussare alle nostre porte? Se cadessero tutte le nostre barriere di sicurezza, le forniture di cibo, i controlli, se la fame tornasse? (…)
Se, se, se… Potremmo mai essere pronti ad affrontare tutti questi “se”? Avremmo risorse per reagire? Per sopravvivere? Può darsi che a quel punto non ci sia nemmeno il tempo di farsi troppe domande, perché sarà già troppo tardi. Le cose spesso vanno così, a un certo punto la luce si spegne e… game over! Ma c’è un’altra possibilità. Il blackout, come espressione, allude a qualcos’altro: un cambio di scena. Nelle produzioni teatrali il blackout corrisponde al buio totale, quel momento, più o meno breve, che serve a trasportare il pubblico da una scena all’altra. Non ci sono mezze vie. Le luci si spengono lasciando il teatro buio mentre le scenografie vengono cambia-te, e gli attori o i ballerini si preparano per il pezzo successivo. Se di colpo cala il buio, potremmo assistere semplicemente… a un cambio di scena. Non senza conseguenze, ovviamente. Ma tutti i cambiamenti nella sfera personale e collettiva sono sempre un po’ traumatici. Non avevamo forse bisogno di un cambiamento profondo del nostro stile di vita e dei nostri consumi? (…)
La catastrofe è imminente, forse è già avvenuta: una guerra in corso ai confini europei, il clima che cambia, una digitalizzazione zoppicante, un’economia in bilico e una finanza sempre sull’orlo del tracollo. Arriveranno di sicuro nuove catastrofi, annunciate da nuove cassandre, che nella maggior parte dei casi non sono che degli scienziati. O persone generalmente invise al pubblico, affascinanti ma scontrose, maledette e in odore di complottismo. Nel momento in cui la profezia si avvera, più che essere riconosciute, vengono maledette per sempre. Ma è sempre bene saper riconoscere le buone cassandre, distinguendole da chi soffia sul fuoco della paura e si diverte a seminare tempesta. In questo libro non vedrete affacciarsi i cavalieri dell’apocalisse, e non si ipotizza la fine della vita sulla terra. Anche se potremmo avanzare qualche ragionevole dubbio, crediamo che si possa convivere ancora per diversi secoli su questo pianeta, se abbiamo la forza di adattarci e quella necessaria per cambiare. Non dobbiamo girarci dall’altra parte, o fingere che i problemi non esistano. Possiamo occuparcene fin da subito, evitando di pre-occuparci troppo».