L’energia da fonte nucleare e da gas è stata inserita nella tassonomia Ue, come «transitoria» in vista dell’obiettivo europeo di emissioni zero, al 2050.
Iniziativa francese, appoggiata dal nostro Ministero per la Transizione Ecologica, che susciterà un acceso dibattito, vista l’emergenza climatica e la crisi energetica in arrivo con i primi aumenti vertiginosi nelle bollette.
La politica ha la memoria corta e la Lega addirittura pensa ad un nuovo referendum che «porti il nostro Paese ad un futuro energetico indipendente, sicuro e pulito», dimenticando che in ben due consultazioni gli italiani si sono opposti con un netto «NO», nel 1987 e nel 2011. Si dimenticano anche i disastri di Chernobyl nel 1986 e di Fukushima nel 2011, fino al meno grave ma recentissimo di Tricastin, in Francia, il 28 dicembre scorso.
L’opposizione al nucleare è tutt’altro che ideologica: ecco le più ovvie ragioni del «NO» al nucleare.
1. L’uranio è una risorsa finita e la sua concentrazione nei minerali naturali è bassa, tanto che per produrre una tonnellata di uranio arricchito, combustibile per reattori, ne servono 7 di uranio naturale, estratto da ben 3850 tonnellate di roccia. Nel 2020, secondo il World Nuclear Industry Status Report, produrre 1 kWh (chilowattora) di energia elettrica da fotovoltaico è costato 3,7 centesimi di dollaro, da eolico 4, da gas 5,9, da carbone 11,2 e da nucleare 16,3.
2. Dal 2011 il mercato ha visto aumentare i costi dell’energia da fonti fossili e nucleari e ridurre quelli da fonti rinnovabili.
3. Costruire una centrale, per complessità e requisiti di sicurezza, comporta ingenti investimenti di tempo e risorse economiche che oggi pochi possono permettersi. Emblematico il caso della centrale di Olkiluoto in Finlandia, attivata il 22 dicembre, dopo 12 anni di lavori e con un costo passato dai 3,2 a 8,5 miliardi di euro.
4. Tutto il comparto nucleare mondiale è obsoleto, tanto che il 18% dei reattori attivi ha superato i quarant’anni di operatività e un ulteriore 27% ci arriverà nel 2035.
5. Ci sono naturalmente le scorie radioattive: il deposito unico nazionale non è ancora stato individuato.
6. Non è stato mai dibattuto il costo del
decommissioning, lo
smantellamento delle centrali inattive. In Italia ne abbiamo 4: a Latina, Caorso, Trino Vercellese e Garigliano, oltre ad impianti del ciclo del combustibile a Vercelli, Roma e Matera. Il costo stimato per smantellarle è di 7,2 miliardi al 2017. Non occorre altro per capire quanto sia anacronistico e dannoso pensare a una transizione basata sul nucleare. Occorre invece lavorare sulla
riduzione dei consumi negli usi finali, rendendo
più efficienti gli edifici (
superbonus 110%), i veicoli a trazione elettrica, gli elettrodomestici e così via, e poi
produrre l’energia localmente e da fonti rinnovabili (comunità energetiche rinnovabili), ricordandoci che il sole è la più grande centrale nucleare che conosciamo ma che si trova… a distanza di sicurezza!
Egidio Raimondi è bioarchitetto, docente e divulgatore.
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Articolo tratto dalla rubrica Spunti di vista
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