Intervista a fratello Phap Bieu, 32 anni, originario della provincia di Verona. Sin da giovanissimo ha seguito gli insegnamenti di Thich Nhat Hanh e subito dopo la maturità è diventato monaco. Dopo tre anni passati in un monastero in Thailandia, oggi vive nella comunità monastica di Plum Village. Recentemente, con un piccolo gruppo di giovani monaci italiani, ha trascorso un lungo periodo in un eremo in Toscana, promuovendo ritiri e incontri aperti a tutti.
Chi sono i monaci che costituiscono la comunità monastica di Plum Village?
La comunità delle monache e dei monaci di Plum Village è un gruppo estremamente eterogeneo di persone. Per lo più siamo giovani fra i 20 e i 40 anni di età, provenienti da paesi, culture ed estrazioni sociali diversi. Alcuni di noi hanno studiato a Cambridge o Harvard, altri sono diventati monaci all’età di dodici o tredici anni e quindi non hanno completato un’istruzione formale.
Guardando da fuori sembrano esserci poche cose che ci accomunano, eppure la pratica della consapevolezza e degli insegnamenti di Thầy ci offrono dei modi concreti per comunicare a un livello profondo anche con persone molto diverse da noi.
Al giorno d’oggi pare che il nostro Pianeta abbia bisogno più di ogni altra cosa di metodi concreti che ci aiutino a prenderci cura della nostra casa comune. Oramai è chiaro che gli italiani, come le popolazioni di altri paesi più fortunati, non possono sopravvivere a lungo se non sviluppano la capacità di prendersi cura anche dei paesi meno privilegiati. Il cambiamento climatico, le migrazioni di massa e anche la stessa pandemia ci stanno insegnando questa dura lezione con estrema chiarezza. Il problema è: «Abbiamo il coraggio di guardare?»
Puoi descrivere la vostra esperienza di piccolo nucleo di monaci in Toscana? Si tratta di un insediamento temporaneo o c’è un progetto a lunga scadenza? Come siete organizzati, come si svolge la vostra giornata e quali sono le vostre principali attività? Come vi mantenete?
Vivere nel nostro piccolo eremo in Toscana è stata un’esperienza molto bella di silenzio, pratica profonda e interazioni gioiose con i praticanti italiani. Nei nostri sei mesi di permanenza ci siamo sostenuti solamente grazie alla generosità altrui. É molto bello mangiare un pasto e sapere che senza la presenza della nostra comunità di praticanti laici, senza il loro amore e le loro cure, non avremmo di che nutrirci. Ogni pezzo di pane e ogni carota hanno nutrito la nostra gratitudine e la nostra determinazione a vivere questa vita pienamente!
Formalmente, questa esperienza si è già conclusa, ma i semi che abbiamo piantato nei mesi che abbiamo passato in Toscana si sono sparsi un po’ ovunque. Quando penso al futuro mi viene da sorridere, perché sento che un seme non può fare altro che germogliare e diventare un fiore o un albero. Dove e quando si manifesteranno questi fiori e questi alberi? Non lo so e, onestamente, preferisco non saperlo. Mi piace farmi sorprendere dalla vita.
Perché una scelta così radicale? Per seguire gli insegnamenti di Thay non era sufficiente frequentare i seminari e partecipare ai ritiri, così come fanno in tanti?
Diventare monaci non è una scelta. È un po’ come innamorarsi. Con il senno di poi possiamo analizzare tutte le qualità dell’altra persona e provare a capire perché ci siamo innamorati proprio di lei, ma la realtà è che non abbiamo nessun controllo su questo processo. La vita monastica è qualcosa che ti accade e l’unica scelta che hai è se ascoltare il cuore o ignorarlo. Sono convinto che moltissime persone nella nostra società sentono questa chiamata. Quelli di noi che poi diventano monaci e monache sono solo le persone che hanno il coraggio di riconoscere questo desiderio e di agire di conseguenza. È molto difficile slegarsi dalla società. Molto spesso amici, famiglia e tutto quello che ci circonda sembrano volerci far desistere, ma dobbiamo trovare il coraggio di non farci influenzare e di seguire il nostro intuito.
Penso che questo sia vero per tutte le cose più importanti che accadono nella nostra vita. La capacità di ascoltarsi e il coraggio di agire di conseguenza sono le due qualità che distinguono coloro che finiscono per vivere una vita soddisfacente e piena, da coloro che preferiscono conformarsi e disconnettersi dalla fonte della propria vitalità.
Che senso ha oggi, al tempo dei social e di internet, essere monaci?
Perché invece non ci chiediamo che senso ha costruire una famiglia, fare figli e investire la vita in una carriera al tempo del collasso climatico? Non sono affatto convinto che dobbiamo tutti diventare monaci e monache, ma non trovi che questa sia una domanda importante da porsi? Quale futuro stiamo offrendo ai nostri figli? In che mondo abiteranno? Se diventiamo veramente coscienti delle sfide che troviamo davanti a noi è imperativo agire, fare qualcosa. Diventare monaci è solo una delle soluzioni a questi problemi. In quanto monaci non abbiamo una casa, una macchina, un conto in banca. Viviamo una vita semplice, piacevole, libera e in armonia con la natura. Al giorno d’oggi la vita monastica è uno fra i pochi modi che abbiamo di non scendere a compromessi con la società, e questo ci permette di avere moltissimo tempo libero per prenderci cura di questo prezioso Pianeta.
In cosa consiste il Buddhismo impegnato, in che modo voi monaci mettete in pratica l’impegno per un consumo critico, la pace e la difesa del Pianeta?
Il Buddhismo impegnato consiste appunto nel condurre una vita leggera, a contatto con noi stessi e con l’ambiente. Thich Nhat Hanh amava dire che l’unico modo di salvare la madre terra è di innamorarsi di lei. Quando siamo a contatto con questo amore, le nostre azioni, andranno naturalmente nella direzione di proteggerla e preservarla per le generazioni future.
In una società dove tutto sembra a portata di mano, o di mouse, come vive un giovane monaco le rinunce legate alla vita monastica?
Diversi anni fa una giovane coppia mi chiese perché avevo scelto una vita di rinuncia. Non mi ricordo esattamente che cosa risposi, ma ricordo che ero rimasto sorpreso dalla domanda. Non avevo mai pensato alla mia vita monastica come a una rinuncia. Ancora oggi non la sento in questo modo. Da un certo punto di vista ho rinunciato ad avere una famiglia, una compagna e mille piccoli intrattenimenti e passatempi, però quando osservo la vita di chi vive fuori dal monastero, vedo che anche voi, nel mondo, rinunciate a tantissime cose. Rinunciate allo spazio e al tempo di prendervi cura di voi stessi e fermarsi è un lusso che potete permettervi solo di rado. È una questione di priorità. A un certo punto dobbiamo chiederci che cosa vogliamo fare della nostra vita, e non è detto che a tutti interessi accollarsi la responsabilità e l’onere di costruire una famiglia, anche se la vita di famiglia può a sua volta essere un cammino spirituale molto bello e profondo.
Qual è l’aspetto che più apprezzate della vostra vita monastica e qual è invece la difficoltà maggiore?
L’aspetto che più apprezzo è la dinamicità e l’impermanenza della nostra vita. Un giorno siamo in un posto e solo sei mesi dopo possiamo trovarci da tutt’altra parte. L’aspetto più difficile è a sua volta la dinamicità e l’impermanenza.
Scherzi a parte, a volte dentro di noi c’è ancora il bisogno di un po’ più di prevedibilità e di stabilità.
Qual è il profilo delle persone che frequentano i vostri incontri, sono più giovani o persone oltre i trent’anni? Cosa cercano? Perché si rivolgono a voi?
Ci sono persone di ogni tipo. Qui a Plum Village accogliamo moltissimi giovani, ma ci sono anche persone in età più avanzata. Alcuni vengono in cerca di guarigione, perché la vita ha lasciato su di loro delle ferite profonde. Altri vengono alla ricerca di una maggiore comprensione di sé. Altri ancora vengono senza sapere che cosa in particolare li porta qui, e di solito scoprono di cosa di tratta nella loro prima visita.
Con la morte di Thầ y, come cambierà il vostro modo di testimoniare il suo insegnamento?
Quando Thây ci ha lasciati, ho osservato molto attentamente quello che stava accadendo, e debbo dire che non ho percepito un’interruzione, un cambiamento o una svolta in particolare. L’opera di Thầy ha acquisito una grande inerzia, e trovo che non può che continuare in quella direzione. Personalmente penso che l’unico rischio sarà quello di rivolgersi al passato con nostalgia e vedere gli anni in cui Thầy insegnava come l’età dell’oro, quando in realtà ci sono ancora moltissime cose da scoprire. Sento che Thầy vorrebbe che noi continuassimo a guardare in avanti e a sviluppare nuovi insegnamenti in modo che la nostra corrente spirituale sia sempre capace di offrire pratiche concrete che parlano ai cuori dei nostri contemporanei.
Se saremo in grado di continuare a crescere, Thầy sarà con noi e continuerà a sorridere.
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Brano tratto dallo speciale Thich Nhat Hanh. Domani continuerò a essere
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Considerato da molti critici come
uno dei libri più stimolanti e provocatori di Thich Nhat Hanh,
L’unico mondo che abbiamo suggerisce una visione cruda e drammatica del futuro del nostro Pianeta, senza però fermarsi alla sterile denuncia dello stato delle cose. Anzi, il libro si presenta come un appello accorato e ricco di speranze, dove Thich Nhat Hanh, con il suo linguaggio profondo e toccante, offre una chiara visione della via da percorrere
per uscire dalla grave crisi culturale e ambientale che investe tutta la Terra: impegnarsi attivamente e in prima persona è la chiave per la sopravvivenza collettiva e individuale.
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Questa collana in formato tascabile è stata progettata per avvicinare il grande pubblico al pensiero del monaco buddhista Thich Nhat Hanh.
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Con il suo impareggiabile linguaggio semplice, e allo stesso tempo profondo e diretto, Thich Nhat Hanh introduce esercizi di meditazione e di presenza mentale da svolgere quando il conflitto prende il sopravvento, rendendoci infelici e muti. Grazie a questi esercizi è possibile imparare a trasformare ira e confusione in risorse positive, e a prenderci cura della nostra sofferenza, aiutando chi ci circonda a fare lo stesso.
Come gli altri volumi della stessa collana, anche Lottare in consapevolezza è arricchito con i delicati disegni dell’artista californiano Jason de Antonis.
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vivere felici è riconoscere e trasformare la sofferenza, non fuggire da essa. Un proposito difficile da perseguire. Il dolore ci spaventa e la società in cui viviamo ci suggerisce molteplici scappatoie per non guardare in profondità ciò che ci tormenta. C’è chi per non sentire la sofferenza usa il cibo, chi si stordisce con la televisione, l’alcol o altri strumenti di distrazione di massa.
Thich Nhat Hanh suggerisce di affrontare a viso aperto il dolore, fermarci, praticare il respiro consapevole e meditare, così da generare quell’energia necessaria per vivere a fondo la propria vita. «Quando impariamo come soffrire, soffriamo molto molto meno», afferma il maestro zen, e viviamo in modo autentico la gioia come il dolore.
Con la solita chiarezza e gioia, Thich Nhat Hanh mostra in queste pagine come affrontare con consapevolezza le ferite dentro di noi. In altre parole ci insegna l’arte della felicità.