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Pioggia acida

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Il PNRR sta introducendo nel mondo della ricerca importanti novità, che potrebbero avere conseguenze importanti per la società, l’economia e l’ambiente. L’editoriale di Nicholas Bawtree, direttore di Terra Nuova.
Pioggia acida
Nel mondo della ricerca il PNRR sta introducendo novità di cui si parla molto poco, ma che potrebbero avere conseguenze importanti e per molti versi preoccupanti sulla società, l’economia e l’ambiente negli anni a venire.
Segna il calcio d’inizio il bando pubblicato a metà dicembre scorso dal Ministero dell’Università e della Ricerca, con il quale vengono stanziati 1,6 miliardi di euro di fondi speciali per la costituzione di cinque Centri Nazionali «dedicati alla ricerca di frontiera relativa ad ambiti tecnologici coerenti con le priorità dell’agenda della ricerca europea» sui seguenti temi strategici:
– simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni;
– tecnologie dell’agricoltura (agritech);
– sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA;
– mobilità sostenibile;
– biodiversità.
I Centri Nazionali vedranno la partecipazione di università e centri di ricerca pubblici, ma anche altri soggetti sia pubblici che privati, quindi anche partner industriali. Si sta pertanto delineando la formazione di grossi accordi che attraggono le cosiddette «eccellenze» del campo della ricerca, e non è da escludere che si converga verso cordate uniche nazionali.
Le criticità sono di diverso tipo. Prima di tutto, ancora una volta, i finanziamenti andranno a chi ha già ottenuto fondi per portare avanti ricerche di alto livello, secondo una prassi purtroppo comune nel nostro Paese. Inoltre, se si formeranno cordate uniche, la costituzione dei Centri non si baserà sulle usuali regole di competizione e verosimilmente si favoriranno filoni di ricerca già consolidati a discapito di idee realmente innovative, che in settori strategici come quelli oggetto del bando farebbero veramente la differenza. Anche se il bando recita che «le risorse finanziarie […] dovranno concorrere al perseguimento degli obiettivi climate e digital», il rischio è quello del solito greenwashing.
Ma la cosa forse più preoccupante è che in questi Centri Nazionali le aziende avranno un ruolo molto rilevante. Certo, i partner industriali (gli altri soggetti pubblici o privati di cui sopra) dovranno sempre essere in minoranza rispetto agli enti di ricerca coinvolti, ma se ad esempio si forma una cordata di 10 università, i partner industriali potranno essere fino a 9. E non si parla di piccole imprese. Così come si premiano le «eccellenze» nella ricerca, anche i partner industriali saranno grandi nomi. Non è difficile immaginare, per fare solo un esempio, che sarà cruciale il ruolo di aziende come Eni o Enel quando si parlerà di energia e mobilità.
Le conseguenze sono facilmente prevedibili: si andranno a delineare percorsi di ricerca che, avendo escluso in partenza iniziative spontanee e indipendenti, tenderanno a essere incentrati sulle esigenze dell’industria. Per intendersi, niente città a misura di pedone e di ciclista, ma piuttosto a misura di auto elettrica. Lo stesso principio varrà per l’agricoltura, la biodiversità, l’intelligenza artificiale, la farmacologia.
In un momento in cui alla ricerca servirebbero più che mai indipendenza e risorse a sostegno delle nuove generazioni e delle loro idee, e a noi servirebbe un paradigma di decrescita, si assiste invece a un passo deciso verso una sempre maggiore commistione con la grande industria. Per l’ennesima volta, piove sul bagnato. E temo che sarà una pioggia acida.
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Editoriale tratto dal mensile Terra Nuova Febbraio 2022

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