Nel 2019 la commissione di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto di cancellare la cannabis e la sua resina dalla IV tabella della Single Convention on Narcotic Drugs del ’61, il registro che contiene le sostanze particolarmente dannose e di valore medico ridotto, e che si prefiggeva di far scomparire la canapa dal mondo intero entro 25 anni dalla sua entrata in vigore.
In tutti questi anni la canapa non è stata eradicata, e si è diffusa come mezzo ricreativo e di evasione, soprattutto negli anni della controcultura americana, fino a diventare d’uso comune tra i giovani di tutto il mondo, lasciandone il controllo economico alla criminalità organizzata.
Uno dei principali ostacoli alla diffusione della cannabis è stato proprio una sorta di pregiudizio culturale. Medici e ricercatori ancora oggi dibattono sugli eventuali danni alle funzioni cognitive per l’utilizzo abituale di marijuana a scopo ricreativo. Ragionevolmente se ne sconsiglia l’uso nella fase adolescenziale, quando la maturazione cerebrale è ancora in corso. Ma allo stesso tempo sono emerse delle evidenze che hanno imposto un ripensamento. Il passaggio cruciale è stata la scoperta del sistema endocannabinoide nel cervello: oggi sappiamo che i fitocannabinoidi contenuti nella canapa, agiscono in sinergia con tale sistema, rendendone possibile l’utilizzo per trattare una serie di sintomi e malattie.
Le resistenze tuttavia sussistono, soprattutto a livello politico, e nel mondo dei medici c’è ancora titubanza. Nel mondo scientifico le perplessità sono riferite principalmente agli effetti psichici. In determinati ambiti viene ancora considerata una droga al pari di tutte le altre droghe proibite. Mentre in realtà potrebbe essere considerata un farmaco come tanti altri, anzi decisamente migliore, proprio in relazione al favorevole rapporto benefici-danni. Gli effetti psichici possono essere ben gestibili, e sono comunque meno invadenti e pericolosi di quelli indotti dalle sostanze alcoliche e psicofarmacologiche.
Anche se la si inquadra come stupefacente, in effetti, la sua pericolosità fisica, psicologica e sociale secondo la classificazione operata da The Lancet, è ritenuta ampiamente più bassa rispetto a sostanze come l’alcol e il tabacco. Ma anche rispetto a molti dei farmaci in commercio presenta un’innocuità maggiore. Ricordiamo che la prescrizione di un farmaco implica necessariamente la valutazione dell’efficacia terapeutica e degli effetti collaterali. Ebbene la cannabis è tra i farmaci più sicuri sia quoad vitam, poiché non ha una dose letale da sovradosaggio, sia per tossicità acuta e cronica. Un’overdose di cannabis è possibile solo teoricamente, ma nel concreto è praticamente impossibile.
Oggi sappiamo che gli effetti avversi del THC, il principale cannabinoide che genera l’effetto psicotropo, possono essere eliminati o comunque attenuati con un altro cannabinoide, il CBD. Se eliminiamo del tutto il CBD, come va per la maggiore nella cannabis ad uso ludico, ma anche in alcune formulazioni terapeutiche disponibili ad oggi in farmacia, per molte persone la cannabis diventa una sostanza più difficile da gestire, perché non opportunamente controbilanciata e calibrata sul paziente. A ciò si aggiunge che anche la componente psicologica e sociale ha la sua importanza. In un contesto politico e sociale che classifica la cannabis come pericolosa, con il frequente ricorso al mercato illegale e alla clandestinità, è più probabile che per il povero paziente gli effetti collaterali siano percepiti come più forti.
Questa riflessione ci porta a scoprire il nervo scoperto della filiera.
La produzione in Italia scarseggia, la difficoltà nella prescrizione e nella preparazione rende il prodotto di difficile reperibilità, problemi a cui si sommano le difficoltà burocratiche riscontrate in alcune Regioni.
Tutto questo ha fatto sì che molte persone ricorressero proprio al mercato nero, dove non si può conoscere la qualità di ciò che si acquista. La marijuana acquistata in strada potrebbe essere spruzzata con sostanze pericolose che ne potenziano l’effetto e ne inducono la dipendenza fisica. Se invece si ha a che fare con un prodotto coltivato e trasformato in modo naturale possiamo avere una maggiore garanzia di sicurezza.
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La scoperta del
sistema endocannabinoide nel corpo umano ha aperto le frontiere a diverse
applicazioni della cannabis e dei suoi preparati in ambito terapeutico. E gli studi scientifici più recenti ampliano le
prospettive di utilizzo di questa pianta millenaria nella cura di numerosi disturbi tra cui dolore cronico, epilessia, artrite reumatoide, epatite, diabete, dermatiti, fibromialgia, Alzheimer, Parkinson e vari tipi di cancro. Questo è possibile perché nella cannabis sono presenti diverse
molecole utili sul piano farmacologico: più di 100 cannabinoidi, oltre 200 terpeni, più di 20 flavonoidi, insieme ad acidi grassi, aminoacidi, alcaloidi, clorofilla e altre sostanze preziose.
In questo libro la Società Italiana Canapa Medica, società scientifica dedita ad attività di formazione professionale e ricerca, ha voluto raccogliere e presentare in modo chiaro ed esauriente tutte le informazioni utili per i pazienti consumatori di cannabis e i professionisti coinvolti nel circuito della sua coltivazione, preparazione, prescrizione e dispensazione.
Un valido strumento ad uso di pazienti bisognosi di cura e un supporto indispensabile per medici, veterinari e farmacisti sull’uso e la corretta formulazione dei preparati che oggi, anche in Italia, possono essere prescritti e che in alcuni casi si possono ottenere gratuitamente dietro presentazione di ricetta medica.
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