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Giuseppe Li Rosi: «In Sicilia il 25% della biodiversità europea»

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Giuseppe Li Rosi è tra i protagonisti della nascita dell’associazione Simenza, che in Sicilia custodisce la biodiversità agricola e contribuisce a diffonderne la conoscenza. Li Rosi sottolinea con forza il ruolo importante della Sicilia nella produzione agricola di valore e qualità e nella ricchezza di biodiversità.
Giuseppe Li Rosi: «In Sicilia il 25% della biodiversità europea»
Giuseppe Li Rosi è tra i protagonisti della nascita dell’associazione Simenza, che in Sicilia custodisce la biodiversità agricola e contribuisce a diffonderne la conoscenza. Li Rosi sottolinea con forza il ruolo importante della Sicilia nella produzione agricola di valore e qualità e nella ricchezza di biodiversità.
«In Italia c’è il cinquanta per cento circa della biodiversità europea. In Sicilia abbiamo il cinquanta per cento della biodiversità italiana. Ne consegue che, nella nostra Isola, si concentra il venticinque per cento della biodiversità europea. Se ci riflettiamo la Sicilia, che rappresenta solo lo 0,017 per cento delle terre emerse, contiene l’uno per cento della biodiversità mondiale. In Sicilia ci sono tutte le condizioni per coltivare il grano in biologico. Bisogna crederci e lavorarci. Nella nostra Isola si potrebbero mettere a coltura tutti i 300 mila ettari di seminativi a grano locale in biologico. La Sicilia diventerebbe un Paradiso naturale del buon cibo»: dice Li Rosi.
«Non possiamo non ricordare che, nei primi anni ’80 del secolo passato, gli studenti delle facoltà di Agraria della Sicilia, agli esami di Coltivazioni erbacee, dovevano ripetere che puntare sulle varietà di grano dure ‘nane’, per evitare l’allettamento, era cosa buona e giusta. Erano gli anni in cui le cultivar di grano duro alte venivano viste come negative, perché, con il vento, potevano subire l’allettamento (piegate dal vento fino alla possibile rottura dello stelo) – prosegue Li Rosi – Erano, anche, gli anni del Creso, il nome del re della Lidia famoso per la sua ricchezza. La cultivar di grano duro Creso, varietà a taglia bassa, è stata ottenuta con ‘bombardamenti’ di raggi gamma che, nei primi anni ’70 del secolo passato, venivano considerati normali. Oggi, che è cambiata la sensibilità e anche la conoscenza di certi fatti. Il Creso è frutto di una mutagenesi indotta e selezionata dall’uomo. Con questo grano duro c’è chi ha costruito una fortuna (da qui il nome di questa cultivar). Ma, oggi, è in corso una riflessione. E ci si chiede, ad esempio, che parte abbia potuto avere il Creso nei problemi che oggi si configurano come intolleranza alimentari. Nulla di certo, per carità: solo laici dubbi che la scienza non può ignorare».
«La verità – dice ancora Li Rosi – è che ci siamo complicati la vita. La granicoltura, per decenni, ha puntato sulle varietà nane, dimenticando, ad esempio, che le cultivar di grano alte, come i nostri grani locali, sono molto competitive rispetto alle malerbe e non hanno bisogno di essere difese dalle stesse con i diserbanti chimici. Ci siamo incartati per andare dietro a tesi sbagliate. E abbiamo pure abbandonato 700 mila ettari di seminativi. Ma nulla è perduto. Ripeto: dobbiamo puntare sui grani locali della nostra Isola… Quanto al glifosato – afferma sempre il presidente di Simenza – non si capisce perché dobbiamo mangiare derivati del grano, pane e pasta in testa, ma anche altri prodotti, che contengono questo veleno. In Sicilia e, in generale, nel Mezzogiorno d’Italia il grano duro matura naturalmente. Il nostro grano duro non contiene né glifosato, né micotossine: non si capisce perché ci debbono fare mangiare, soprattutto la pasta, che presenta questi due veleni. Il fatto che ci dicono che la presenza di glifosato e micotossine DON sia entro i limiti previsti dalla normativa europea non significa nulla – sottolinea ancora Li Rosi – Noi, in Sicilia, lo ribadisco, produciamo grano duro senza la presenza di glifosato e micotossine. E allora mangiamo la nostra pasta, il nostro pane e, in generale, tutti i derivati prodotti con il nostro grano. Magari estendendo la coltura dei nostri grani antichi che rappresenterebbe una strategia valida per la tutela dell’agrobiodiversità, sia utilizzando il germoplasma dei grani locali che hanno una più ampia variabilità genetica, sia per le caratteristiche nutrizionali e salutistiche. L’agricoltura – conclude Li Rosi – presuppone la pace e l’armonia tra gli uomini e il rispetto e la cura della natura. Evitiamo di fare agricoltura e produrre cibo utilizzando sistemi di distruzione di massa che annientano l’ambiente e l’uomo. Auspichiamo, infine, che ai governi vadano uomini e donne illuminati che abbiano memoria e che difendano il proprio territorio nel pieno rispetto delle diversità».
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Letture utili

“Grani antichi. Una rivoluzione dal campo alla tavola” è il libro che si snoda come una vera e propria guida tra le diverse varietà di grani antichi, di cui tanto si parla ma che in pochi conoscono realmente, con il rischio di confonderli, di non capirne le potenzialità e di lasciare il campo a facili speculazioni.

Verna, Gentilrosso, Timilìa, Perciasacchi, Carosella sono solo alcuni dei grani che si coltivavano un tempo in Italia e che oggi tornano alla ribalta per motivi agronomici e nutrizionali.

La riscoperta dei frumenti antichi da parte di consumatori e agricoltori è una vera rivoluzione che assicura vantaggi per la salute e la biodiversità delle campagne.
In questo libro si trovano tante risposte grazie all’incontro con nutrizionisti, genetisti, agronomi, e tanti nuovi agricoltori che in tutta Italia stanno riscoprendo le antiche varietà di frumento.
La seconda parte del libro è dedicata a un avvincente viaggio nelle regioni italiane, a caccia di spighe, pastifici, forni, mulini a pietra e contadini, in una fitta trama di esperienze autentiche per la ricostruzione di una filiera del cibo ecologica e salutare.
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“Il cibo ribelle. Liberarsi dal cibo industriale, riscoprire i sapori e ritrovare la salute” è il libro che vede il contributo di FRANCO BERRINO, VANDANA SHIVA, SALVATORE CECCARELLI e CARLO TRIARICO.

Un libro che forma una nuova alleanza tra contadini, scienziati onesti e cittadini consapevoli. Per riappropriarsi del cibo vero, smascherando il grande inganno dell’agroindustria che i media spesso alimentano.

I menu più sofisticati e gli scaffali ben assortiti dei supermarket nascondono la verità di un’alimentazione sempre più “povera”, cioè industriale e carente di elementi veramente nutrienti e vivi; un’alimentazione standardizzata che ha annientato i sapori, cancellato i paesaggi e distrutto la dignità di chi coltiva la terra.
La ribellione riparte proprio da una riscoperta del gusto e da una nuova consapevolezza sulla vitalità del cibo, e questa consapevolezza ci permette di andare alla scoperta di semi e frutti antichi.
Questo è un libro che salda e racconta con approfondimenti e testimonianze una nuova alleanza fuori dagli schemi tra contadini, buongustai, scienziati onesti e cittadini consapevoli.

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