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Nuova Politica agricola comune: un’occasione mancata

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Con la Politica agricola comune sono stati fatti passi indietro, continuando a sostenere un modello di agricoltura industriale ad alto impatto ambientale. Le considerazioni di Maria Grazia Mammuccini, di Federbio.
Nuova Politica agricola comune: un’occasione mancata
La proposta originaria della Commissione europea risale al 2018. Da allora tra crisi climatica, sanitaria ed economico-sociale, si pensava ad una svolta verso un altro modello di produzione fondato sull’agroecologia, tenuto conto anche del Green Deal europeo.
Invece per la Pac (Politica agricola comune), che sarà in vigore dal 2023 al 2027, si è fatto addirittura qualche passo indietro rispetto alla proposta iniziale, senza recepire gli obiettivi delle strategie «Farm to Fork» e «Biodiversità 2030» e continuando a sostenere un modello di agricoltura industriale ad alto impatto ambientale.
Mentre i giovani spingono per azioni concrete e urgenti per il contrasto al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità e per un sistema economico sostenibile si è persa di nuovo l’opportunità di dare avvio ad una transizione agroecologica dei sistemi agricoli e alimentari.
La riforma non affronta in maniera adeguata i problemi del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità e continua a concedere sussidi in base agli ettari piuttosto che alle pratiche agricole sostenibili, premiando le imprese di grandi dimensioni piuttosto che le piccole e medie aziende diffuse sul territorio.
Di fatto si continua ad insistere su un approccio agricolo di tipo industriale che non solo ha avuto impatti disastrosi sull’ambiente ma non ha neanche garantito un reddito adeguato agli agricoltori. È invece necessario e urgente un approccio innovativo verso un modello, come quello rappresentato dal biologico e dalle pratiche agroecologiche, in grado di dare valore al cibo, al lavoro degli agricoltori e costruire sistemi locali di produzione e consumo alimentare.
Adesso la responsabilità passa agli Stati membri con i Piani strategici nazionali (Psn) nei quali, partendo dai livelli minimi fissati dalla Pac, ognuno potrà puntare di più o di meno sulle pratiche green. E parliamo di cifre considerevoli visto che alla Pac va un terzo delle risorse del bilancio dell’Unione europea: 387 miliardi fino al 2027 dei quali 50 destinati al nostro Paese.
Al momento, per il nostro Paese, nella prima bozza di Psn non vediamo la svolta necessaria verso alcune priorità strategiche come la conversione della zootecnia intensiva e la diffusione del biologico che viene considerato nel solo obiettivo dello sviluppo sostenibile.
Per il biologico dobbiamo puntare al 30% di superficie coltivata al 2027 e al riconoscimento esplicito del ruolo dell’agricoltura biologica in tutti i nove obiettivi del Piano strategico nazionale, compresi gli obiettivi relativi al mantenimento del reddito degli agricoltori e quelli legati al clima e alla biodiversità, per non rischiare di perdere un’opportunità strategica per il nostro Paese.
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Articolo tratto dalla rubrica Mondo Bio

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Gennaio 2022
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