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Green pass, vaccinovigilanza e scelte del governo: intervista al prof. Marco Cosentino

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«La certificazione verde (cosiddetto green pass) è prima di tutto giuridicamente insostenibile dal momento che viola vari articoli della nostra Costituzione oltre a un enorme numero di altre norme nazionali e internazionali. Va tuttavia soprattutto chiarito che non ha alcun fondamento di natura medica o scientifica. Il suo presupposto infatti è che chi si vaccina non possa contagiare, e questo è falso»: così il professor Marco Cosentino, docente al Centro Ricerche Farmacologia Medica dell’Università dell’Insubria.
Green pass, vaccinovigilanza e scelte del governo: intervista al prof. Marco Cosentino
Il professor Marco Cosentino, docente al Centro Ricerche Farmacologia Medica dell’Università dell’Insubria, ha una posizione estremamente critica sulla certificazione verde; nell’intervista che vi riportiamo analizza diversi elementi di cui evidenzia le contraddizioni.
Cosentino è stato anche ascoltato come esperto dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede di conversione del decreto legge del green pass obbligatorio anche per il lavoro ( QUI la sua audizione).
Professor Cosentino, partiamo dal green pass e dalla sua durata diversificata: ai vaccinati per dodici mesi (anche se la protezione offerta dal vaccino oltre che parziale appare anche più limitata nel tempo) ma che potrebbero a brevissimo diventare nove o meno ancora; i guariti solo per 6 mesi, dodici (per ora) solo se accettano di ricevere una dose di vaccino; a chi effettua un tampone durata di 48 ore. Come giudica questa scelta?
«La certificazione verde (cosiddetto green pass) è prima di tutto giuridicamente insostenibile dal momento che viola vari articoli della nostra Costituzione oltre a un enorme numero di altre norme nazionali e internazionali. Va tuttavia soprattutto chiarito che non ha alcun fondamento di natura medica o scientifica. Il suo presupposto infatti è che chi si vaccina non possa contagiare, e questo è falso: fatta 100 la probabilità media di contagiare di una persona non vaccinata, una persona vaccinata ha mediamente probabilità 10-30 nelle prime settimane dopo la vaccinazione, che a sei-sette mesi dalla vaccinazione torna a essere 100, ovvero uguale a quella di chi non si sia vaccinato. Con la precisazione che chi non si è vaccinato verifica quasi quotidianamente la sua negatività tramite test rapido, il quale nelle persone senza sintomi ha un “potere predittivo negativo” (ovvero una probabilità di dare un risultato corretto quando risulti negativo) del 99,9%. In altri termini, un singolo test con risultato negativo ha un margine di errore dello 0,01%. Ma i test vengono ripetuti a breve distanza di tempo, e dunque un secondo test negativo, che ha ancora un margine di errore dello 0,01%, consente di concludere per una probabilità dello 0,01% x 0,01% = 0,0001%, ovvero una probabilità irrisoria che quella persona possa non essere positiva. In altri termini, affermare “per legge”, come vorrebbe fare il green pass, che una persona vaccinata non possa contagiarsi e quindi contagiare altri è un falso scientifico pericoloso per la salute pubblica, dato che induce nelle persone l’ingannevole convinzione di non poter contrarre il covid. Così in questo clima, chi si sia vaccinato e manifesti sintomi è portato a pensare di avere un semplice raffreddore o un’influenza stagionale e non si sottopone a test covid, tralasciando peraltro le recenti notizie di cronaca secondo cui i green pass non sempre verrebbero disattivati a fronte di test covid positivi. Converrebbe inoltre ricordare che i più recenti bollettini dall’Inghilterra stanno mostrando come i nuovi contagi stiano diventando più frequenti tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati ( QUI – Tabella 2 e Figura 2)».
Come giudica le continue sollecitazioni che arrivano dagli esperti intervistati ogni giorno su giornali e tv che iniziano a dire sempre più insistentemente che bisogna togliere il green pass a chi fa il tampone senza essere vaccinato? Ha un senso sanitario o no? Se no, che senso ha secondo lei? Cosa sottende, se sottende qualcosa?
«È un’assurdità: chi sostiene posizioni del genere non sa quel che dice e diffonde notizie sbagliate e pericolose per la salute e la sicurezza pubbliche. I tamponi antigenici rapidi eseguiti frequentemente sono oggi lo strumento migliore per identificare rapidamente le persone contagiate e che potenzialmente possono dunque contagiare altri, consentendo così di raccomandare loro di autoisolarsi e soprattutto di iniziare tempestivamente le appropriate terapie senza attendere eventuali aggravamenti. Tra l’altro, vedo che si parla con insistenza di green pass di durata ridotta, ma va detto con chiarezza che è un’ipocrisia: la vaccinazione protegge chi la fa, ma senza mai azzerare il rischio di contagiarsi e contagiare, che c’è. In forma ridotta ma sempre maggiore rispetto a chi si sottopone a test, fin dalle prime settimane quando il vaccino ha la massima efficacia». 
Veniamo alle segnalazioni dei presunti eventi avversi, che dovrebbero essere effettuate con rigore, prontezza e sollecitudine per poi dare modo agli organi preposti di valutarle, studiarle, approfondirle utilizzando i dati per verificare la sicurezza e l’efficacia delle scelte praticate. Purtroppo è ormai conoscenza comune che con sistemi di vaccinovigilanza passivi queste segnalazioni possono essere sottostimate. Di quali ordini di grandezza secondo lei? Esistono stime in proposito?
«Impossibile fare stime. La letteratura in proposito parla di diversi ordini di grandezza per la sottosegnalazione, ma si riferisce a situazioni ordinarie, dove l’unico ostacolo alla segnalazione è rappresentato dai carichi di lavoro dei medici e dunque dalla mancanza di tempo. Oggi invece esiste un clima contrario al riconoscimento della possibilità che questi vaccini possano dare problemi anche minimi. In questo contesto, non va nemmeno sottovalutato il possibile ruolo dello scudo penale concesso ai medici vaccinatori. Come qualche giurista ha di recente acutamente osservato, anche l’irrilevanza sotto il profilo giuridico degli effetti avversi può contribuire a mascherarli. Si tratta insomma di una situazione senza precedenti, e se a questo si sommano i nuovi criteri WHO_AEFI in vigore da qualche anno per la definizione del nesso causale tra sospetti eventi avversi e vaccini, davvero diventa molto difficile definire il profilo di sicurezza di questi prodotti».
Perché secondo lei c’è questa sorta di resistenza nell’effettuare le segnalazioni? Se non emergono i presunti eventi avversi con un quadro completo come è possibile verificare sicurezza ed efficacia delle scelte di politica vaccinale e soppesarne compiutamente rischi e benefici?
«Le istituzioni hanno puntato sui vaccini come unica opzione, e questo è un errore. Che ancora tarda a esser corretto. La strategia per uscire dalla crisi è zoppa: mancano le cure, intese come il riconoscimento dell’utilità e del beneficio di certi farmaci noti, sicuri ed economici come antiinfiammatori minori e maggiori, antiaggreganti piastrinici, anticoagulanti e antibiotici, ma anche intese come la riorganizzazione di un sistema sanitario che oggi cura solo l’emergenza in ospedale, come se le appendiciti si dovessero operare solo quando vanno in peritonite. Con le cure, la prevenzione riacquista il suo ruolo corretto e i vaccini non si trovano più nella condizione di atleti cui si chiedono prestazioni che non possono dare. E invece non attrezzandoci per gestire la cura è come se pretendessimo di correre la 4 x 100 con un solo atleta: potrebbe essere il nuovo Bolt, ma l’esito è comunque scontato. La “resistenza” credo nasca da questo malinteso: tutti intorno al malcapitato corridore a dirgli che può farcela, ovvio che in queste condizioni chi dica invece che forse potrebbe anche avere qualche problema viene tacciato di disfattismo».
L’Oms ha affermato che l’Europa è il continente in cui si assiste a un nuovo forte aumento invernale dei casi di covid nel mondo. Com’è possibile stando all’approccio fin qui seguito che vede proprio l’Europa con il tasso più alto di popolazione vaccinata al mondo?
«Non conosco i dati OMS, ma ho presente un recente studio che mostra con chiarezza che non c’è alcuna correlazione tra diffusione del covid e tassi di vaccinazione. Mi pare ovvio: come ci dicevamo poco fa, la prevenzione vaccinale è una componente di una strategia che per essere efficace deve comprendere molto altro».
Cosa ne pensa del ragionamento (che ha informato scelte diverse in altri paesi) secondo cui un approccio efficace è quello di proteggere le fasce più a rischio degli anziani e dei pluripatologici, lasciando che il virus si “endemizzi” producendo diffusa immunità naturale nel resto della popolazione?
«Proteggere eventualmente anche tramite l’offerta delle vaccinazioni i soggetti più vulnerabili è del tutto sensato, attrezzandosi nel frattempo per curare il covid secondo le migliori esperienze già oggi disponibili. Considerando che i dati epidemiologici ci indicano con chiarezza che ci sono fasce di popolazione quali i giovani in salute, direi almeno dai trenta anni in giù, per cui il covid rarissimamente costituisce un rischio rilevante, e la cui acquisizione di forme naturali di immunità aiuta a proteggere anche le fasce più vulnerabili».

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