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Ambientalisti e società civile: «Chiusa la Cop26 a Glasgow, un fallimento»

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Le posizioni sull’esito della Cop26 di Glasgow vedono d’accordo associazioni ambientaliste e società civile: un fallimento. Il carbone resta e l’Europa si è defilata. Nulla di buono nel presente né all’orizzonte.
Ambientalisti e società civile: «Chiusa la Cop26 a Glasgow, un fallimento»
«La Conferenza di Glasgow si chiude con un testo che, partito debole in partenza, è stato ulteriormente indebolito al filo di lana sul tema dell’eliminazione del carbone, su richiesta dell’India. La distanza tra l’urgenza delle azioni necessarie e la lentezza negoziale non è certamente una novità, ma questa volta è scritta nero su bianco» scrive su Il Manifesto Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace.
«Il gap tra l’attuale tendenza (di almeno +2,4°C) e gli impegni per realizzare l’obiettivo non ci sono. Si rimanda al 2022 la presentazione dei nuovi obiettivi volontari, in ritardo dunque rispetto alla tabella di marcia fissata a Parigi nel 2015. (…) Sin dal 2015 era evidente che l’andamento delle emissioni e degli impegni già assunti portavano verso un aumento molto maggiore della temperatura media globale, ben oltre i 2°C e dunque fuori dall’obiettivo di rimanere “ben al di sotto” di quella soglia e possibilmente verso 1,5°C».
«La nota più dolente riguarda il carbone. L’emendamento proposto dall’India, e poi approvato pur di chiudere il negoziato, di sostituire la progressiva eliminazione (phase-out) del carbone con la sua riduzione (phase-down) è il segno del fallimento di questa COP26. Ma anche con questo annacquamento, il carbone rimane la prima fonte energetica da eliminare nella lista ed è interesse di tutti i Paesi farlo e quelli ricchi dovrebbero aiutare a finanziare questa transizione» prosegue Onufrio.
«Sulla questione degli “offset forestali” – cioè i permessi di emissione associati alle compensazioni forestali, il testo è molto ambiguo e pieno di scappatoie ed è stato annunciato dal segretario generale dell’ONU che verrà sottoposto a revisione. Molto c’è ancora da fare per evitare che il commercio di questi certificati vanifichi ogni serio sforzo di ridurre le emissioni».
Riguardo al documento congiunto Cina-USA, Onufrio afferma: «pur non contenendo impegni minimamente adeguati alla sfida, si spera possa tradursi in una collaborazione fattiva di cui ci sarebbe bisogno».
«Del tutto deludente, invece, la presenza dell’Unione Europea segnata da ipocrisia e vero e proprio greenwashing. Nelle ultime due settimane, infatti, le proposte della Commissione hanno dato il via libera per autorizzare in modo accelerato le infrastrutture del gas fossile che hanno inserito nella proposta di Tassonomia (per definire cosa è “sostenibile”) assieme al nucleare e, in questi giorni, i funzionari stanno lavorando per indebolire la proposta di normativa che metta al bando l’importazione di prodotti provenienti da deforestazione. Il “Green New Deal” europeo – in attesa del nuovo governo tedesco? – ne esce davvero ridimensionato. L’Italia ha inaspettatamente aderito alla coalizione BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance). Si tratta di un piccolo gruppo di Paesi che si pone l’obiettivo eliminare anche petrolio e gas. Abbiamo però aderito senza impegni precisi al grado minimo di coinvolgimento, come “amici”. Vediamo se come “amici” di quelli che vogliono eliminare anche petrolio e gas il governo sarà capace di far ripartire le rinnovabili (e non le trivelle), come ha promesso, sbloccando i processi autorizzativi come anche in questi giorni va annunciando».
Di fallimento parla anche Luca Manes di ReCommon.  «D’altra parte nemmeno avevamo molte aspettative e non abbiamo ritenuto per nulla giustificato l’entusiasmo di qualcuno dopo la conclusione del G20». Parla di «passi tutt’altro che solidi», di «enormi difficoltà confermate e di divisioni e limiti ultraevidenti e ratificati». «Il prossimo summit sarà in Egitto l’anno prossimo e prevediamo fortissime resistenze alla necessità manifesta ormai di smettere di estrarre gas fossile».
Secondo Slow Food, quello uscito dalla Cop26 è «un accordo ampiamente insufficiente».
«Siamo sgomenti per la mancanza di ambizione che emerge dai contenuti dell’accordo» commenta Marta Messa, direttrice di Slow Food Europa.
Secondo Shane Holland, presidente esecutivo di Slow Food nel Regno Unito, «è incredibile come in queste occasioni si continui a non prendere in considerazione il sistema alimentare industriale, che pure rappresenta la seconda causa di emissioni a livello globale. La COP26 avrebbe dovuto aprire la strada alla transizione verso sistemi alimentari basati sull’agroecologia, quelli cioè in grado di immagazzinare il carbonio nel terreno, proteggere la biodiversità, ristabilire la fertilità del suolo e favorire maggiori rese nel tempo, assicurando in questo modo la sopravvivenza delle aziende agricole e alimenti sani per tutti. Non ci può essere una vera transizione verso sistemi alimentari sostenibili senza una politica di finanziamento dei sistemi agroecologici che segua obiettivi vincolanti, cosa che nella dichiarazione finale della COP26 manca completamente».  

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