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GranoTurismo: per scoprire di che pasta siamo fatti

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La storica Cooperativa Girolomoni apre le porte della propria sede al Monastero di Montebello, a pochi chilometri da Urbino. Un’occasione per entrare in contatto con la filiera sostenibile del grano, che parte dal seme e, attraverso le mani di coltivatori e artigiani, passa per il mulino e il pastificio, fino ad arrivare sulla tavola.
GranoTurismo: per scoprire di che pasta siamo fatti
Chi da anni naviga nel mondo del biologico sa bene che Girolomoni è un nome di cui ci si può fidare. Per tutti gli altri, quelli che si affacciano per la prima volta al cibo naturale, ci sarebbe una lunga storia da raccontare. Ma forse quello sguardo bonario e un po’ accigliato di Gino Girolomoni sui pacchi di pasta e nelle brochure aziendali continua a dire qualcosa anche a chi non lo ha conosciuto. Perché si capisce che là dietro c’è una storia fatta di sogni, grandi slanci e qualche breve caduta, da cui questa storica cooperativa è sempre stata capace di rialzarsi.
I numeri sono cresciuti non c’è dubbio. Ma non sono solo numeri, sono persone, posti di lavoro, e campi, che hanno ritrovato la loro vocazione agricola senza l’uso della chimica. Anche se Gino da qualche anno non c’è più, la sua famiglia, insieme ai soci, continuano a testimoniare che il sogno delle origini è ancora ben presente.
La cooperativa oggi ha trenta soci e settanta dipendenti, coinvolge nella filiera 400 aziende agricole italiane, di cui il 76% sono marchigiane. La pasta, il prodotto simbolo della cucina italiana, su queste colline ha ritrovato una nuova dignità, e il marchio Girolomoni continua a farsi apprezzare in tutto il mondo per il gusto, la digeribilità, e il carattere etico.
Per tutti gli affezionati lettori della Guida Nomade la buona notizia è che la cooperativa con sede al Monastero di Montebello nel comune di Isola del Piano (Pu) sull’alta collina marchigiana, a pochi chilometri da Urbino, da qualche anno ha aperto le porte ai visitatori.

Accoglienza rurale

I figli hanno raccolto i valori della civiltà contadina trasmessi da Gino e dalla moglie Tullia, come il rispetto per l’uomo e la natura, con il compito di preservare la fertilità e la biodiversità.
E la voglia di condividere e allargare il giro li ha portati a riqualificare una casa colonica e una parte del monastero, per accogliere gli ospiti. La visita del posto offre l’occasione di entrare in contatto con una filiera che parte dal seme e, attraverso le mani di coltivatori e artigiani, passa per il mulino e il pastificio, fino ad arrivare sulla tavola.
Un concetto riassumibile come GranoTurismo, che suona come una nuova formula dei tour operator, ma non è altro che un modo sincero per far capire di che pasta sono fatte queste persone: tutto quanto ruota attorno al grano e alla sua cultura.
Il giovane Gino, sin dai suoi primi passi da attivista e politico, si era posto l’obiettivo di restaurare il vecchio monastero di Montebello, facendone la propria casa e un luogo di confronto sul futuro della civiltà contadina. Qui, dagli anni ’70, ha sede la cooperativa agricola insieme alla Fondazione Girolomoni, che ancora oggi promuove incontri e attività formative e culturali, e al Museo della Civiltà Contadina.
La locanda, in una casa colonica ristrutturata, dispone di sei camere per un totale di 16 posti letto, un ristorante per 60 persone al chiuso e un pergolato esterno per 60 persone affacciato sulle colline con accanto una piscina, trattata senza cloro, con acqua e sale. La cucina, a primavera e in autunno è aperta nel fine settimana; da giugno ad agosto tutti i giorni sia a pranzo che a cena, tranne il martedì. Il monastero dispone di quattro camere e un appartamento per un totale di 11 posti letto e si presta particolarmente alla realizzazione di corsi, meeting o giornate di studio perché contiene due grandi saloni, uno per accogliere cento persone e l’altro per ospitarne duecento.

Passaggi di consegna

Il legame della cooperativa con la famiglia è ancora profondo, a partire da questo luogo, che è diventato il simbolo stesso del marchio commerciale. Un marchio cambiato nel tempo, perché fu prima Alce Nero, poi Fattoria di Montebello, per poi prendere definitivamente il nome di famiglia. Giovanni Battista Girolomoni ci racconta tutti i passaggi e tutti i trascorsi umani e aziendali con estrema umiltà. «Alcune vicende commerciali sono state disarmanti» ci confida. «Fummo costretti a cedere il marchio Alce Nero, che per noi era identitario. E lo abbiamo vissuto come un lutto. Abbiamo impiegato qualche anno a ripartire. La scomparsa improvvisa di Gino poi è stato un duro colpo per tutti, non solo a livello familiare. Nostro padre non se la sentì nel 2005 di rinominare l’azienda con il marchio Girolomoni, ma nel 2011, poco prima di morire si convinse, e ci dette la sua benedizione. Purtroppo non fece mai in tempo a vedere il nome stampato sui pacchi. Ma senza la sua volontà non avremmo avuto il coraggio di fare questo passo».
Oggi il percorso sembra in discesa. «Siamo un’eccezione nel mondo della pasta biologica. Negli ultimi anni siamo cresciuti molto dal punto di vista commerciale sia all’estero che in Italia, anche nel 2021. E con noi è cresciuta anche tutta la filiera agricola. Con l’acquisto del molino, entrato in funzione nel 2019, abbiamo aggiunto l’anello mancante, che ci ha dato una spinta in più». Il sito produttivo di Isola del Piano comprende 80 ettari coltivati e lo stabilimento, alimentato ad energia rinnovabile, con mulino, pastificio e magazzini.
Il grano, prodotto in proprio e dalle aziende associate, viene macinato presso il molino di Montebello e diventa semola, che viene impastata nel giro di poco tempo con l’acqua di collina nel pastificio adiacente. La pasta viene essiccata lentamente, a una temperatura che varia dai 60 ai 65° C, dalle 7 alle 12 ore a seconda del formato, per preservare al massimo nutrienti e profumi del grano.

Una scelta di principio

Quella che si produce a Montebello non è una pasta che si trova nella grande distribuzione organizzata. E la cooperativa ha le sue buone ragioni. «Il motivo principale è la creazione del valore» ci spiega Giovanni Battista Girolomoni. «Negli anni ’70 eravamo la prima e unica pasta biologica presente sul mercato. Oggi quasi tutti i grandi player fanno anche pasta bio. La concorrenza è aumentata e dobbiamo confrontarci anche con loro. Per noi, però, il biologico non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Non è una questione di moda. Su questo la grande distribuzione non ci dà affidabilità. Quando la domanda rallenta toglie le referenze bio dagli scaffali, ma noi abbiamo bisogno di garantire stabilità ai nostri agricoltori. Le scelte che ci contraddistinguono non sono facilmente trasmissibili sullo scaffale del supermercato. Preferiamo lavorare con i gruppi d’acquisto o con i negozi specializzati, con dei negozianti che ci conoscono personalmente, che vengono a trovarci».
L’ultima rivoluzione compiuta riguarda il packaging. «Già mio padre era intenzionato a risolvere il problema della plastica. Nel tempo ci sono state proposte tante alternative, come la carta accoppiata con la plastica, che potevano apparire magari migliori all’occhio del consumatore, ma che nella realtà non ci convincevano, perché rendevano difficile la raccolta differenziata. Poi è arrivata la soluzione di poter saldare in bobina in 100% carta, una carta ottenuta da foreste gestite in maniera responsabile». Anche gli inchiostri sono a base acqua e le lacche termosaldanti sono a base acqua e prive di solventi.
La gamma «Grani di una volta» è confezionata in sacchetti realizzati con carta certificata e finestra in pellicola di cellulosa (Natureflex) facilmente separabile e differenziabile nell’umido.
Più si conosce questa realtà, più tutto fa pensare che la sua storia andrà avanti ancora a lungo. E chissà che non possa essere d’esempio per sempre più persone.
PER SAPERNE DI PIÙ: www.girolomoni.it
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Articolo tratto dalla rubrica La guida nomade

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Febbraio 2022
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