Cibo insano. La follia (sempre più) tragica del mercato (sempre più) globale
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È più economico trasportare il cibo su e giù per il mondo perché venga lavorato da industrie lontane piuttosto che farlo trasformare laddove viene prodotto: è un’altra delle follie tragiche di un mercato sempre più globale che ha fatto del cibo una merce su cui speculare e che si fa beffe di etica e diritti. Tra le voci autorevoli che lanciano l’appello per un nuovo paradigma senza ipocrisie e greenwashing c’è anche Local Futures, il movimento internazionale per una nuova economia fondato e guidato da Helena Norberg-Hodge, linguista, autrice e regista, da anni impegnata su questi temi
«È più economico trasportare il cibo su e giù per il mondo perché venga lavorato da industrie lontane piuttosto che farlo trasformare laddove viene prodotto: è un’altra delle follie tragiche di un mercato sempre più globale che ha fatto del cibo una merce su cui speculare e che si fa beffe di etica e diritti. E sapete perché? Perché, per esempio, «il salario minimo in Scozia è quattro volte quello di un cinese e perché i sussidi, diretti e indiretti, alle fonti fossili (nell’ordine dei cinquemila miliardi di dollari ogni anno) rendono questo sistema energivoro paradossalmente più economico per l’agroindustria, malgrado gli insostenibili costi per l’ambiente e le iniquità che si generano per i contadini»: tra le voci autorevoli che lanciano l’appello per un nuovo paradigma senza ipocrisie e greenwashing c’è anche Local Futures, il movimento internazionale per una nuova economia fondato e guidato da Helena Norberg-Hodge, linguista, autrice e regista, da anni impegnata su questi temi, nonché autrice del libro L’economia della felicità. La rinascita delle economie locali per una società più giusta.
«Le regole a livello internazionali sono lassiste e permettono anche che il cibo sia poi re-importato nel paese d’origine beneficiando di politiche fiscali vantaggiose» spiegano dal movimento. E a rimetterci è il consumatore finale che si ritrova, per esempio, nei supermercati «mele che hanno percorso migliaia di chilometri solo perché sono più economiche di quelle coltivate dai produttori locali, anche se si tratta in quel momento del prodotto di stagione».
Effetti anche sul clima
Un mercato globale ormai schizofrenico ha anche un forte impatto sui cambiamenti climatici. «Nel 2012 i trasporti commerciali hanno prodotto oltre un milione di tonnellate di CO2 al giorno, più delle emissioni di Inghilterra, Canada o Brasile, con la previsione che aumentino del 17% di qui al 2050 se le cose non cambieranno. La crescente industria aeronautica produrrà un ulteriore 20% di emissioni globali al 2050, senza contare tutte le altre infrastrutture e produzioni industriali necessarie per i trasporti su lunga distanza. Gli accordi sul clima di Parigi non hanno tenuto in conto le emissioni prodotte dal commercio internazionale: la CO2 emessa da migliaia di petroliere, di container e di aerei-cargo che attraversano il globo non compaiono nel calcolo delle emissioni di alcun paese. Perché? Evidentemente i politici ritengono che il Pil mondiale sia più importante del clima: una follia».
Il cibo come merce
La globalizzazione applicata al cibo esige, peraltro, che esso sia una merce interscambiabile, uniforme, dalle caratteristiche standard e l’agricoltura intensiva e l’agribusiness sono perfetti per lo scopo: monocolture enormi che azzerano ogni biodiversità e forniscono grandi quantità di prodotti, come sottolinea Local Future.
E, fattore probabilmente non ultimo per importanza, la manipolazione pubblicitaria di Big Food ci ha fatto assorbire una concezione del cibo quasi come uno status symbol, almeno questo è quanto è avvenuto e avviene in molte parti del mondo. Quindi, si alimenta la richiesta che a sua volta alimenta il mercato globale.
Da queste analisi parte il rinnovato appello di Local Future che invita tutti a fare la differenza con le proprie scelte quotidiane: «Dite no alla follia del mercato globale; parlate di questi argomenti con tutti quelli che conoscete e che hanno voglia di ascoltare; battetevi per la fine dei sussidi e dei vantaggi fiscali per le multinazionali; fate la differenza con i vostri acquisti quotidiani e con le vostre scelte di vita». Perché questo libero mercato genera libertà solo per chi specula.
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