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Stefano Mancuso: «Mille miliardi di alberi per salvarci il futuro»

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In meno di cinquant’anni, il riscaldamento globale avrà reso inabitabile il 18% della Terra e 2 miliardi di persone non potranno più stare nei luoghi in cui vivono oggi. In questa prospettiva drammatica, il noto botanico e saggista Mancuso propone una soluzione concreta: piantare alberi per ridurre la CO2.
Stefano Mancuso: «Mille miliardi di alberi per salvarci il futuro»
Stefano Mancuso ci ha incantati fin dal suo primo libro. Verde Brillante, uscito nel 2013, ha spiegato per la prima volta con semplicità al grande pubblico l’intelligenza delle piante. La componente verde del nostro Pianeta ha finito di recitare la parte della tappezzeria e si è rivelata la protagonista della festa.
Grazie alle sue ricerche le piante hanno smesso di essere solo cose utili per la produzione di ossigeno, l’alimentazione, il legno o l’ombreggiamento e sono finalmente apparse, anche a noi umani egocentrici, degli esseri viventi sensibili, ben organizzati per la sopravvivenza e la conquista del Pianeta, vere protagoniste del proprio destino. Adesso Mancuso ha da dare un nuovo messaggio: sono proprio le piante l’unica soluzione capace di salvarci dal disastro, ma servono subito mille miliardi di alberi.

Un’alleanza verde

Il professor Mancuso, che nel 2005 ha fondato il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale per studiare il comportamento delle piante, è tuttora promotore di numerose ricerche, ma al contempo porta avanti una intensa attività di divulgazione. Ho recentemente assistito ad un suo incontro pubblico presso il Complesso agricolo forestale regionale di Monte Ginezzo, a Cortona, dal titolo «L’intelligenza delle piante». Il professor Mancuso, però, ha chiarito subito che il suo intervento avrebbe avuto un andamento un po’ diverso da quanto indicato nel titolo. «Fino a cinque o sei anni fa» ha spiegato «raccontavo quanto fossero belle e brave le piante. Poi ho pensato che non potevo più fare solo questo. Continuo a parlare delle piante perché sono l’unica soluzione che abbiamo per risolvere i problemi, ma i problemi vanno raccontati. Altrimenti dov’è la divulgazione della scienza, la condivisione dei risultati? Quando racconto cosa sta accadendo mi baso esclusivamente su dati scientifici, non ci sono mie valutazioni. Vi voglio avvertire».

Il report inglese: l’estinzione corre

I problemi a cui si riferisce Mancuso sono quelli legati al riscaldamento globale, il global warming, che lui preferisce non chiamare cambiamento climatico, climate changing, perché questa seconda definizione nasconde la gravità del fenomeno, lasciando intendere che si tratti di un cambiamento a cui semplicemente adattarsi.
A Cortona, Mancuso ha presentato i dati contenuti nel report sulla situazione del nostro Pianeta, pubblicato a febbraio 2021 in Gran Bretagna, dal titolo The economics of biodiversity: the dasgupta review. Il report è stato commissionato dal governo britannico al professor Partha Dasgupta dell’Università di Cambridge, che lo ha prodotto coordinando un gruppo di scienziati. «Dal report si scoprono alcune cose paradossali» racconta Mancuso.
«Sapete che siamo nel bel mezzo di quella che viene chiamata “la sesta estinzione”. Le attività umane stanno portando a una estinzione di specie e il tasso di questa estinzione oggi viaggia a una velocità che è dalle cento alle mille volte superiore al normale. Nella storia del Pianeta non c’è mai stato un tasso di estinzione così veloce. Per rendere più chiaro ciò che sto dicendo prendiamo in considerazione la fine del Cretaceo, quando è caduto il meteorite sullo Yucatan e si sono estinti tutti i dinosauri. Tutto questo non è accaduto come vediamo nei film. La caduta del meteorite ha provocato un cambiamento del clima, che è durato milioni di anni, durante i quali si sono estinte il 75% delle specie viventi. Quindi la quinta estinzione è avvenuta per un evento catastrofico, ma nell’arco di milioni di anni. Oggi la catastrofe siamo noi, ma le specie si estinguono in decine di anni. La differenza è fondamentale perché se l’estinzione avviene in milioni di anni le altre specie si adattano. Se tutto accade così in fretta non si adatta nessuno».

La scomparsa del mondo selvatico

«Sapete dei mammiferi presenti sul Pianeta cosa è rimasto? Oggi, nella classe a cui apparteniamo anche noi, l’80% degli individui sono animali allevati dall’uomo. Significa che l’80% dei mammiferi presenti sul Pianeta sono maiali, vacche, pecore, capre, conigli e poche altre specie. L’85% degli uccelli presenti oggi sul Pianeta, invece, sono pollame. I bambini che sono qui oggi, quando avranno cinquant’anni non vedranno nel mare un solo pesce selvatico.
A questa velocità di estinzione, nel 2070, nel mare non ci saranno più pesci. Lo dice Dasgupta e vi sto citando lui perché è un degli scienziati più seri oggi sul Pianeta. Gli unici pesci che esisteranno tra cinquant’anni nel Pianeta saranno quelli che l’uomo alleva».
Se il quadro del prossimo futuro per gli animali è drammatico, guardando alle piante non c’è da sorridere. «Il 75% delle specie da fiore, le Angiosperme, sono in pericolo di estinzione» prosegue Mancuso. «E quando parliamo di piante sappiate che tiriamo i numeri a caso perché probabilmente conosciamo meno del 50% delle specie esistenti sul Pianeta. Gran parte di queste specie sono destinate a scomparire e non le vedremo mai più. Si potrebbe dire, facendo i cinici: chi se ne frega se scompaiono tutte queste piante e questi animali. Ma non possiamo ignorarlo perché dalle piante conosciute, a parte l’utilità diretta, provengono il 92% circa dei principi attivi usati in medicina. Domanda: nel 50% delle specie che ancora non conosciamo che cosa c’è?
È lecito immaginare che avremmo trovato in esse la cura di qualunque malattia umana. Il fatto che le perdiamo senza averle mai viste è un danno enorme. Ma il danno fondamentale è un altro: la vita è una rete di connessioni tra le specie. Se non c’è una rete di connessioni tra gli esseri viventi, la vita scompare. Oggi tutti quanti abbiamo, più o meno, idea di cosa sia una rete. Conosciamo internet, le reti di dati. Una rete può essere danneggiata fino a un certo punto, si possono togliere dei nodi e continua a funzionare. Ma quando se ne tolgono troppi la rete collassa, crolla tutto. Ed è esattamente quello che sta accadendo al Pianeta». […]

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