Rivoluzionarie. Si possono certamente definire tali tutte quelle soluzioni che permettono di pesare sempre meno sull’ambiente, diminuendo l’impronta che noi esseri umani lasciamo sul Pianeta.
E di soluzioni alternative nell’ambito tessile ce ne sono parecchie e sempre di più, grazie anche alla tecnologia e al suo connubio con il mondo naturale. Ci sono i materiali ricavati dal Dna della tela del ragno, dai funghi e dalle alghe, gli scarti agroalimentari trasformati in ecopelle, il nylon ottenuto dalle reti da pesca recuperate dagli oceani.
E poi c’è la stampa 3D, in continua evoluzione grazie al lavoro di alcune start-up e di laboratori universitari italiani e internazionali, che stanno mettendo a punto materiali ecocompatibili adatti a essere stampati tridimensionalmente.
Contemporaneamente ci sono designer che si servono di questa tecnica per creare interi abiti, che sono come architetture liquide, e che frequentano il Cern, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare, e il Mit (Massachussets Institute of Technology) con la stessa disinvoltura delle passerelle.
Scommettere sulle bio-plastiche
La stampa 3D per produrre diversi tipi di materiali e di oggetti, tra cui tessuti e abiti, è già di per sé una rivoluzione; il suo utilizzo permette infatti una prototipazione rapida che riduce enormemente i costi di produzione, rendendo contemporaneamente più snella e trasparente tutta la catena di fornitura. Ancora più rivoluzionaria è però la possibilità di sostituire alle plastiche derivate da bio-fossili, cioè dal petrolio, normalmente utilizzate per le stampanti 3D, le bio-plastiche, ottenute dagli scarti della lavorazione industriale di vegetali. Si tratta di plastiche derivate da fonti rinnovabili di biomassa; a seconda del processo di produzione possono essere biodegradabili, prive di tossicità al 100% e prodotte in modo sostenibile.
L’idea di questi materiali non è nuova, ma è stata ampiamente ignorata a favore delle alternative più economiche a base di petrolio ed è un peccato, perché le risorse impiegate nelle bio-plastiche hanno un impatto minore sull’ambiente, con studi che dimostrano che possono ridurre le emissioni di anidride carbonica del 30-80% rispetto alle plastiche tradizionali.
Se n’è accorta la startup siciliana Kanèsis, che produce materiali per la stampa 3D ricorrendo a processi in cui gli additivi sintetici, come i coloranti, gli stabilizzanti, i compattanti, i fluidificanti, sono sostituiti con polveri di scarto derivate da diverse filiere agricole siciliane. Ad esempio, dagli scarti delle infiorescenze della lavorazione della canapa light, Kanèsis ha ottenuto un filamento dalla colorazione naturale verdone, mentre dalla buccia di pomodoro, reperita tramite un’azienda che produce integratori alimentari e si rifornisce a sua volta dall’industria di salsa di pomodoro nella Sicilia sud orientale, ha ricavato un bellissimo filamento color rosso naturale. E poi c’è un altro tentativo riuscitissimo con i semi di melograno, da cui è uscita una polvere «dal colore sorprendente e bellissimo» dice Giovanni Milazzo, fondatore di Kanèsis, un incrocio tra verde e giallo, con punte di colore scuro che lasciano intendere la totale naturalità cromatica. L’obiettivo di Kanèsis per il 2021 è quello di lanciare gli e-commerce dove poter acquistare i filamenti Hemp (canapulo, cioè il residuo legnoso dello scarto della canapa), Weed (canapa light), Tomato (pomodoro) e Pomegrane seeds (melograno), oltre a sviluppare nuovi filamenti da altri scarti agricoli.
La risposta internazionale a Kanèsis è Zeoform, materiale prodotto dall’australiana Zeo IP Pty, derivato da biomasse lignocellulosiche come canapa, cotone, bambù, sisal, iuta, palma, cocco e altre materie prime di cellulosa. È prodotto senza colle, leganti, prodotti chimici o sintetici. Il risultato è un materiale super resistente, altamente durevole e coerente che emula legno e compositi di legno, compositi di resina, fibra di vetro e molte plastiche dure. Proprio per le sue caratteristiche può essere utilizzato in diversi ambiti, da quelli industriali a quelli artigianali e artistici.
Creativi in 3D
E poi ci sono i creativi che nella stampa 3D vedono un metodo alternativo e sostenibile alla classica produzione che lascia sempre indietro, inevitabilmente, scarti e rimanenze. Come Danit Peleg, designer israeliana, pioniera della moda stampata in 3D. Nel 2015, Danit è stata la prima stilista al mondo a creare un’intera collezione utilizzando stampanti domestiche 3D per il suo progetto di laurea presso lo Shenkar College of Engineering and Design a Ramat Gan, nel distretto di Tel Aviv. L’anno dopo è stata invitata dai Giochi paralimpici a disegnare un abito stampato in 3D per Amy Purdy, una ballerina amputata alle gambe, che si è esibita alla cerimonia di apertura, per poi essere nominata dalla Bbc, nel 2019, come una delle cento donne più influenti al mondo. La designer vede nella stampa 3D non solo uno strumento per offrire nuove opportunità nella moda e ispirare i giovani creativi, ma anche e soprattutto una tecnologia che possa ridurre drasticamente i rifiuti e l’inquinamento, fornendo un’alternativa sostenibile per il futuro in un settore tra i più impattanti.
«Immagina un mondo» racconta Danit Peleg «in cui le persone acquistano file digitali di abiti stampati in 3D, li scaricano e li realizzano a casa, su misura, senza produrre rifiuti». Perciò lei e il suo team lavorano incessantemente sia per migliorare la qualità dei materiali disponibili, assicurandosi che assomiglino a tessuti esistenti di alta qualità, come la seta e il lino, sia collaborando con le aziende di stampanti 3D per rendere il processo creativo il più fluido possibile. Nel sito della designer alcuni capi sono già disponibili per essere personalizzati e acquistati.
Iris Van Herpen, invece, è la stilista olandese conosciuta per le sue creazioni di couture liquida; il suo primo abito in 3D risale al 2010, quando alla Amsterdam Fashion Week presentò un abito che voleva replicare la forma dell’acqua nell’atto di cristallizzarsi. È lei che frequenta il Mit per le sue instancabili ricerche su materiali e per trovare ispirazioni per le nuove collezioni, è lei che collabora con scienziati e biologi per sviluppare tecniche per migliorare la sostenibilità dell’intero processo produttivo, ma la stampa 3D resta uno dei punti fermi del suo stile, che coniuga con l’uso di tessuti tradizionali per lavorazioni plissé che sembrano architetture organiche.
Non solo abiti, comunque, ma anche gioielli e accessori, come quelli tutti made in Italy di .bijouets, brand nato a Trento nel 2013, che lavora con la tecnologia di stampa 3D. I gioielli e gli accessori, come ad esempio gli occhiali da sole, sono stampati e poi rifiniti e colorati artigianalmente a mano, diventando così dei veri e propri pezzi unici. Le idee vengono trasformate in prodotti attraverso un processo quasi immateriale, impercettibile, messo a punto e perfezionato nel tempo, che rispetta l’ambiente e riduce gli sprechi e le emissioni. Poter sostituire alla poliammide sintetizzata, in uso ora, le bio-plastiche di cui abbiamo parlato sopra? Perché no? Gli sviluppi nel settore sono interessanti e proseguono incessanti.
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