I semi sono un bene comune da cui ripartire per un’agricoltura senza veleni, capace di nutrire l’intera umanità.
I semi sono una delle invenzioni più straordinarie della natura, che permette a gran parte delle piante di riprodursi e propagarsi. L’uomo ha invece inventato l’agricoltura, un passaggio epocale, in cui ha capito che può utilizzare i semi per riprodurre le piante. Da allora i semi sono il motore reale, fisico ed energetico dell’umanità, dal momento che ancora oggi grano, riso e mais forniscono il 60% delle calorie sul Pianeta. Sono i motori stessi della nostra evoluzione e della nostra civiltà.
Purtroppo, l’agricoltura odierna ha stravolto le condizioni originarie. Oggi otteniamo il 70% delle calorie da appena il 25% delle terre coltivate. Il restante 75% la coltiviamo per dar da mangiare ad animali, da cui otteniamo solo il 25% di calorie. Siamo di fronte ad un’ampia disponibilità di cibo, ma ci limitiamo a coltivare pochissime specie vegetali. L’uomo del Neolitico ne consumava mediamente 200, che diventarono poi 50 per il cittadino medio durante la Rivoluzione Francese. Oggi, invece, in media ne consumiamo soltanto 16. E oltre a ridurre le specie c’è anche una forte riduzione delle varietà.
L’economia basata sui semi
I semi sono il motore principale dell’economia e sono sempre stati fonte di ricchezza. Alcuni di questi hanno ancora oggi un enorme potere commerciale. Basti pensare che il seme di caffè è la seconda commodity del mondo dopo il petrolio. La storia è ricca di esempi sull’importanza dei semi. Quando Roma fu assediata dai Visigoti nel 408 d. C. il riscatto che chiesero alla città era 1300 kg di pepe nero. E anche durante il Medioevo, per molto tempo, i tributi venivano pagati anche in semi. Non dimentichiamo poi che Cristoforo Colombo, che con la scoperta dell’America ha inaugurato l’età moderna, andò alla ricerca di semi e spezie. Per tutto il periodo successivo, la compagnia delle Indie Orientali fondò la sua potenza sul commercio dei semi, in particolare noce moscata e pepe, principali motori economici. E la compagnia olandese delle Indie Occidentali cedette Manhattan agli inglesi per una piccola isola dell’Indonesia dove si coltivava noce moscata in grandi quantità.
In tempi assai più recenti, nel 1973, il Principe Carlo fu proclamato duca di Cornovaglia e accettò come tributo dai sudditi 350 grammi di pepe nero e 450 di cumino.
Un viaggio nel tempo e nello spazio
Il seme è una specie di capsula che permette alla pianta di viaggiare nel tempo e nello spazio. Come è stato dimostrato in seguito a degli scavi archeologici i semi, in determinate condizioni, hanno la capacità di germinare anche dopo migliaia di anni. Dentro a una giara, in Israele, sono stati ritrovati dei semi di palma da dattero, risalenti al tempo della prima invasione romana in Palestina: da quei semi sono nate varietà di palme da dattero che erano ormai date per estinte.
Le piante diffondono il proprio patrimonio genetico in tutte le maniere, attraverso il vento, l’acqua o utilizzando gli animali come vettori. Dal punto di vista funzionale, i frutti non sono altro che una custodia che serve a convincere gli animali a portare in giro i semi delle piante.
Pensate alla meraviglia di una noce di cocco: è un seme che è fatto per cadere nell’acqua dell’oceano per percorrere migliaia di chilometri dove può far nascere un’altra palma. La natura si è ingegnata per cercare di mantenere un embrione in vita nelle diverse condizioni. In questo senso, l’embrione vegetale non è meno complesso di quello animale, che richiede di essere conservato a temperature proibitive. La noce di cocco può rimanere a temperatura ambiente, è in grado di smorzare le escursioni termiche, di garantire la sterilità, mantenere un sufficiente ricambio di gas e impedire l’ingresso di patogeni al suo interno. Noi non siamo in grado di replicare tutto questo!
Il patto tra noi e le piante
Con il mondo vegetale abbiamo sottoscritto un patto, sancito circa 15 mila anni fa, con la prima domesticazione di piante di graminacee. Loro ci avrebbero semplicemente sfamato e noi le avremmo portate in giro per il Pianeta. Un patto che ha cambiato la nostra storia e quella dei cereali. E che ha gettando i presupposti per creare un modello di civiltà umana. La nascita dell’agricoltura è il modo in cui prende forma quel patto che ci lega con le piante.
Il primo testo narrativo scritto dall’uomo è un frammento di un codice sumero, in cui un padre racconta al figlio cosa deve fare per coltivare lungo un fiume, perché il terreno rimanga fertile e possa ripiantare i semi.
Ebbene, questo patto, durato migliaia di anni, oggi è stato rotto con la produzione di piante sempre più apirene (senza semi, ndr). Ad alcune specie ci siamo abituati, come alle banane: quelle selvatiche sono piene di piccoli semi, mentre noi coltiviamo solo una varietà (la cavendish) senza semi. Abbiamo fatto la stessa cosa con l’uva e gli agrumi, e in tempi più recenti, con l’avocado.
Tutte queste piante oggi sono legate all’uomo per riprodurre il proprio ciclo e per la propria sopravvivenza.
Stiamo impedendo alle piante di potersi riprodurre da sole e agli agricoltori di coltivare il proprio seme: questi sono i presupposti per permettere a poche aziende di governare il mercato. Un mercato che è sempre stato importante nella storia: lasciarlo in mano a pochi è una follia del nostro tempo!
* Lectio magistralis tratta dall’incontro Dal seme alla tavola, 21 aprile 2021.
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Articolo tratto dalla rubrica #Cibo ribelle: i protagonisti
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