Cresce in tutto il mondo la critica contro il
Vertice ONU sui Sistemi Alimentari indetto dal Segretario Generale Antonio Guterres e previsto a New York il prossimo settembre. Vertice in cui il ruolo delle multinazionali dell’agroindustria risulta pericolosamente pervasivo e dominante. Terra Nuova lo aveva anticipato nel dossier “The great greenwashing” pubblicato sul numero di febbraio della rivista, che trovate
QUI. E ne parlerà diffusamente sul numero di settembre della rivista.
Condividiamo qui con i nostri lettori l’intervista a Nicoletta Dentico comparsa sul
blog di Pierluigi Mele ospitato sul sito di RaiNews.
____
Sono ormai circa 1000 le organizzazioni internazionali e regionali della società civile, le associazioni di piccoli produttori e allevatori, le comunità indigene, gli esperti internazionali, oltre ii rappresentanti del mondo scientifico ed accademico che si preparano a una Contro-Mobilitazione virtuale e in presenza per formulare domande competenti sul futuro del cibo e per esprimere il loro
dissenso in occasione del pre-Vertice sui Sistemi Alimentari che si terrà a Roma presso la FAO, dal 26 al 28 luglio. Tra le numerose mobilitazioni globali – il programma delle tre giornate di Contro-Mobilitazione si trova online:
Call to action | Peoples’ Counter-Mobilization to Transform Corporate Food Systems – CSM (csm4cfs.org) – si inquadra
la azione di Flash-Mob nella capitale internazionale del cibo, Roma, che sarà organizzata davanti alla sede della FAO , oggi, dalle ore 11.00 alle 13.00. Per approfondire qual è la posta in gioco, nel “Pre-Summit” della prossima settimana, abbiamo intervistato Nicoletta Dentico. Nicoletta Dentico è giornalista professionista e responsabile del programma di salute globale di Society for International Development.
Nicoletta Dentico, tra pochi giorni si svolgerà a Roma (26-28 luglio) il Pre-Summit ONU sui “Sistemi Alimentari”. Prima di parlare di questo evento, vorrei chiederti: il Covid 19 quali vulnerabilità ha colpito nei “Sistemi Alimentari”?
Anche prima dell’arrivo di COVID-19, i sistemi alimentari presentavano tutti gli ingredienti di una tempesta perfetta. La ricetta di un fallimento sistemico che crea nello stesso tempo obesità e sottoalimentazione. Veniamo da decenni di “rivoluzione verde” a base di fertilizzanti e di nuove verità ibride in grado di incrementare considerevolmente la produzione, ma il problema della nutrizione nel mondo non è stato affatto risolto e anzi è in aumento, da qualche anno a questa parte. La rivoluzione verde ha aperto un vasto mercato per le operazioni delle grandi multinazionali, e intanto il cibo è diventato un prodotto di consumo soggetto a feroci speculazioni finanziarie. La strategia della rivoluzione verde insomma è stata un disastro tanto ecologico quanto economico e oggi, a causa di questa specie di colonizzazione agricola su scala globale, un numero crescente di persone non ha accesso a una dieta sana, autodeterminata. Si registra ovunque un impoverimento delle risorse naturali (le varietà ibride consumano più acqua), una distruzione dei suoli a causa dell’uso crescente di fertilizzanti chimici e pesticidi, una perdita considerevole di biodiversità. Nel contempo, nei paesi ricchi, lo spreco del cibo è la regola anche a causa di una iper-produzione scellerata e insostenibile. La pandemia ha fatto deflagrare queste disfunzioni strutturali. Ma ce ne sono altre, legate alle guerre, alle instabilità e violenze interne ai paesi (basti pensare al Tigray). Che dire? L’impennata statistica della fame documentata nell’ultimo rapporto SOFI 2021 sullo stato della sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo, pubblicato il 12 luglio, definisce gli estremi di uno scandalo di proporzioni storiche. I numeri parlano chiaro: quasi una persona su tre non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020 – un incremento di 320 milioni di persone affamate in un solo anno, da 2,05 a 2,37 miliardi.
Quali sono nell’agricoltura le vittime causate dalla pandemia?
Le prime vittime della pandemia in materia di accesso al cibo sono tutte quelle persone che vivono “hand-to-mouth”, cioè quanti dipendono dalla economia informale, quotidiana e di strada, di padri e madri che ogni giorno si giocano il tutto e per tutto per racimolare il poco che serve per nutrire la famiglia. Le misure di lockdown, spesso attuate a poche ore dal loro annuncio, hanno prodotto un trauma per centinaia di milioni di uomini e donne che nel mondo vivono, letteralmente, di questa economia del “pane quotidiano”. Nella agricoltura hanno pagato un prezzo enorme anche le frange più esposte della filiera agroindustriale del cibo, contadini e non solo, che hanno perso il lavoro nel momento in cui la globalizzazione si è fermata con l’arrivo di COVID-19. Ma COVID-19 ha d’altro canto permesso la germinazione di molte esperienze locali di beni comuni del cibo (food-commons), spesso con l’intento di rispondere ai bisogni immediati delle persone nelle diverse comunità, che oggi permettono di ri-immaginare i sistemi della agricoltura e di ricollocarli come elementi di una nuova socialità per il bene comune post-capitalista. Ci sono moltissime ombre, ma non mancano affatto le luci.
Parliamo del Pre-Summit. Perché è importante? Quali obiettivi si prefigge?
Il pre-summit sui sistemi alimentari dell’ONU previsto a Roma alla fine di luglio – di cui RAI parla incessantemente da qualche settimana come media-partner dell’evento – è una anticipazione del summit vero e proprio che avrà luogo a New York a settembre, in concomitanza con la Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il summit è stato indetto dal Segretario Generale dell’ONU e mira a definire una governance globale sulla agricoltura e l’alimentazione per fronteggiare l’emergenza della malnutrizione mondiale, e in generale gli squilibri alimentari, puntando alla trasformazione dei sistemi alimentari con soluzioni innovative che potranno servire, così si dice, a raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile – zero fame entro il 2030. Ma il diavolo sta nei dettagli.
Il Vertice sui Sistemi Alimentari a New York dovrebbe essere una vera buona notizia, visto che si occupa dei “sistemi del cibo” appunto. Dopo decenni di palese fallimento, potrebbe tracciare un appuntamento decisivo per discutere di politiche di contrasto alla fame e per promuove approcci agro-ecologici, in grado di rispettare i diritti dell’ambiente e della salute. Vale la pena di ricordare che il settore agroindustriale globalizzato produce un impatto immenso sulla distruzione delle foreste e l’accaparramento delle terre, fenomeni che mettono in pericolo il pianeta, e anche l’umanità. Purtroppo si tratta di un’occasione mancata, o peggio, di un treno che marcia in direzione del tutto sbagliata.
Cosa c’è di sbagliato nel “Food System Summit” dell’ONU?
Molte cose non tornano nella organizzazione di questo vertice, sin dall’avvio dei lavori. Il summit nasce come abbiamo detto come evento convocato dal Segretario Generale dell’ONU, ma non sotto il controllo degli Stati. Il percorso organizzativo che ha dato forma al vertice è caratterizzato da una opacità senza precedenti. Una mancanza di trasparenza che ha destato molta sorpresa e anche vivaci preoccupazioni, man mano che si è fatto strada il folgorante protagonismo del Forum Economico Mondiale (World Economic Forum, WEF) di Davos – l’elitario circolo privato che riunisce le 1000 più grandi corporations globali – come co-organizzare del vertice. I centri di interesse riuniti nel WEF, dal primo momento, hanno indirizzato i contenuti e strutturato l’agenda. La narrazione ufficiale parla di sostenibilità, di contadini e comunità indigene, persino di diritti. Ma la realtà è che il Vertice sui Sistemi Alimentari ha del tutto marginalizzato l’impianto istituzionale costituito in seno alla FAO dal 2009, nella fattispecie il Comitato per la Sicurezza Alimentare Mondiale (CFS) che prevede la partecipazione delle organizzazioni di produttori, dei popoli indigeni, dei lavoratori agricoli, dei pastori e pescatori. Per questo molte organizzazioni e associazioni internazionali storicamente impegnate sui questi temi si sono dissociate da questo evento, in esplicito dissenso dalla cosiddetta “corporate capture”, l’incontrollata influenza da parte delle multinazionali dell’agroindustria. E’ la prima volta che succede, proprio perché il CFS è l’istituzione integovernativa più inclusiva che si occupa di politica globale del cibo.
Quanto conteranno i popoli in questo Summit?
Nella vulgata ufficiale, come ho già detto, prevale una narrazione molto rassicurante, l’idea del cibo come elemento che non rappresenta solo un alimento, ma le nostre tradizioni e relazioni sociali. La narrazione ufficiale parla di coinvolgimento e partecipazione, di mobilitazione delle cittadinanze e delle comunità. Ma gli addetti ai lavori sanno bene che non è così. Dopo svariati tentativi di dialogo per correggere il tiro, per capire almeno la ratio della nuova impostazione, a dicembre 550 entità dei piccoli produttori e associazioni dei popoli indigeni e Organizzazioni non governative (ONG), hanno scritto una lettera al Segretario Generale per invocare il ricorso ad un multilateralismo degno di questo nome, ad un vero percorso democratico. A queste prese di posizioni ne hanno fatto seguito altre, provenienti dal mondo accademico internazionale (
https://www.csm4cfs.org)
. Queste iniziative si stanno moltiplicando, in uno scontro quasi insanabile tra chi considera il cibo come un diritto e un crinale di tutela dell’ecosistema, e chi lo considera come una merce da scambiare sul mercato. Posizioni critiche sono state espresse in forma scritta persino dai rappresentanti del mondo politico e scientifico direttamente coinvolti nel lavoro del Vertice, alcuni dei quali hanno denunciato il processo in itinere. Per le 380 milioni di persone rappresentate dalle organizzazioni della società civile non esistono le condizioni perché il summit, così concepito, possa garantire inclusività, né tantomeno la trasformazione integrale dei sistemi alimentari necessaria ad arginare la crisi montante della fame nel mondo, l’emergenza climatica e ambientale.
Al Pre-Summit ci sarà anche Agnes Kalibata. Una personalità che sta facendo discutere, perché?
Sì, il segnale emblematico della profonda distorsione della governance del cibo che questo summit interpreta e promuove è la designazione di Agnes Kalibata, presidente della Alliance for a Green Revolution for Africa (AGRA)
1 , come inviata speciale del Segretario Generale dell’ONU per questo vertice. Qual è il problema? Kalibata sta completamente fuori dal sistema ONU, e presiede un’iniziativa creata nel 2006 dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Bill & Melinda Gates per risolvere i problemi della fame in Africa con la introduzione di monoculture, di produzione agricola per la esportazione e la immissione di nuove tecnologie e sistemi agricoli nel continente disegnati da multinazionali come Monsanto, Syngenta, Microsoft. La presenza di AGRA in Africa si associa ad una sostanziale ridefinizione della agenda scientifica in campo agricolo e la creazione di nuovi mercati, come ho cercato di raccontare nel mio libro sul filantrocapitalismo, con grave danno per le realtà contadine che hanno a cuore un sistema alimentare autoctono e sostenibile. A parte il fatto che AGRA in Africa è solo l’ultima fattispecie dello stesso fallimento, come racconta lo studioso Tim Wise (
https://www.iatp.org/throwing-good-money-after-bad), la presenza di Kalibata come inviata speciale del Vertice crea seri problemi di governance del cibo. Vogliamo dire che Kalibata è la prima rappresentazione plastica della decisione del Segretario Generale dell’ONU di firmare un’alleanza con il Forum Economico Mondiale nel giugno 2019. Una decisione sconsiderata che potrebbe avere implicazioni di portata tragica, non ancora pienamente comprese, per il futuro della funzione pubblica a livello globale.
Abbiamo detto della Fondazione Gates, Che ruolo gioca il filantropocapitalismo in questo ambito?
Agnes Kalibata docet. Il filantrocapitalismo sta al cuore di tutta questa operazione intorno all’impegno di Davos sui sistemi alimentari del futuro. Il filantrocapitalismo è il tessitore primigenio della idea di introdurre le grandi imprese nel sistema della governance globale, il cavallo di Troia del capitalismo dentro le Nazioni Unite. Si tratta di una reazione del capitale alle mobilitazioni politiche altermondiste di Genova nel luglio 2001. Un fenomeno che sottrae legittimità democratica alle Nazioni Unite tout court, e oggi a questo vertice sui sistemi alimentari, venti anni esatti dopo il G8 di Genova.
Quali sono i conflitti di interesse dei suoi organizzatori?
I conflitti di interessi sono cosi stipati in questo paradigma….che si fa finta che non esistano! Nell’impianto del summit non ci sono meccanismi di gestione del conflitto di interessi. Nella filosofia politica del summit non esiste la minima attenzione ai nodi geopolitici che determinano la fame, tipo le espropriazioni della terra ai piccoli produttori per la creazione di piantagioni e monocolture, le pratiche di accaparramento ai fini estrattivi, le violenze ed i conflitti che determinano un impoverimento diffuso, ora aggravato dalla pandemia. La depoliticizzazione dei nodi strutturali della fame è del resto l’obiettivo primario degli organizzatori-imprenditori del vertice.
Sappiamo che a Papa Francesco sta molto a cuore il dell’agricoltura, da declinare nel senso della ecologia integrale. Che ruolo sta giocando il Vaticano?
Il Vaticano sarà presente al pre-vertice – del resto non è possibile chiamarsi fuori da un evento delle Nazioni Unite che si tiene a Roma. Ma Papa Francesco non andrà al pre-vertice, anche se gli organizzatori ci contavano molto, da informazioni che ho ricevuto negli ultimi mesi.
Ultima domanda : L’Italia come si sta comportando?
L’Italia, presidente del G20, mostra anche nell’ambito del cibo – su cui pure declama una tradizione unica al mondo, giustamente – tutta la sua incapacità di visione, di lucidità, di comprensione strategica di quello che sta avvenendo. I governi di ogni colore hanno sempre sostenuto il modello di agricoltura industriale e di allevamente intensivo che ha devastato la Pianura Padana, tanto per fare un esempio, rendendola l’area più inquinata d’Europa. Il sistema agricolo e alimentare italiano ha molto da perdere da un approccio così incentrato sul valore nutrizionale delle diete, che privilegia i cibi fortificati alla varietà delle diete tradizionali, e delle filiere culturali del cibo. L’Italia ha molto da perdere anche da una trasformazione dei sistemi alimentari orientata alla innovazione tecnologica e digitale. Infine, l’Italia ha da perdere geopoliticamente come stato membro del polo romano delle Nazioni Unite per le politiche del cibo. Se Davos prende il sopravvento, la tradizionale primazia di Roma sarà un ricordo del passato. Per questo abbiamo chiesto al Parlamento italiano di chieder conto di quanto sta accadendo, nella totale ignoranza da parte del mondo della politica.