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Salvatore Settis. La cultura e l’ambiente come beni comuni

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Tutelare l’ambiente e la cultura come capisaldi del bene comune, contro la politica del cemento e delle semplificazioni. Intervista a Salvatore Settis, che riflette su come superare la retorica delle belle idee e affrontare le sfide del presente nell’era delle pandemie.
Salvatore Settis. La cultura e l’ambiente come beni comuni
Archeologo e storico dell’arte, Salvatore Settis si è da sempre contraddistinto per l’impegno a salvaguardia del patrimonio artistico e paesaggistico del nostro paese, scrivendo libri e intervenendo nel dibattito pubblico per la promozione della cultura e la tutela dell’ambiente contro il degrado civile.
Dal 1999 al 2010, Settis è stato direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa.
Presidente del Consiglio superiore dei beni culturali dal 2007 al 2009, è stato membro fondatore dell’European Research Council (2005-2011); attualmente è presidente del consiglio scientifico del Louvre ed è membro dell’Accademia nazionale dei Lincei.

Professor Settis, la prima domanda non può che essere sull’ambiente, che è da sempre il tema centrale che contraddistingue la nostra rivista. Parliamo un po’ tutti di green economy e sviluppo sostenibile, ma all’atto pratico abbiamo idee diverse. Nella politica italiana ed europea vede soluzioni o solo un esercizio di retorica?

In linea generale sono molto preoccupato dal prevalere di una retorica delle formule. La nostra epoca è contraddistinta dalla priorità accordata alla comunicazione, piuttosto che alle azioni. Una formula generica come «sviluppo sostenibile» è talmente vaga, che non può non trovarci tutti d’accordo. Poi però non si capisce bene cosa si voglia dire. Per dirla con Orwell, ci siamo abituati a una neolingua, in cui le forme prendono il posto delle cose. Ecco, più che agitare una bandiera fatta di parole vuote dovremmo partire da una definizione del concetto di sostenibilità, parlare di cose concrete.

Ad esempio?

Dovremmo iniziare a occuparci di aspetti fondamentali, come l’agricoltura. Non sento mai avanzare una riflessione sulla superficie agricola di cui ha bisogno l’Italia per poter nutrire la popolazione, senza voler per questo pensare a una forma di autarchia. Dovremmo valutare attentamente quali sono i luoghi più preziosi in cui fare agricoltura: è giusto continuare a occuparli con capannoni e colate di cemento? E poi, che tipo di agricoltura vogliamo? Intensiva, industriale, biologica e biodinamica?
Questi ragionamenti sembrano estranei alla politica. O meglio, vengono fatti, ma sempre attorno a tavoli diversi, in altre stanze rispetto a quelle in cui si decide, e dove si continuano a sbandierare formule vaghe come quella di green economy.

Crede che ci sia il pericolo di un uso strumentale di queste parole?

C’è questo rischio, certo, ma chiariamoci: io non credo nelle grandi teorie cospirative. Non credo che esistano delle centrali operative del male. Sono convinto che il 90% di quelli che usano la parola «sviluppo sostenibile» siano in buona fede, ma bisogna che il cittadino comune riceva sufficienti spiegazioni per capire cosa si intende davvero e cosa si vuole realizzare. Più che di una congiura parlerei di una diffusa superficialità.

Però sentiamo sempre ripetere il mantra della crescita economica. Crede che la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) sia davvero compatibile con la tutela dell’ambiente?

Premetto che l’ambiente, secondo me, non va considerato come un semplice paesaggio da cartolina, ma come luogo dove si svolgono attività, dove interagiscono i mondi minerali, vegetali e animali. Dove operano le comunità. Anche le città, per intenderci, sono parte dell’ambiente da tutelare.
Negli ultimi decenni, in nome della crescita del Pil si sono trascurati molti aspetti fondamentali, a partire dalla salute. Oggi viviamo appieno le conseguenze di questa condotta: una decrescita che non si era vista nemmeno nella crisi del 1929 e gli effetti di una pandemia gigantesca, che è anch’essa conseguenza degli squilibri planetari. Ecco, senza una considerazione attenta di tutti gli aspetti dell’etica ambientale, anche il Pil è destinato a cadere. […]

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