Incentivi generosi che nascondono una mancanza di informazione e competenza sui materiali per l’edilizia. Perché finanziare il risparmio energetico e non il risparmio idrico?
Il provvedimento del cosiddetto Superbonus 110%, la misura di incentivazione che punta all’efficienza e al risparmio energetico delle abitazioni, è sicuramente interessante, ma sconta la mancanza di un’adeguata formazione e informazione del cittadino, che rimane in balia di banchieri, tecnici e ditte che troppo spesso badano al soldo più che al risultato o alla qualità dell’intervento. Pensare poi che un provvedimento del genere debba essere interamente finanziato dallo Stato, cioè dalla collettività, quando potrebbe in buona parte ripagarsi da sé, non è molto lungimirante.
Visto il pessimo stato del patrimonio edilizio italiano, con qualsiasi intervento serio di contenimento energetico si riesce da subito a diminuire almeno della metà i consumi di riscaldamento e raffrescamento di un’abitazione, che sono mediamente i costi più alti dopo l’affitto. Gli interventi di coibentazione costano, ma i ritorni economici sono altrettanto interessanti.
Lo Stato avrebbe potuto contribuire solo in parte e fare in modo che la restante parte da finanziare fosse vincolata al risparmio energetico ottenuto. In altre parole, una parte dell’investimento ottenuto attraverso un prestito bancario agevolato lo si sarebbe potuto ripagare con il risparmio energetico in tempi ragionevoli. In questo modo lo stesso cittadino, il tecnico e le ditte esecutrici, avrebbero avuto tutto l’interesse a fare lavori nel miglior modo, assicurando le massime prestazioni possibili di contenimento energetico.
Venendo a mancare una informazione adeguata sulla qualità ambientale dei vari materiali, c’è il forte rischio che vengano utilizzati quelli più scadenti, impattanti e meno costosi, come è prassi abituale nell’edilizia.
Se si fosse agito in maniera più lungimirante, si sarebbe potuto fermare il finanziamento ecobonus al 50% e utilizzare la restante parte per una risorsa preziosa e fondamentale come l’acqua, resa sempre più scarsa dall’intensificarsi della catastrofe climatica. L’urgenza è dettata dal fatto che l’Italia è un paese a rischio di desertificazione in molte delle sue regioni, ma purtroppo si ha una percezione di questo bene come se fosse abbondante e i suoi costi sono troppo bassi.
L’acqua dimenticata
È proprio qui che lo Stato doveva agire, perché intervenire efficacemente sul risparmio idrico da parte dei privati cittadini ha dei tempi e dei costi di rientro degli eventuali investimenti molto più ampi rispetto alla coibentazione termica. Basti pensare al costo di sistemi di recupero e riutilizzo dell’acqua piovana: l’energia utilizzata, in proporzione, ha un costo maggiore dell’acqua, ma se guardiamo all’importanza, i fattori si invertono. Quindi si dovrebbe informare capillarmente la cittadinanza e formare tecnici su tutto il territorio per proporre alle famiglie, alle imprese, agli enti di ogni tipo modalità di risparmio idrico: sistemi di recupero e riutilizzo dell’acqua piovana, sistemi di limitazione di flusso per gli erogatori di acqua, fitodepurazione con la possibilità di recupero dell’acqua, utilizzo di orti autoirriganti, introduzione di compost toilet, cioè bagni a secco che non hanno bisogno di utilizzo di acqua.
Questi interventi sono da proporre, ovunque sia tecnicamente possibile, in città e nelle campagne, laddove la scarsità di acqua sarà un problema sempre più grave e si ripercuoterà direttamente sulle città mettendo a rischio l’approvvigionamento di alimenti. In questo modo si aumenterebbe la resilienza del nostro paese in un campo vitale come quello idrico e non solo in quello energetico.
Paolo Ermani è presidente dell’associazione Paea (Progetti Alternativi per l’Energia e l’Ambiente), collabora da vari anni con il PeR (Parco delle Energie Rinnovabili) in Umbria ed è autore di Pensare come le montagne (Terra Nuova Edizioni).
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