Per avere a cuore il Pianeta, bisogna avere il Pianeta nel cuore. L’editoriale del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree, pubblicato sul numero di Aprile.
Lo straordinario successo del botanico Stefano Mancuso, autore di numerosi saggi sull’intelligenza delle piante, e più recentemente del biologo Merlin Sheldrake con il suo bestseller L’ordine nascosto, la vita segreta dei funghi (Marsilio), ci mostrano da una parte i progressi della ricerca, dall’altra una nuova e sempre più diffusa consapevolezza riguardo al nostro rapporto con la natura. In particolare, ci porta a mettere finalmente in discussione il nostro ruolo di semplici «fruitori».
Mio zio Michael, 83 anni, ha un approccio piuttosto razionale rispetto a questi temi e tende ad alzare le sopracciglia di fronte a teorie a suo giudizio troppo azzardate. Eppure mi ha detto che il libro di Sheldrake ha «trasformato la sua visione del mondo». Alla sua età, tanto di cappello!
Ma come lui ci sono sempre più persone, di ogni età, che stanno vivendo questo radicale cambiamento di prospettiva. Una rivoluzione silenziosa e «nascosta», fatta di connessioni nella coscienza collettiva che ricordano proprio la fitta rete di microscopici filamenti fungini che avvolge la sfera terrestre e che ci descrive così bene Sheldrake.
Si tratta di una sorta di illuminazione, come quella che ha avuto la nostra autrice Dafne Chanaz dopo un corso di
riconoscimento delle piante selvatiche nel Parco dell’Aniene a Roma. «Fu come una folgore che spazzò via per sempre il concetto astratto di verde, di prato, di campagna» scrive nel suo ultimo libro
Il prato è in tavola. «Ogni aiuola e ogni pezzetto di terra diventò di colpo un brulicare di soggetti, infinitamente diversi e ricchi di personalità, di messaggi, di usi, di sapori, oltre che va detto – di pericoli». Un invito dunque a non guardare più un prato allo stesso modo, al dialogo tra ognuno di noi e tutte le piante, da quelle presenti nei nostri vasi a quelle dei cortili, dei prati e dei boschi.
Le parole di Dafne Chanaz risuonano con quelle di Salvatore Settis: «L’ambiente non va considerato come un semplice paesaggio da cartolina, ma come luogo dove si svolgono attività, dove interagiscono i mondi minerali, vegetali, animali». Insomma, tutelare il paesaggio può partire anche dal riconoscere e cogliere una pianta selvatica. Un’azione semplice, ma che può diventare molto più di un vezzo radical chic. Perché l’opportunità è quella di trasformare un prato selvatico nell’esperienza emozionante di una biodiversità finalmente vissuta in prima persona, piuttosto che come un concetto astratto e tecnico.
Per dirla ancora con Settis, basta con la retorica delle formule vaghe e inconcludenti come quella di «sviluppo sostenibile». Basta con gli approcci esclusivamente utilitaristici che non affrontano il nocciolo del problema.
Per avere a cuore il Pianeta, bisogna avere il Pianeta nel cuore.
Un gesto concreto, sia a livello individuale che istituzionale, vale molto di più dell’ennesimo proclama green.
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