Il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sulla proposta del pass digitale per spostarsi nei paesi UE. Nel testo si legge anche: «Non è ancora chiaro se i vaccini prevengano la trasmissione della COVID-19. Allo stesso modo, non vi sono prove sufficienti sulla durata della protezione effettiva contro la COVID-19 dopo la guarigione da una precedente infezione. Di conseguenza è opportuno che sia possibile regolare la durata della validità in base al progresso tecnico e scientifico».
Il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sulla proposta del pass digitale per spostarsi nei paesi UE. Nel testo si legge anche: «Non è ancora chiaro se i vaccini prevengano la trasmissione della COVID-19. Allo stesso modo, non vi sono prove sufficienti sulla durata della protezione effettiva contro la COVID-19 dopo la guarigione da una precedente infezione. Di conseguenza è opportuno che sia possibile regolare la durata della validità in base al progresso tecnico e scientifico».
Il documento è articolato in diversi punti, e si legge ancota in un altro passaggio: «È opportuno stabilire un quadro comune per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione dalla COVID-19, chiamato “certificato COVID-19 dell’UE”, che dovrebbe essere vincolante e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Tutti i nodi di trasporto dell’Unione, come aeroporti, porti, stazioni ferroviarie e di autobus, dove viene controllato il certificato, dovrebbero applicare criteri e procedure standardizzati e comuni per la verifica del certificato COVID-19 dell’UE sulla base di orientamenti sviluppati dalla Commissione».
«Il presente regolamento è inteso a facilitare l’applicazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione per quanto riguarda eventuali restrizioni alla libera circolazione e ad altri diritti fondamentali dovute alla pandemia di COVID-19, perseguendo nel contempo un livello elevato di protezione della salute pubblica, e non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia. È opportuno che continuino ad applicarsi le esenzioni dalle restrizioni della libertà di circolazione in risposta alla pandemia di COVID-19 previste dalla raccomandazione (UE) 2020/1475. Eventuali necessità di verifica dei certificati istituiti dal presente regolamento non dovrebbero, di per sé, poter giustificare il ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne. I controlli alle frontiere interne dovrebbero restare una misura di ultima istanza, soggetta alle specifiche norme stabilite nel regolamento (UE) 2016/399».
Un altro dei passaggi recita: «È necessario evitare qualsiasi tipo di discriminazione (diretta o indiretta) di persone che non sono vaccinate, ad esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino è attualmente somministrato, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate, o nel caso in cui non vi siano ancora vaccini disponibili per alcune fasce di età, come i bambini. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico medicinale vaccinale, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per esercitare i diritti di libera circolazione e non può essere una condizione preliminare per la libera circolazione all’interno dell’Unione e per usare servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto».
E ancora: «Gli anticorpi contro il SARS-CoV-2 vengono prodotti dopo un’infezione naturale – in presenza o meno di una malattia clinica – e dopo la vaccinazione. Sebbene non si disponga ancora di dati definitivi circa la persistenza di tali anticorpi dopo la vaccinazione, numerose evidenze indicano che gli anticorpi indotti naturalmente sono rilevabili per diversi mesi dopo l’infezione. I test per la ricerca di anticorpi consentono pertanto di individuare le persone che sono state precedentemente infettate e che potrebbero aver sviluppato una risposta immunitaria e che quindi hanno una probabilità molto bassa di infettarsi nuovamente o di infettare altre persone».
«Secondo il principio della riduzione al minimo dei dati personali, è opportuno che i certificati contengano soltanto i dati personali strettamente necessari per agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione all’interno dell’Unione durante la pandemia di COVID-19. È opportuno che il presente regolamento stabilisca le specifiche categorie di dati personali e i campi di dati da inserire nei certificati».
Si legge ancora in un ulteriore passaggio: «Il presente regolamento vieta allo Stato membro di destinazione, o agli operatori di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri di conservare i dati personali ottenuti dal certificato. Il presente regolamento non crea una base giuridica per l’istituzione di archivi di banche dati a livello di Stati membri o di Unione ovvero attraverso l’infrastruttura digitale del quadro di fiducia».
«Il presente regolamento dovrebbe applicarsi per 12 mesi a partire dalla data di entrata in vigore. Quattro mesi dopo la data di entrata in vigore del presente regolamento e al più tardi 3 mesi prima della fine della sua applicazione, la Commissione dovrebbe presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione del presente regolamento, compreso il suo impatto sulla libera circolazione, sui diritti fondamentali e sulla protezione dei dati personali, nonché una valutazione sulle tecnologie più aggiornate in materia di vaccini e test e sull’uso, da parte degli Stati membri, del certificato COVID-19 dell’UE per finalità, basate sul diritto nazionale, non previste dal presente regolamento».