Anticamente si pensava che proteggesse dagli spiriti maligni, ma l’artemisia ha importanti proprietà medicinali e può essere utilizzata, con attenzione, in cucina.
CHI È
Questa piantina troneggia tra le magiche Erbe di San Giovanni. Le sue foglie finemente cesellate ed i suoi fiori aromatici furono usati fin dai tempi degli antichi Romani per le loro virtù. Si credeva che una corona di artemisia proteggesse dagli spiriti maligni e se ne usavano le foglie, i fiori e le radici in infusione per combattere gli indolenzimenti, i crampi, i dolori mestruali e persino l’epilessia.
Il genere comprende oltre mille specie diverse, e deve il suo nome ad Artemide, Dea della caccia e delle iniziazioni femminili, associata alla luna crescente.
Nell’antica medicina cinese, da oltre duemila anni si usa l’Artemisia vulgaris raccolta la notte del 21 giugno per confezionare la moxa, una sorta di sigaro che viene acceso e avvicinato ad alcuni punti energetici per risolvere traumi e malattie croniche. Questa tecnica si chiama moxibustione, e nel 2010 è stata riconosciuta dall’UNESCO quale patrimonio orale e immateriale dell’umanità. È nota anche tra le ostetriche, che la usano per far rivoltare il feto a testa in giù prima del parto.
La fragranza dell’artemisia allontana gli insetti ed è ampiamente apprezzata dai profumieri. Si tratta senz’altro di una specie importante dal punto di vista medicinale e con un’aura magica legata anche ai suoi leggeri influssi narcotici.
Ricorderete la fama dell’Absynthe, liquore di A. absinthium consumato dai poeti romantici francesi di fine ‘800 e simbolo dello stile di vita bohémien, sia per le sue proprietà che per la sua alta gradazione (60°), che permette di mantenere il verde della clorofilla e gli è valso il soprannome di ‘fata verde’. La gelosia dei produttori vitivinicoli, le leggi contro l’alcolismo e la scoperta che a dosi elevate questa artemisia potrebbe risultare leggermente tossica, ne hanno poi determinato il temporaneo divieto.
Allo stesso genere appartengono la salvia selvatica usata nelle cerimonie dagli indiani Cheyenne, il dragoncello ed il famoso genepì delle Alpi, dal quale si ricava l’omonimo celebre liquore. Infine Vermouth deriva da Wermut, e non è altro che il nome dell’artemisia maggiore in tedesco poiché si tratta della sua principale componente.
DOVE SI TROVA
A. vulgaris, A. verlotiorum ed altre artemisie selvatiche apprezzano l’umidità e i suoli azotati, disturbati dall’attività antropica. Si trovano facilmente ai margini dei campi arati, calcarei, sugli argini dei fiumi, in prossimità di ruderi e fossi, in pianura e in collina.
A. absinthium invece è coltivata, e la troveremo spesso nelle aiuole dei giardini mediterranei, stando ben attenti a non confonderla con le margherite, spesso tossiche!
QUANDO RACCOGLIERLA
Si raccolgono le giovani foglie a scopo aromatico in marzo. In erboristeria o per la produzione di liquori e grappe, si possono raccogliere le cime fiorite di Artemisia vulgaris con l’arrivo dell’estate, e di Artemisia verlotiorum da settembre, e la radice in autunno. Queste ultime si fanno essiccare al sole prima di utilizzarle.
COME SI RICONOSCE
Ha foglie molto frastagliate, assai simili per forma alle cime delle carote, ma più grandi e corpose, che sono piegate lungo la nervatura centrale e profondamente incise al livello delle venature laterali così da formare una successione di 3 o 4 ‘V’ ramificate che partono dalla nervatura centrale e puntano in fuori, con apici appuntiti. Quelle di A. vulgaris e A. verlotiorum sono di un bel verde erba ma dal risvolto lanoso e grigio chiaro-argenteo. Quelle di A. absinthium sono interamente lanose ed argentee.
La pianta cresce a piccoli cespugli alti circa 80 cm e altrettanto larghi. Ha un fusto con leggere venature rossastre. In estate fa fiorellini con molti capolini verde argentato o dorato, rossastri sulla punta, anch’essi un po’ lanosi, e disposti a pannocchie.
Strofinandone una foglia tra le dita riconosceremo il suo tipico aroma balsamico.
PERCHÉ CI PIACE
Assaporando la profumata e dolce amarezza dell’artemisia, incontriamo il fuoco che ci cura ed insieme la fata che ci incanta. Il suo gusto è amaro, ma al contempo caldo, dolce e aromatico.
Le sue proprietà ci ricordano da un lato l’eucalipto e dall’altro la cannabis: è contemporaneamente una pianta balsamica ed un lieve narcotico.
Scaccia febbre, nausea e mal di testa, seda altre nevralgie quali mal di denti o mal d’orecchie, lenisce gli strappi muscolari, i reumatismi e i dolori mestruali. Rilassando la muscolatura, calma gli spasmi, le crisi epilettiche, le convulsioni infantili e i crampi delle partorienti. Inoltre tende ad alleviare la melanconia da esaurimento: purifica i pensieri ma anche i visceri… Facilitando la diuresi, aiuta a combattere i calcoli sia biliari che renali, giova al fegato e all’intestino aiutando la digestione, ed è un buon vermifugo.
Oltre ai vermi, allontana gli insetti molesti, disinfetta e decongestiona efficacemente piccole ferite, piaghe, contusioni e infiammazioni oculari.
Ma non è tutto, il decotto di artemisia negli usi popolari funge da cardiotonico, abbasserebbe la pressione sanguigna, la glicemia e il colesterolo. Nelle donne facilita il mestruo, può indurre l’aborto (veniva usata a questo scopo negli aborti clandestini), e riduce la montata lattea (si può usare in impacchi sul seno in caso di ingorghi se si ha troppo latte).
COME SI CUCINA
Avvertenza
Può contenere alcune sostanze lievemente tossiche e convulsive come il d-tujone, perciò si consiglia di scegliere sempre foglie giovani e di consumarla in piccole quantità a scopo aromatico. Va evitata durante la gravidanza in quanto abortiva e in allattamento va tenuto presente che riduce la montata lattea.
Le giovani foglie, molto aromatiche, si possono usare per profumare carni o pesci grassi, o per i ripieni. Sono ottime anche per aromatizzare la birra. I fiorellini o le radici essiccati si usano nelle tisane, nelle grappe, nei liquori e negli aceti aromatici, senza abusarne. Se raccolte in altitudine all’inizio della primavera, quando sono meno amare, le foglie di A. vulgaris e A. verlotiorum si prestano alla preparazione di alcuni dolci tipici.
Un esempio è questa famosa ricetta di ‘Torta all’erba madre’ della provincia di Verona: montate a crema 3 uova con una tazza di zucchero, aggiungete a filo una tazza di olio d’oliva, sempre sbattendo. Mondate, lavate e scottate in acqua bollente per 5 min. 35 g di foglie di artemisia, poi frullatele in una tazza di latte ed integrate il tutto al composto. Infine setacciatevi sopra, sempre mescolando, 300 g di farina e una bustina di lievito per dolci. Versate il tutto in una tortiera imburrata più larga che alta e infornate nel forno già caldo a 180° per circa mezz’ora.
Un altro esempio sono i dolcetti vietnamiti di riso all’artemisia: sono di un bel verde brillante, hanno una forma rotonda appiattita e vengono serviti su delle foglie di banano. L’artemisia va raccolta all’inizio della primavera quando è meno amara e bisogna evitare A. absinthium che sarebbe troppo forte. Va scottata in acqua di calce, per ridurne il sapore amaro e mantenere le clorofille. Poi va tritata e tostata in padella per asciugarla. A questo punto potete cuocere al vapore del riso colloso, e pesterete il riso con l’artemisia in un mortaio finché non otterrete un impasto omogeneo. Aggiungete dei semi di sesamo tostati con lo zucchero e miscelate bene. Ungetevi bene le mani con dell’olio di arachidi e formate le palline. Le cuocerete al vapore per 5 min. Questo piatto è un grande classico della cucina vietnamita.
_____________________________________________________________________________________________________
Non guarderete mai più un prato allo stesso modo.
Frutto di anni di lavoro sul campo, acrobazie per fotografare pianticelle ribelli, prove di ricette e ricerche bibliografiche titaniche, questo libro racconta 80 piante selvatiche commestibili con una prosa semplice, immediata, divulgativa.
Contiene ritratti fotografici in alta qualità su sfondo bianco e 40 ricette illustrate che si ispirano a solide tradizioni, italiane e non.
È un omaggio alla personalità unica di ogni specie che ci svela le sue doti gastronomiche e medicinali.
Diretto a curiosi e buongustai, chef di ristoranti o agriturismi, agricoltori desiderosi di valorizzare questa risorsa, naturopati e operatori olistici, IL PRATO È IN TAVOLA è un invito a ridiventare indigeni, grati e connessi con la nostra terra.
SFOGLIA UN’ANTEPRIMA DEL LIBRO