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Case in canapa: la Puglia inaugura la filiera chiusa

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A Cerignola è nato il primo centro di lavorazione della canapa a ciclo chiuso e filiera corta. Una novità che segna una svolta importante nel nostro paese rispetto allo sviluppo della bioedilizia in canapa. Case a basso impatto e con alto comfort abitativo, per le quali è possibile accedere alle agevolazioni del Superbonus al 110%.
Case in canapa: la Puglia inaugura la filiera chiusa
Se è vero che gli ultimi fasti della canapa industriale italiana risalgono agli anni ’50, allora possiamo dire che oggi, dopo settant’anni, il comparto è ripartito. Dopo un ventennio in cui la canapa è tornata, verde e slanciata, a far bella mostra di sé nei campi da Nord a Sud del nostro paese, oggi stiamo assistendo alla definitiva ripartenza delle possibili lavorazioni industriali.
Le filiere attivate fino ad oggi in Italia riguardano l’alimentare, e quindi i semi di canapa e tutti i sottoprodotti, a partire dall’olio, e la cosmetica, con diverse aziende impegnate nel realizzare e vendere sul mercato i propri prodotti con canapa made in Italy. Altro settore sul quale abbiamo iniziato a lavorare bene da subito è quello della bioedilizia, con un problema che è stato risolto di recente, trasformandosi in una nuova opportunità. Fino a quest’anno, infatti, le aziende italiane di settore erano costrette ad importare dall’estero il canapulo, la parte legnosa della canapa che si ottiene dalla prima lavorazione del fusto. Ora non più, perché a Cerignola è nato quello che ad oggi è l’unico centro funzionante per la prima trasformazione della canapa e che fornisce appunto il canapulo, necessario principalmente per la bioedilizia, e la fibra che, se opportunamente lavorata, potrebbe dar vita alle filiere che ancora ci mancano, come quella del tessile, delle bioplastiche o della carta.
Naturalmente è un esperimento che andrà replicato in diverse parti d’Italia, creando sinergie nei vari territori.

Nuove frontiere

Il centro di lavorazione è stato messo in opera dall’azienda Bio Hemp Trade e dai partner impegnati nel progetto. Il primo importante risultato è stato quello di chiudere la filiera pugliese delle case in canapa. Nel raggio di pochi chilometri si passa dai campi di canapa all’utilizzo dei derivati in bioedilizia nel cantiere in via di costruzione a Bisceglie, progetto degli architetti di Pedone Working, che prende il nome di Case nel verde, un condominio di sette piani e ventiquattro appartamenti. Un bell’esempio di economia circolare applicata insieme al concetto di filiera corta, per un’idea che parla finalmente di sostenibilità.
Se infatti, da un lato, la filiera corta garantisce di evitare sprechi di risorse, dall’altro la canapa in edilizia completa il quadro. Come abbiamo già raccontato sulle pagine di Terra Nuova1, il 39% delle emissioni globali di anidride carbonica nel mondo è dovuto all’edilizia tradizionale, mentre la canapa dà vita all’unico sistema costruttivo che può essere carbon negative, e cioè togliere più CO2 dall’ambiente di quella che sarebbe prodotta durante tutto il processo. Una delle risposte al problema mondiale delle emissioni di carbonio potrebbe dunque essere proprio l’utilizzo massivo della canapa sia per costruire nuove abitazioni, che per ristrutturare il patrimonio immobiliare già presente.

Salubri, senza muffa e umidità

C’è poi un’altra forte ragione, che unisce la compatibilità ambientale al benessere abitativo, soprattutto in questo momento storico in cui si pone particolare attenzione all’aria che respiriamo. Oggi una casa in canapa costa poco più di una tradizionale, ma con molti vantaggi in aggiunta. A partire dalla salubrità degli ambienti e dell’aria che si respira, passando per l’umidità costante a livelli ideali, alla mancata formazione di muffe e all’autoregolamentazione termica, le case in canapa, per natura, sono ambienti ideali in cui vivere, soprattutto in periodo di lockdown.
«Sin dall’antichità, la calce utilizzata come legante insieme alla canapa veniva impiegata per sanificare e disinfettare gli ambienti. Si tratta nello specifico di idrossido di calcio, che si ottiene mischiando la calce idrata con acqua in una proporzione ben definita. Le pareti, i cappotti, gli intonaci e le pitture, realizzati sia con le tecniche tradizionali che a proiezione sulle superfici, risultano quindi privi di batteri e virus» spiega Gilberto Barcella, esperto di settore e direttore tecnico di Tecnocanapa by Senini. «Al tempo stesso» continua «il comfort e la qualità dell’aria indoor risultano eccellenti, perché questi materiali regolano l’umidità, azzerano la condensa ed evitano la cosiddetta sindrome dell’edificio malato».
Si tratta di un’espressione coniata dall’Organizzazione mondiale della sanità per riassumere un quadro sintomatologico ben preciso: irritazioni agli occhi, al naso, alle vie respiratorie e occasionalmente alla pelle, accompagnate da stanchezza, mal di testa, vertigini e difficoltà di concentrazione. Quadro che può insorgere quando si trascorre il tempo all’interno di edifici (moderni o recentemente rinnovati) dotati di impianti di ventilazione e condizionamento che non garantiscono un adeguato ricambio d’aria con l’esterno.

Case passive e incentivi economici

Le case costruite con metodi tradizionali, proprio per come sono concepite, utilizzano sempre di più i sistemi di condizionamento dell’aria, che utilizzano elettricità prodotta principalmente con combustibili fossili, il cui uso è più che triplicato dal 2010. Ma per raggiungere gli obiettivi ambientali che i vari Stati si propongono, bisognerebbe iniziare a costruire solamente edifici passivi, che massimizzano l’efficienza energetica sfruttando i materiali e le condizioni bioclimatiche in cui ci si trova ad operare, creando abitazioni che non hanno bisogno, ad esempio, dei tradizionali sistemi di riscaldamento. E la canapa si presta benissimo a questo scopo, facendo parte di un sistema in cui si integrano processi economici e sociali davvero sostenibili.
Insomma, come ricorda Gilberto Barcella, le case in canapa «sono perfettamente coerenti con il percorso europeo di decarbonizzazione del patrimonio edile entro il 2050, come sostiene il World green building council, organismo volontario internazionale dei costruttori in bioedilizia, che ha dimostrato, con dati ed esempi alla mano, come il settore può sviluppare soluzioni alternative a basse emissioni di CO2 e arrivare entro il 2050 ad emissioni zero. Settore che, di conseguenza, può beneficiare degli importanti incentivi economici previsti da qui ai prossimi anni».
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Gennaio 2021

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