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Il mito delle proteine animali

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Le diete iperproteiche riscuotono grande successo ma causano grossi danni alla salute e all’ambiente. I consigli del dottor Franco Berrino.
Il mito delle proteine animali
Le diete iperproteiche continuano a riscuotere molto successo, soprattutto al di là dell’Oceano. L’accanimento di dietologi contro i carboidrati, il pane e la pasta ha dato impulso a diete low-carb. Invece di chiedersi che tipo di carboidrati stiamo mangiando, semplici o complessi, con quanto indice glicemico o con quali micronutrienti, si è preferito dare il via libera alle diete iperproteiche, causando non pochi danni alla salute e agli ecosistemi.
È così che oggi mangiamo troppe proteine, soprattutto di origine animale, in una quantità che è circa il doppio di quella di cui abbiamo davvero bisogno. Contrariamente a quanto si crede anche in ambienti medici, l’eccesso di proteine è una delle principali cause dell’epidemia di obesità del mondo occidentale. A questo proposito bisogna anche dire che le diete esageratamente iperproteiche, laddove più di un terzo delle calorie vengono dalle proteine, fanno sì dimagrire per un certo periodo, ma come conseguenza di un’intossicazione.
Spesso chi fa queste diete, quando le interrompe, ingrassa di nuovo, di solito ancor più di prima, verosimilmente perché non ce la fa più a mangiare il 40-50% di calorie sotto forma di proteine, e scende al 20-25%, una quantità che non intossica, ma fa ingrassare (normalmente ricaviamo il 15-16% delle calorie dalle proteine, il doppio di quante ne abbiamo bisogno). Il dimagrimento iniziale è generato da uno stress metabolico, a cui il corpo risponde adattandosi e ingrassando successivamente.
Non sarebbe più opportuno seguire le raccomandazioni provenienti dagli studi scientifici più acclamati? Il Codice europeo contro il cancro recita: «Evitate le carni lavorate e limitate le carni rosse. Perché fanno ingrassare e aumentano il rischio dei tumori dello stomaco e dell’intestino».

La carne da allevamenti industriali

Consideriamo anche un altro aspetto legato alle diete iperproteiche: il consumo eccessivo di carne e alimenti di origine animale, che provengono per lo più da allevamenti di tipo industriale. La carne di bovini allevati al pascolo contiene dal 25 al 50% di grasso in meno e più vitamina E e betacarotene di quella di animali allevati intensivamente, che vengono alimentati a mangimi e insilati. Certo, c’è ragione di ritenere, invece, che i bovini e gli ovini che pascolano, soprattutto in montagna, abbiano una carne e un latte più ricco di sostanze antiossidanti e antinfiammatorie, presenti in abbondanza nelle erbe selvatiche. Le erbe di montagna sono ricche di acidi grassi omega-3, che le proteggono dal freddo.
Uno studio dell’Università delle risorse naturali e delle scienze della vita di Vienna ha dimostrato che il latte di fieno austriaco e il formaggio di montagna contengono in media circa il doppio degli acidi grassi omega-3 e degli acidi linoleici coniugati (Cla) rispetto ai prodotti standard. E il rapporto tra acidi grassi omega-3 e omega-6 è molto più favorevole a una sana alimentazione. È molto probabile, quindi, che il latte delle vacche allevate naturalmente, il cosiddetto latte da fieno, sia migliore di quello degli allevamenti intensivi, perché più ricco di omega-3 e di altre sostanze antinfiammatorie, e meno contaminato da antibiotici e ormoni sessuali. Ma questo stesso fatto non deve essere una giustificazione per l’aumento del consumo né di latte, né di carne.
Partiamo dal presupposto che il principale fattore cancerogeno delle carni rosse è la ricchezza di ferro-eme che, essendo molto ossidante, catalizza la sintesi di sostanze cancerogene nell’intestino, per cui è probabile che anche gli animali allevati e nutriti secondo natura aumentino il rischio di tumori dell’intestino. Per chi si ostina ad avere un’alimentazione di tipo carnivoro il primo suggerimento utile è di scegliere chi alleva in modo più rispettoso. E comunque sia, dobbiamo consumare meno carne e ridurre l’uso di tutti i prodotti animali, fosse anche solo per l’ambiente! Come sostiene il rapporto di Greenpeace «Farming for failure» del 2020, gli allevamenti intensivi in Europa emettono più CO2 più di tutte le auto messe insieme.
Indicazioni come «allevato in Italia» o «secondo tradizione» dicono ben poco sui metodi di allevamento e sul livello di benessere animale e nascondono spesso la presenza degli allevamenti intensivi. Anche la dicitura «senza antibiotici», pur meritevole di attenzione come forma di tutela dei consumatori attenti alla salute, non indica necessariamente un maggior livello di benessere per gli animali. Questi ultimi si ammalano con più facilità quando vivono in spazi angusti e cattive condizioni igieniche, che sono la regola nei sistemi intensivi. Meglio rimuovere le cause e poi pensare al tipo di cura.

La carenza di acidi grassi polinsaturi

Gli elementi nutritivi essenziali per la nostra salute possiamo recuperarli anche attraverso una sana e bilanciata alimentazione basata sugli alimenti vegetali. Il cibo occidentale è mediamente povero di questi acidi grassi polinsaturi di cui sono ricchi i pesci e le alghe, troppo sbilanciato verso i grassi saturi (di cui sono complici ancora una volta i grassi animali e gli oli di palma e di cocco) e di omega-6 (di cui sono ricchi gli oli di semi). Purtroppo ingeriamo anche troppi grassi trans, ricavati artificialmente idrogenando i grassi vegetali; mi riferisco alle margarine, utilizzate prevalentemente nella preparazione di cibi industriali per il fatto che costano poco.
Per garantire un corretto apporto di grassi omega-3 verrebbe da consigliare di mangiare più pesce, ma l’industria della pesca ha talmente depauperato i mari, che non mi sento di farlo. Piuttosto mangiamo le alghe (i pesci contengono molti omega-3, proprio perché si nutrono di alghe) e i pochi vegetali terrestri ricchi del precursore degli omega-3, l’acido alfa linolenico: i semi di lino, la portulaca o erba porcellana e molte erbe selvatiche. Vanno bene anche le noci e la soia, senza però esagerare in quantità.
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Articolo tratto dalla rubrica Cibo e salute. Appunti di resistenza alimentare

Leggi la rubrica su Terra Nuova Febbraio 2021

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Una vera rivoluzione oggi può e deve partire dalla produzione del cibo, un grande campo di azione dove il sistema agroalimentare globalizzato ha cancellato la biodiversità, avvelenato il suolo e reso la nostra dieta sempre più omologata e insostenibile.

Il cambio di paradigma si impone anzitutto nella produzione agricola e nella salvaguardia dell’ambiente, da cui dipende il mantenimento degli ecosistemi e della salute dell’uomo. Gli autori del libro, tra cui spiccano le figure di Vandana Shiva e Franco Berrino, tracciano un’inversione di rotta a cominciare dal nostro stile di vita: bisogna dire sì ai sistemi agricoli naturali su piccola scala, per recuperare la vitalità del cibo e garantire un accesso più democratico alle risorse della terra. E bisogna dire no all’avanzata di un modello produttivo basato sullo sfruttamento dei popoli e degli ecosistemi.
In gioco c’è la nostra salute e la sopravvivenza pacifica sul pianeta Terra.

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