Le cucine regionali rivalutano storia tradizionale e cultura locale con piatti semplici e il più delle volte poveri perché composti spesso di pochi ingredienti ma completi di tutti i macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi, vitamine e sali minerali).
Provengono principalmente dalla tradizione contadina, poco elaborata e non condizionata dagli attuali modelli di consumo (ricordiamoci che la nascita del supermercato ha davvero cambiato gli stili alimentari della nostra società).
«Ricercare l’autenticità di una pietanza cucinata alla maniera dei nostri bis-o trisnonni è anche un invito a dare nuovo valore al nostro rapporto quotidiano con il cibo privilegiando una dieta semplice e salutista» spiega
Cristina Michieli, esperta di cucina salutistica e autrice di
“Toscana vegetariana” (Terra Nuova Edizioni). «Le gastronomie territoriali regionali appartengono a quella che noi comunemente chiamiamo dieta mediterranea, la quale non è nata da una scelta nutrizionale consapevole, ma è stata frutto di condizioni ambientali storico agronomiche che hanno orientato le produzioni alla coltivazione di grano, olivo, vite, ortaggi e frutta, oltre che all’allevamento. A questo modello alimentare aderiscono le diete sostenibili che chiedono una maggiore responsabilità al cittadino-consumatore di destinare il proprio reddito all’acquisto di cibo locale e preferibilmente biologico. Si consiglia di guardare la qualità piuttosto che la quantità orientando la spesa a una scelta ‘quali-quantitativa’ in termini salutistici-nutrizionali. Il detto toscano di un tempo recitava:
Chi vuol viver sano e lesto, mangi poco e ceni presto».
Con questo spirito nasce
Toscana vegetariana, con una carrellata di ricette che affondano le proprie radici nella storia della cultura mezzadra e delle signorie del ‘500.
«A partire dalla seconda metà del XVI secolo, dopo la scoperta dell’America sono stati introdotti nuovi prodotti che ancor oggi sono ingredienti principe delle pietanze toscane, a partire dal fagiolo che ha soppiantato la cicerchia – spiega Cristina – Di fagioli in Toscana ce ne sono di tutti i tipi: fagioli di Sorana, zolfini del Pratomagno, schiaccioni di Livorno, cannellini di Montalbano. Per non parlare dei profumi provenienti da Oriente che hanno arricchito di spezie (cannella, chiodi di garofano, pepe in grani) i dolci senesi. La via Francigena era luogo di transito non solo di pellegrini ma anche di nuovi frutti originari di altre terre e di differenti esperienze culinarie».
«In Toscana ovunque si mangia la zuppa, piatto unico completo di cereale, legumi e ortaggi di stagione. Dal bordatino alla pisana, alla livornese, alla lucchese dove in ognuna ricetta si mette il fagiolo locale e la farina di mais, al farro alla casentinese, alla sbroscia fatta di zucca, fagioli e pane raffermo, al cacciucco di ceci, alla minestra di pane che poi il giorno dopo viene ribollita. Il pane cotto era un’usanza medievale: i signorotti a fine pasto concedevano ai loro servi il pane avanzato che utilizzavano nelle proprie pietanze aggiungendoci sapore».
Il pane che i toscani amano, è
sciapo, senza sale. La pasta lievitata del pane viene fritta in
coccoli, ficattole o
donzelle (cambia solo la forma), viene arricchita di uva “canaiola” in tempo di vendemmia per fare la
schiacciata all’uva, viene profumata di uvetta e rosmarino per ottenere il
pan dolce di ramerino o con il vin santo per fare il
Pan coi Santi.
«Quella toscana, come molte altre, è una cucina senza sprechi, una cucina di riciclo, di riadattamento alle stagioni e ai prodotti del territorio, ma anche salvatempo, da una preparazione base si ottengono ricette dolci, salate con o senza intingoli – prosegue Cristina – Nella Toscana dei paesaggi poderali non mancano i terrazzamenti a olivo e a vite, dai quali sono nate eccellenze conosciute in tutto il mondo: l’olio e il vino. Con orgoglio toscano il proverbio dice: L’olio e la verità tornano alla sommità! Ciascun territorio ha la sua cultivar di ulivo dal Frantoio, al Leccino, al Moraiolo, al Seggianese nella zona di Montalcino, al Mignolo nei dintorni di Montalbano al Gramignolo di Bolgari e molte altre».
«I vini rossi primeggiano con boccati austeri, talvolta aspri per la presenza di tannini asciutti: dal
Chianti classico fra Firenze e Siena, al Chianti Rufina tra il Mugello e le pendici appennine, alle ristrette e pregiate zone del
Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano.
Toscana vegetariana racconta ma soprattutto intende far assaporare la storia di un territorio con i sapori e i profumi dei suoi piatti. La preparazione delle ricette è parte dell’esperienza, dalla scelta accurata della materia prima alla sua trasformazione riportando di nuovo in luce gesti e saperi di un tempo non tanto lontano».