Eppure la resistenza è ancora tanta, c’è irrazionalità nelle prese di posizione contro il cosiddetto VBAC, cioè il parto vaginale dopo taglio cesareo, e si tende a medicalizzarlo in maniera ingiustificata. Lo spiega bene Verena Schmid.
Quanto è forte il pregiudizio nei confronti del VBAC e quali le resistenze?
«Il VBAC è a basso rischio in una donna sana, il successo è alto, più alto che nelle primipare, e un successivo cesareo è molto più rischioso di un parto vaginale spontaneo. Però le raccomandazioni, appunto irrazionali, lo trattano come un parto ad alto rischio e le donne subiscono questo pregiudizio negativo sotto forma di pressione e medicalizzazione. Il VBAC nel modello medico è considerato rischioso e quindi, se viene offerto, viene messo sotto stretto controllo. Le linee guida prevedono come luogo esclusivo l’ospedale, la mentalità medica disapprova ancor più il VBAC a domicilio. La percezione del rischio nel modello medico è correlata alla misura di controllo che sente di avere sulla donna. Laddove la donna fa le sue scelte e si sottrae al controllo, esso, in modo del tutto irrazionale, dichiara il rischio, fa terrorismo psicologico. Le donne che vogliono partorire dopo un cesareo invece vogliono vivere la nascita del loro bambino come un’esperienza integrale, capace di riscattare il loro senso di frustrazione. Non tollerano più soprusi, l’essere messe in secondo piano».
Cosa affermano le evidenze scientifiche?
«Le evidenze scientifiche analizzano solo alcuni aspetti, tralasciandone altri. In particolare si focalizzano sull’incidenza di rottura d’utero, rischio peraltro molto basso, che però si quadruplica quando il parto viene indotto o quando c’è l’epidurale. Si potrebbe dire che il rischio di rottura d’utero in una donna con VBAC che ha un travaglio non medicalizzato non è superiore a quello di una donna primipara senza precedente cesareo. Naturalmente le cause nelle due situazioni sono diverse. Ma dal punto di vista della sicurezza non c’è praticamente differenza, almeno in termini statistici. Eppure le linee guida raccomandano il parto in ospedale sotto stretto controllo medico. Ci sono poi contraddizioni nelle stesse ricerche e nell’interpretazione dei risultati, come l’inosservanza di variabili importanti e la non valutazione delle modalità di assistenza. Quasi tutte le ricerche si sono concentrate su parti ospedalieri che comunque non sono fisiologici».
Dunque, la sicurezza di un parto naturale o, anche, a domicilio dopo un cesareo è ben documentata?
«Penso che la sicurezza di un VBAC e di un parto in genere non si possano separare. Le regole di protezione della fisiologia rendono più sicuri entrambi. Dati sui VBAC a domicilio ce ne sono pochi. Mentre il parto in ospedale è ben indagato, il parto a domicilio lo è molto meno. Inoltre il “divieto” per le ostetriche di assistere un VBAC a domicilio ha reso rare queste esperienze, almeno in Italia. Ma possiamo prendere ad esempio paesi più aperti, dove se una donna vuole partorire a domicilio la sua scelta viene rispettata. Abbiamo raccolto molte esperienze. Da circa 6/7 anni ci sono anche alcuni dati a confronto tra VBAC e HBAC (parto a domicilio dopo cesareo). Emerge con chiarezza che più è medicalizzato il luogo del parto, meno successo ha il VBAC. Si va da una quota di successo del 23%-70% nei reparti di ostetricia, a un 75-80% delle case maternità, a un 85-98% nei parti a domicilio. In Italia pochi ospedali offrono la possibilità di un VBAC, in particolare nel Sud Italia, dove i cesarei raggiungono cifre molto alte, anche oltre il 60%. Quando il cesareo è stato fatto senza indicazione medica, spesso la donna si sente derubata della sua esperienza del parto. Attraverso la perdita intuisce il valore del partorire e quindi cerca in un secondo parto il riscatto e la guarigione dal trauma del cesareo. Non trovando una risposta accogliente da parte delle istituzioni pubbliche, sempre più spesso si rivolge a un’ostetrica per un parto domiciliare, ma anche per essere rispettata nelle sue scelte. Si tratta di una scelta sicura, perché la motivazione della donna, la sua partecipazione attiva al parto e la facilitazione di un’ostetrica offrono le migliori possibilità affinché il parto si svolga in modo fisiologico».
Perché secondo lei esistono tante resistenze? Per ignoranza o altro?
«Le resistenze nascono da un conflitto di paradigma. Il modello medico appartiene a un paradigma maschile, gerarchico, di controllo e standardizzato. La realtà vissuta della nascita appartiene a un paradigma femminile, simmetrico, di contatto e dinamico. Il parto a domicilio fa parte di quest’ultimo. Anche l’ignoranza ha una sua parte, ma è dovuta alla mancanza di interesse. Il modello medico gerarchico non è interessato all’interpretazione femminile della nascita. Quando sente che qualcosa sfugge al suo controllo, diventa autoritario e tende a imporsi con metodi poco ortodossi».
Cosa si può dire alla donna che si trova nella condizione di dover decidere ed è magari soggetta a pressioni che le inducono timori?
«
La prima cosa che le direi è di leggere il libro, di farsi un’opinione. Poi di cercare persone alleate, dentro e fuori dall’istituzione, che la rafforzino nelle sue scelte. Poi di mettersi in contatto con il suo bambino e chiederne l’opinione. Gliela farà sapere. Poi di farsi accompagnare in gravidanza da un’ostetrica e di elaborare insieme la precedente esperienza. Infine di imparare a conoscere le leggi della fisiologia che sono protettive. Esistono anche metodi di analgesia che non interferiscono con la fisiologia».
Le ostetriche che riconosco l’opportunità del parto naturale dopo cesareo come accolgono e seguono la donna?
«Propongono la continuità dell’assistenza fin dalla gravidanza. È in gravidanza che si costruiscono le condizioni per un buon parto ed è anche il tempo in cui acquisire conoscenze, strumenti, attivare risorse, instaurare un legame di collaborazione con il bambino, coinvolgere il partner in un ruolo attivo, allenare il corpo e la mente ai cambiamenti continui. Le ostetriche seguono la donna già cesarizzata favorendo i processi fisiologici, in più trattano la cicatrice e elaborano insieme alla donna l’esperienza precedente. La accompagnano in tutto il suo percorso di maternità, al di là di dove e come avvenga il parto. Cercano di creare aspettative realistiche e, anche quando dovesse ricapitare un cesareo, di sostenere la donna in un ruolo attivo, partecipativo».
Quali sono le accortezze da mettere in campo e quali le possibili controindicazioni?
«Quando allo stato dopo il cesareo non si associa alcun altro problema, la donna può tranquillamente avere un parto fisiologico. L’ostetrica saprà riconoscere eventuali segnali di difficoltà prima che diventino un problema e prenderà i provvedimenti necessari. In migliaia di VBAC a domicilio non c’è stata nessuna rottura d’utero e il tasso di trasferimenti in ospedale in travaglio (per altri motivi) è stato inferiore nelle donne con precedente cesareo che nelle altre.
Il tema del VBAC solleva anche temi legali, filosofici, di violenza ostetrica e di diritti umani.
Il diritto alla scelta del luogo e del modo del parto viene spesso leso, la donna non rispettata nelle sue scelte.
Il VBAC richiede una riflessione sul significato profondo del partorire e sulle filosofie di assistenza.
Conoscere i propri diritti è un altro punto di autoprotezione».