La Val Taverone, in Lunigiana, conclusa l’esperienza di Paese Liberato sta vivendo una seconda ondata di ripopolamento. Un ripopolamento, questa volta, a macchia di leopardo, sparso fra i borghi della valle, eterogeneo e non centralizzato. Con il desiderio di costruire un punto di aggregazione socio-politica, rurale, che si prenda cura della bioregione come delle persone e comunità che vi abitano o transitano, un gruppo di ragazzi ha deciso di dar vita alla Colomb’era, una fucina di idee per la valle. Appena inaugurata da un primo campo estivo, la Colomb’era è già pronta ad ospitare il secondo campo, dal 18 al 23 agosto.
La Val Taverone, in Lunigiana, regione storica conosciuta come terra della luna e dell’albero del pane, dopo l’esperienza di Paese Liberato, nata nel 2015 e recentemente conclusa, sta vivendo una seconda ondata di ripopolamento. Un ripopolamento, questa volta, a macchia di leopardo, sparso fra i vari borghi della valle, eterogeneo nelle modalità e non centralizzato.
C’è chi, come Anthony, è arrivato fin dai tempi di Paese Liberato e non se n’è più andato, anche quando la valle sembrava destinata a spopolarsi nuovamente. Attualmente collabora con il pastore della zona e vive assieme a Rachele ed al piccolo Angelo a Crespiano. C’è chi, come Marcello, è rimasto ad abitare il borgo di Sommoripola e ha visto arrivare nella primavera Carlotta e Piero, giovane coppia livornese. Assieme, adesso, stanno continuando a prendersi cura del borgo e passo a passo dando vita ad una nuova progettualità. C’è chi, come Simone, giovane artigiano amante delle tradizioni rurali, è arrivato l’estate scorsa per dare una mano al pastore, in alpeggio, e ha deciso di fermarsi assieme alla compagna Diana in una casetta poco lontano da Tavernelle, centro nevralgico della valle. C’è poi Lapo, che nei primi mesi di quest’anno ha deciso di fermarsi dai suoi viaggi alla ricerca di progetti virtuosi, ed è poi stato raggiunto da Andrea, maestro elementare e scrittore, Lapis, fumettista, e Agnese, insegnante di yoga. Da maggio questi ultimi quattro hanno deciso di imbarcarsi in una nuova iniziativa volta a rivitalizzare la zona, donandole un nuovo punto di aggregazione: la Colomb’era, a Tavernelle.
«Come in città esistono le case di quartiere, qua vorremmo dare vita ad una casa della valle. Un luogo che vorremmo rendere una fucina di idee e di fermento, un polo di aggregazione socio-politica, rurale, che si prenda cura della bioregione che ci ospita, della e delle comunità e delle persone», racconta Lapo.
«In questa fase iniziale del progetto ci è rimasto più semplice fare qualcosa con le persone con cui avevamo già un certo tipo di sintonia, mentre con il territorio stiamo entrando in relazione un po’ alla volta. Abbiamo dunque deciso di far muovere alla Colomb’era i suoi primi passi organizzando un campo estivo dal 21 al 26 luglio, che replicheremo dal 18 al 23 agosto, con l’obiettivo di prenderci cura e rendere più accogliente la struttura e gli spazi che abbiamo a disposizione, ma anche di far conoscere la valle, sostenere l’economia locale e favorire uno scambio di energie.»
A rispondere alla chiamata dei quattro fondatori della Colomb’era sono state 32 persone, provenienti da tutta Italia. C’è chi, come Francesco e Federico, è arrivato in bicicletta fin dal Piemonte. E chi invece ha viaggiato in treno o in auto partendo dalla Campania, dall’Emilia-Romagna, dalla Lombardia, dal Lazio, dal Veneto e da varie altre regioni. Un gruppo eterogeneo, non solo per provenienza, ma anche per età, esperienze di vita e familiarità con il tipo di pratiche e attività che sono state proposte.
«I cerchi empatici all’inizio erano terrorizzanti: parlare a freddo nel grande gruppo era difficilissimo. Nei piccoli gruppi, invece, era di una bellezza sconcertante», ha raccontato Elena, giovane copywriter di Viareggio. «Mi è servito un giorno e mezzo per ambientarmi. Poi, più trovavo la calma più avevo voglia di fare, di agire nel mondo. Ho pulito il bosco con una gioia sorprendente: un’attività che al di fuori del contesto che si è creato avrei difficilmente fatto con questo piacere.»
Una voce, quella di Elena, che trova un riflesso nelle parole di Agnese, che invece organizzava il campo: «Mi ha commossa la generosità delle persone. La fiducia con cui sono arrivati senza ben sapere che cosa avremmo proposto loro. Il modo in cui si sono esposti agli imprevisti, si sono rimboccati le maniche per aiutare, come se fossero a casa loro, e forse anche di più. Quando si fanno le cose assieme nasce una nuova energia, una nuova voglia di fare» .
L’alternarsi di lavori pratici, momenti di introspezione e attività volte alla costruzione di una comunità temporanea è un intreccio che sta alla base delle riflessioni dei quattro fondatori della Colomb’era. I tre livelli – individuo, comunità, ambiente – sono infatti tre diverse porte d’accesso ad un modo di abitare e di vivere più sostenibile, che necessitano di essere portati avanti contemporaneamente.
«La stessa cura del castagneto, filo conduttore di questo primo campo, ne è stata un esempio. Il castagno – detto anche albero del pane, ha infatti rappresentato per molto tempo in Lunigiana una fonte essenziale di sostentamento, ed è tutt’ora ricco di un significato simbolico, ambientale e storico. Pulirlo assieme ha dato energia, voglia di fare. Allo stesso tempo ognuno, singolarmente, è stato chiamato a scegliere un castagno a cui dare un nome, per poi pulirlo e prepararlo al raccolto. Un po’ una metafora di come ognuno di noi è chiamato a preparare il proprio terreno interiore così da essere pronto a raccogliere i propri frutti», ha concluso Lapo.