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L’agricoltura al servizio della moda

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Un’altra moda, fatta di tessuti naturali e tinture green a base di prodotti e scarti agricoli, non è solo possibile, ma anche necessaria. Da qui la creazione del marchio Agritessuti, fondato da imprenditrici e donne dell’agricoltura.
L’agricoltura al servizio della moda
Nei giorni più duri dell’emergenza legata al Coronavirus, sono stati tanti gli slogan sotto forma di #hashtag che hanno girato dentro e fuori la rete. Il motto #noinonciscoraggiamo lo hanno adottato le Donne in Campo – Cia, l’associazione italiana di imprenditrici e donne dell’agricoltura, che ha cercato di affrontare il momento durissimo diffondendo un messaggio di forza e speranza, insieme all’iniziativa di consegna di cibo fresco su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione ai più fragili e a rischio come gli anziani, rafforzando così un legame importante tra i produttori agricoli e le famiglie italiane.
Ma non va dimenticato che l’associazione, oltre a rappresentare le «donne in campo» di tutta Italia, ha recentemente registrato Agritessuti, il marchio di filiera che certifica la produzione di tessuti ottenuti da fonti naturali o di recupero e di filati da tessitura artigianale tinti con colori ricavati da fiori, frutta, bacche e scarti alimentari, venduti in confezioni ecocompatibili.
Agritessuti riunisce e sponsorizza produttori tessili ed eco-designer che con questi materiali realizzano capi e accessori sostenibili, dimostrando così che un’altra moda è possibile. Eccone alcuni con le loro storie di resilienza e coraggio.

Sulla via della seta calabrese cruelty-free

«Non vogliamo più vivere dove non si vede il cielo». Avendo aperto questo articolo parlando di slogan, questo è quello di Nido di Seta, cooperativa fondata nel 2014 a San Floro, in provincia di Catanzaro, da tre giovani calabresi che proprio non ne volevano sapere di abbandonare la loro bella regione. Sì, magari l’hanno lasciata per un po’, per gli studi e altre esperienze formative, ma poi sono tornati e ora si occupano di gelsibachicoltura, ovvero di allevamento di bachi da seta connesso alla coltivazione dei gelsi.
Da alcune fonti, consultabili presso l’archivio di Stato di Catanzaro, risulta che le famiglie contadine di San Floro allevassero milioni di bachi da seta, di razza indigena, producendo circa 1400 chili di bozzoli. Così, Domenico Vivino, fondatore della cooperativa, e le due socie Giovanna Bagnato e Miriam Pugliese hanno ripreso la tradizione facendosi svelare le antiche tecniche di gelsibachicoltura dagli anziani del paese, tra cui il rapporto strettissimo che c’è tra gelsi e bachi.
«I bachi mangiano solo le foglie di gelso, spiega Domenico, e questo è un rapporto che nei secoli non è mai cambiato». Una volta nutritisi a sufficienza, costruiscono con la propria bava il famoso bozzolo da cui poi si ottiene la seta; ogni bozzolo corrisponde a un filo di seta che va dai 900 ai 2 mila metri, che viene poi unito agli altri in base allo spessore del filato che si vuole ottenere. Anche la fase della tessitura rispecchia la tradizione artigiana, con la lavorazione su antichi telai e la tintura naturale tramite frutti e vegetali, come la mora di gelso, la cipolla di Tropea, il papavero, il mallo di noce1. Ci teniamo a sottolineare che negli ultimi anni Nido di Seta ha puntato molto sulla lavorazione serica cruelty-free, da cui si ottiene la «seta non violenta», che consiste nell’utilizzo del bozzolo bucato dalla larva già trasformatasi in falena.

La storia dell’alpaca umbra

È un’altra bella storia di coraggio e resistenza quella di Gianni Berna, economista, che dal 1970 e per vent’anni si è occupato di progetti di sviluppo rurale in alcune aree depresse dell’Africa; lui, da Roma, sua città natale, si è trasferito a Umbertide, in provincia di Perugia, terra d’origine dei suoi genitori, e da un podere abbandonato ha creato l’azienda agricola Maridiana, un agriturismo e successivamente allevamento di alpaca e capre d’angora per la produzione di fibre pregiate, avviata dopo una visita a realtà simili in Inghilterra.

Era il 1997 e si trattava del primo esempio in Italia, tanto che il progetto fu seguito anche dalla Facoltà di veterinaria di Perugia, cui si sono aggiunte le collaborazioni dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia
e lo sviluppo economico sostenibile) e dell’Università di Camerino. La fibra, una volta tosata con metodo dolce e nonviolento per non recare danno agli animali, viene selezionata in base al colore naturale degli stessi (bianco, marrone, grigio o nero) e alla qualità data dalla finezza, ovvero dal suo diametro medio. Viene poi lavata presso opifici industriali, senza però l’utilizzo di acidi, e portata successivamente alla filatura, dove non viene mischiata alle fibre sintetiche, come avviene di solito nei prodotti commerciali per rendere più resistenti le fibre e ridurre i costi del prodotto finale. Le fibre di maggiore finezza e lunghezza vengono filate al 100% con alpaca attraverso il processo della pettinatura, mentre quelle di seconda qualità, cioè più corte e di minore finezza, vengono mischiate con lana (dal 20% al 40%) e filate con il metodo della cardatura. Alla fine del processo, Maridiana ritira il filato sotto forma di rocche o gomitoli che, portati poi ad artigiani o piccole aziende del territorio umbro, vengono lavorati a mano, a telaio meccanico o manuale, o con le moderne macchine elettroniche per produrre pullover, sciarpe, guanti, cappelli, coperte e plaid. Ecco creata una filiera completa del tessile naturale: allevamento, tosatura, cardatura, filatura e confezionamento.

La couture botanica di Eleonora Riccio

Legate ad Agritessuti non ci sono solo produzioni tessili, ma anche creazioni di eco-designer come Eleonora Riccio, stilista appassionata di botanica, che realizza capi di abbigliamento etici e sartoriali utilizzando filati certificati, tingendoli poi con i pigmenti che ricava lei stessa dalla cottura di fiori, piante, bacche e radici. È un po’ anche alchimista Eleonora, tanto che nel suo showroom nel quartiere romano di Monteverde, convivono abiti e pentoloni.
Mamma sarta per Capucci, dopo una tesi sui pigmenti naturali nella moda e nell’arte presentata all’Accademia di costume e moda di Roma e dopo varie esperienze nel settore, la designer ha fondato il proprio marchio con in mente l’amore per la natura e la botanica, per una moda fatta a mano che coinvolge varie sartorie e laboratori di ricamo romani. Corsi ad hoc, ma anche tanta inventiva e desiderio di sperimentare, hanno permesso a Eleonora di applicare la tecnica dell’eco-printing ai tessuti, tutti biologici e certificati, trasferendo forme e colori della natura sulle sue creazioni. Dal carciofo alla curcuma, dall’avocado ai fagioli neri, alla mimosa e alle bucce di melagrana, Eleonora ha provato un po’ di tutto, reperendo i prodotti dai banchi dei mercati rionali ma anche dal fioraio e dal bar sotto casa.
Il saper coniugare la moda con il territorio le ha permesso di avviare una collaborazione con Donne in Campo – Cia, grazie a cui è entrata in contatto con le molte aziende agricole associate all’ente, dove ha reperito scarti di potature, ortaggi e frutta per le sue colorazioni. E sempre tramite l’associazione, la designer ha presentato le sue opere durante l’evento organizzato a Roma a settembre scorso, Paesaggi da indossare. Le Donne in Campo coltivano la moda, dedicato al connubio tra agricoltura e abbigliamento sostenibile.

Un’opportunità per cambiare

Agritessuti, grazie anche al lavoro, tra gli altri, di Eleonora Riccio, dei ragazzi di Nido di Seta e di Maridiana, vuole dimostrare che è possibile costruire una filiera legata a tradizione tessile, agricoltura e produzione di fibre naturali, che può e deve rappresentare un sistema alternativo, a minore impatto ambientale, anzi efficace per ridurre l’inquinamento e aumentare il riciclo delle risorse.
Ora più che mai, in un momento di profonda crisi scaturita dall’emergenza sanitaria dei mesi scorsi, è importante essere promotori di un cambiamento, dentro e fuori di noi, trovando un nuovo modo di vivere e produrre nel rispetto di noi stessi e del Pianeta.

Note

1. Abbiamo dedicato un articolo alle tecniche di tintura naturali dal titolo La tintura naturale sposa la produzione industriale nel numero di Terra Nuova di luglio-agosto del 2019, a pag. 70.

PER SAPERNE DI PIÙ

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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Maggio 2020

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