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Cos’è la sciamatura?

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La sciamatura è un fenomeno naturale; è l’atto riproduttivo dell’organismo alveare. L’alveare, sciamando, crea un altro individuo della medesima specie, ossia crea un “figlio”. La vecchia regina abbandona l’alveare madre assieme a un notevole numero di api, che portano nel proprio corpo il quantitativo di miele necessario a sostenere il processo.
Cos’è la sciamatura?
La sciamatura è l’atto riproduttivo dell’organismo alveare. La vecchia regina abbandona l’alveare madre assieme a un notevole numero di api, che portano nel proprio corpo il quantitativo di miele necessario a sostenere il processo. La scorta di miele dello sciame fornisce l’energia iniziale per sviluppare un nuovo organismo e costruire velocemente i favi, dando la possibilità alla vecchia regina già feconda di deporre le uova il prima possibile. Dalle uova nasceranno nuove api operaie, ossia forza lavoro.
In questa fase delicata in cui lo sciame è molto potente e ha una velocità di costruzione elevata vengono gettate le basi dello scheletro che sorreggerà il giovane organismo alveare. Potrebbe sembrare una contraddizione che la nascita di un nuovo organismo dipenda dalla presenza della vecchia regina. Il punto è che solo lei è in grado di iniziare subito a deporre le uova e quando la mente ape riterrà opportuno verrà sostituita da una nuova regina.
Si potrebbe pensare a un possibile indebolimento dell’organismo alveare da cui lo sciame si è formato poiché è stato privato di una grande quantità di miele e api operaie, ma la natura ha previsto tutto il necessario per evitare tale inconveniente. Nulla è lasciato al caso. Nell’organismo alveare che ha ceduto la vecchia regina è presente una giovanissima regina vergine, che effettuerà il volo di accoppiamento, o volo nuziale, prima di iniziare a deporre le uova. In questo lasso di tempo la covata fresca deposta dalla vecchia regina garantisce un ricambio di forza lavoro con la nascita di nuove api evitando così ogni possibile scompenso.
Lo sciame che si è formato porta con sé un grande quantitativo di miele, ma in cambio lascia polline e covata. L’alveare madre può continuare il suo percorso e tecnicamente ringiovanisce, perché ora possiede una regina giovane. Grazie alla sciamatura avviene un rinnovo di api, favi e regine.
L’atto di sciamatura appena descritto corrisponde al normale comportamento riproduttivo delle api, ma esistono anche sciami secondari e terziari con la presenza di regine giovani.
Molti apicoltori non riescono a rinunciare al controllo della sciamatura. Con l’arnia in permapicoltura, data la presenza della griglia top bar fissa, o includi-regina, non è possibile ispezionare i favi, né interscambiare i telaini per individuare le celle reali e bloccare la sciamatura naturale.
Effettivamente nell’anno della sciamatura c’è un calo di unità nell’organismo alveare madre e un forte consumo di miele, e di conseguenza la produzione inevitabilmente cala. Nonostante ciò gli apicoltori, invece di preoccuparsene, potrebbero gioire di un evento come la sciamatura, che è la massima manifestazione vitale dell’organismo alveare.
Da qualche anno invece, la sciamatura viene temuta ed evitata, come se si trattasse di una calamità.
In condizioni naturali la sciamatura avviene ogni due o tre anni, mentre la regina completa il suo ciclo vitale nell’arco di quattro o cinque anni ed è al massimo della sua vitalità nel secondo e nel terzo. Con l’approccio in permapicoltura, che prevede l’utilizzo di arnie più grandi e una modalità di gestione completamente differente, il ciclo di sciamatura tende ad avvicinarsi moltissimo a quello naturale.
Se le api sciamano vuol dire che dal loro insediamento sono passati almeno due o tre anni in cui non hanno subito alcun tipo di intervento o trattamento.
Permettendo la sciamatura si ha l’opportunità di raccogliere un nuovo sciame, ingrandire l’apiario e contribuire al processo di selezione naturale: le api sono riuscite a riprodursi arricchendo il loro patrimonio genetico.
Le api sciamano quando sono al massimo della salute e del vigore. Di solito lo sciame appena formato si raggruppa molto vicino all’alveare d’origine e può restare lì anche tre o quattro giorni, mentre le api esploratrici cercano nelle vicinanze cavità idonee alla nidificazione. Ciò permette all’apicoltore di prelevare lo sciame e introdurlo in un’arnia da allevamento, offrendo per così dire un’abitazione preconfezionata “sicura” al nuovo organismo alveare.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un’operazione semplice e veloce: basta scuotere lo sciame, di solito appeso ai rami di un albero, e farlo entrare nell’arnia. A quel punto le api, che sono alla ricerca di una nuova abitazione, si ritrovano di colpo in una cavità che nella maggior parte dei casi accettano di buon grado.
Non sempre l’apicoltore riesce a gestire i nuovi sciami, che se liberi di agire trovano da sé una struttura adatta. Istintivamente lo sciame tende a sviluppare il nido – fenomeno da un confondere con la sciamatura – ad almeno 2-3 km dall’alveare madre, per diffondere la stirpe il più lontano possibile. Ciò rientra nella normale dinamica naturale ed è anche una misura igienica: il nuovo organismo alveare si lascia alle spalle la maggior parte dei parassiti dell’alveare madre, come la varroa, e risulta più resistente agli agenti patogeni.

Sciami artificiali

Molti apicoltori procedono con la formazione di sciami artificiali – o nuclei d’ape – dato che, finora, grazie a questo intervento l’allevamento è divenuto più redditizio e praticabile. In questo caso è l’apicoltore che si occupa di cambiare la regina e gestire l’intera struttura dell’organismo alveare, evitando tra l’altro di rincorrere gli sciami spontanei. A metà primavera, l’inizio del periodo di sciamatura, gli alveari diventano molto popolosi, ma un’arnia difficilmente riesce a contenere decine di migliaia di api. È il momento più delicato, in cui l’apicoltore cerca di bloccarli e portarli a produzione invece di sciamare naturalmente.
Delle diverse tecniche utilizzate a tale scopo la meglio conosciuta e da maggior tempo praticata consiste nell’eliminare periodicamente le celle reali, da dove nascerebbero le nuove regine, per inibire la sciamatura. Tale manovra richiede tempo, una certa esperienza e l’ispezione metodica delle arnie. Altrimenti si formano sciami artificiali.
L’approccio convenzionale giustifica un tale intervento con le seguenti motivazioni:
• rinnovare gli alveari;
• integrare le perdite di unità dovute a malattie;
• rafforzare gli alveari deboli all’inizio della stagione calda e permettere un abbondante raccolto primaverile;
• ridurre la sciamatura naturale in alveari sovrappopolati, prelevando api e covata;
• poter applicare metodi di controllo biotecnico contro la varroa.
In ogni caso l’intento principale della formazione di sciami artificiali resta l’incremento della produzione. La maggior parte dei manuali raccomanda di partire da due o tre telaini contenenti rispettivamente covata fresca, covata opercolata, scorte di miele, e un telaino con una cella reale sufficientemente matura da garantire la schiusa e, quindi, la nascita di una regina; in alternativa si può optare per l’introduzione di una regina già fecondata.
Ogni apicoltore nel tempo ha sviluppato una propria procedura, in ogni caso si tratta di assemblare telaini provenienti da arnie diverse per creare artificialmente uno sciame. Questa pratica limita il normale sviluppo delle api e crea generazioni di alveari sempre più deboli, paragonabili in un certo senso a mostri Frankenstein. Se consideriamo l’alveare come un unico organismo, la formazione di sciami artificiali non si discosta infatti molto dalla creazione di un essere umano ottenuto assemblando parti di diversi individui.
Come nel caso di Frankenstein, otteniamo un essere privo della funzionalità e unità fisica e mentale originaria. Provate a immaginare cosa succederebbe se si iniziasse a riempire il pianeta di Frankenstein: gli esseri umani si indebolirebbero.
In un primo momento potrebbe sembrare di ottenere buoni risultati con un simile esperimento, visto che si selezionano le parti più forti, ma con il tempo senza dubbio emergerebbero limiti e problematiche.
Potrebbe sembrare un paragone fuori luogo e un tantino esagerato, eppure è molto vicino a quanto accade oggi con l’apicoltura convenzionale. Frankenstein non è capace di sopravvivere in modo autonomo, esattamente come le api oggi. Con la creazione artificiale di nuovi organismi alveare si pretende di promuovere l’apicoltura del futuro. Ma ci rendiamo conto di quello che stiamo facendo? È utile essere ben consapevoli delle proprie azioni.
L’impiego di sciami artificiali non rientra né nella pratica della permapicoltura né tanto meno, da un punto di vista tecnico, in un approccio con arnie Warré o KTBH. Eppure anche in quest’ultimi casi gli apicoltori tendono a optare per gli sciami artificiali. Molto probabilmente per ciò non si ottengono sempre i risultati sperati.
Questi sciami non hanno la forza e l’istinto di quelli naturali. Solo la mente ape garantisce il giusto equilibrio nella composizione del nuovo organismo, ovvero il giusto numero di api operaie deputate alle diverse mansioni, aspetto fondamentale per la formazione e lo sviluppo del giovane organismo alveare e perché esso sia sano, capace di evolversi e attuare le proprie strategie di sopravvivenza.

Sciamature naturali

In permapicoltura la scelta dello sciame è fondamentale.
Le api sciamano in primavera o all’inizio dell’estate quando sono all’apice dello sviluppo e la sciamatura, come abbiamo già detto, è l’atto riproduttivo di un organismo alveare sano e forte. Non a caso chi adotta un approccio più naturale e rispettoso sceglie di lavorare unicamente con sciami naturali. Per sciame naturale, o nudo in quanto privo di telaini, si intende un gruppo di api che ha appena sciamato e si trova
nelle vicinanze dell’alveare da cui si è formato.
Nel panorama italiano Michele Campero, pur seguendo un approccio convenzionale, propone la sciamicoltura, pratica apistica che prevede la possibilità di controllare, guidare e “sfruttare” la sciamatura naturale nel rispetto della riproduzione naturale dell’alveare.
Campero è convinto che una sciamatura naturale senza restrizioni sia indispensabile alla conservazione della specie.
Nel suo libro I mille segreti dell’alveare si trovano considerazioni estremamente interessanti:
• Con la sciamatura si verificano rinnovo di api, favi, regine e a volte anche arnie o abitacoli.
Tutto ciò contribuisce a rinvigorire gli alveari e a mantenere il loro buono stato di salute.
• Durante il periodo di sciamatura avvengono pause di ovodeposizione, le quali causano un valido freno al proliferare della varroasi.
• Gli sciami naturali evidenziano uno stupendo “ardore” al lavoro, incredibilmente superiore a quello degli sciami artificiali.
• La sciamatura naturale facilita l’attuazione della selezione massale da parte dell’apicoltore, poiché offre l’opportunità di formare, con estrema facilità e comodità, molti nuclei utilizzando celle reali naturali, dalle quali si ottengono regine che risultano poco soggette alle molteplici malattie e di conseguenza producono api robuste e sempre più acclimatate.
• La sciamatura è un fenomeno naturale; è la vera riproduzione dell’organismo alveare. L’alveare, sciamando, crea un altro individuo della medesima specie, ossia crea un figlio. Il periodo in cui l’alveare prepara la sciamatura, ossia il tempo dedicato all’allevamento di celle reali a scopo di sciamatura, è da paragonarsi alla gravidanza di un mammifero; di conseguenza l’uscita di uno sciame va vista come un parto.
Pertanto, soffocare o disturbare l’istinto riproduttivo di questo essere vivente significa procurargli un trauma, un malcontento che si ripercuote negativamente sul suo “spirito” (sulla sua “psiche”) e di conseguenza sul suo comportamento.
• La sciamatura naturale, considerata come elemento base della sciamicoltura, offre all’apicoltore la possibilità di realizzare un’apicoltura di tipo autosufficiente, pertanto non gli sarà necessario allevare api “forestiere”. Non avrà bisogno di comperare né regine né nuclei, poiché potrà ottenerli dal proprio apiario con relativa facilità, e per giunta con buone prospettive di buona qualità…
Questi passaggi di Campero sottolineano quanto sia importante valorizzare e assecondare l’istinto riproduttivo degli alveari così come previsto dalla natura, per un allevamento in grado di far fronte alla varroa o all’arrivo di Aethina tumida e Vespa velutina. Nell’arnia in permapicoltura si introduce uno sciame nudo, l’unico ad avere la capacità di sopravvivere e prosperare in uno spazio più grande a condizioni più naturali.
L’arnia top bar e l’arnia in permapicoltura non utilizzano telaini e cercano di imitare quello che il giovane organismo alveare naturalmente farebbe per svilupparsi e difendersi. La permapicoltura mira a creare condizioni adatte a un allevamento attento allo sviluppo ottimale.
Le osservazioni di Tautz sulla fecondazione della regina sembrano confermare la validità di un approccio naturale per contrastare l’indebolimento della specie. Secondo Tautz dopo il volo nuziale, in cui la regina si accoppia con 10-15 fuchi e accumula lo sperma nella sua spermateca, la percentuale di ritorno all’alveare e il buon esito della fecondazione risulta pari a circa il 60-70% in caso di api regine provenienti da nuclei d’ape di dimensioni inferiori a quelle di un arnia convenzionale.
Le api regine vengono allevate in “mini colonie” create artificialmente dall’apicoltore, composte da alcune centinaia di operaie sistemate in una piccola scatola collocata nei pressi di grandi alveari contenenti molti fuchi.
“È interessante notare” scrive Tautz “che raramente durante un accoppiamento locale la regina scompare: praticamente ogni regina ritorna all’alveare dal volo nuziale sana e salva, e fecondata. Invece, quando si utilizzano regine provenienti da un’area diversa e che partono da una mini colonia, una regina su tre viene persa…
Quanto più elevato è il numero di operaie che popolano l’area di accoppiamento, maggiore risulta essere la protezione offerta da questo effetto, una possibilità supportata dall’osservazione che tutte le regine delle grandi colonie solitamente fanno ritorno dal loro viaggio nuziale, mentre nelle piccole colonie solo due su tre tornano a casa… La possibilità che siano le operaie a scegliere quali fuchi debbano accoppiarsi con la propria regina solleva alcuni interessanti dubbi, che potrebbero essere oggetto di future ricerche”.
Queste osservazioni evidenziano fino a che punto le regine prodotte in condizioni artificiali possano presentare una potenzialità ridotta. Simili regine da anni vengono usate in tutto il mondo da apicoltori impegnati anche nella lotta alla varroa.
Come Padre Adam ha scritto (da Apicoltura all’abbazia di Buckfast): “Non può esserci dubbio che è l’impulso alla sciamatura che fornisce le regine meglio nutrite e meglio sviluppate, perché quando una famiglia si prepara a sciamare ha raggiunto una condizione ottimale del suo sviluppo organico, e l’opulenza in ogni direzione. In verità, la sciamatura è una manifestazione di una famiglia che ha raggiunto il massimo dell’abbondanza.
In tali circostanze si vengono a creare le condizioni ideali per allevare le regine dal punto di vista fisico migliori”.

Sciami secondari e terziari

In caso di sciame primario è la vecchia regina già fecondata ad abbandonare l’alveare, mentre in caso di sciami secondari o terziari la regina è vergine e si accoppia durante il volo nuziale.
Gli sciami primari, di peso non inferiore a 1,5 kg, rientrano nel normale ciclo riproduttivo delle api e ben si adattano all’arnia in permapicoltura.
Si possono ottenere buoni risultati anche con gli sciami secondari, se raccolti non oltre il mese di giugno e se abbastanza grandi.
La sopravvivenza di uno sciame dipende infatti dalla sua dimensione e dal periodo in cui si genera.
Gli sciami secondari o terziari di piccole dimensioni hanno scarse probabilità di farcela. I piccoli sciami che si formano a luglio o agosto, partenza e in quel periodo dell’anno non trovano abbastanza nettare e polline per coprire il loro fabbisogno. Dipendenti dall’intervento umano, questi sciami non sono adatti per un approccio che punta alla selezione naturale.
Non è raro ora che un alveare sciami anche due o tre volte nello stesso anno, dando vita a sciami piccoli e deboli, come se le api fossero impazzite e si riproducessero per disperazione.
È un fenomeno anomalo, considerato che la sciamatura dovrebbe garantire un miglioramento genetico e non una regressione. Come mai allora accade? Probabilmente dipende da vari fattori, primo tra tutti l’eccessiva infestazione da varroa.
Negli ultimi anni molti alveari producono piccoli sciami o abbandonano l’alveare per liberarsi del parassita. Forse le arnie convenzionali sono piccole o poco arieggiate, e spingono le api a sciamare maggiormente.
Le arnie usate di solito oggi non sono così diverse da quelle usate venti o trent’anni fa, tuttavia è notevolmente aumentato lo stress legato alla quantità di interventi. Le tecniche sempre più invasive, l’uso sconsiderato di sciroppi di zucchero, che illude la mente ape sulla presenza di un pascolo abbondante, e la pratica di stringere i telaini per far andare le api sui melari hanno modificato molto le condizioni di vita dell’organismo alveare.
Le anomalie che si osservano nel ciclo naturale di sciamatura dipendono in parte dalla presenza di varroa e in parte dal tipo di allevamento sempre più lontano dalle condizioni di vita naturale delle api.
Il professor Thomas Seeley dell’Università di Ithaca negli Usa studiando le api selvatiche della foresta di Arnot, caratterizzate dalla particolarità di vivere in cavità naturali molto piccole rispetto alle arnie convenzionali, ha constatato che sono resistenti alla varroa. Mettendo insieme questi due elementi, alcuni apicoltori hanno dedotto che l’impulso a vivere in spazi piccoli sia una strategia contro la varroa sviluppata dalle api, per ripulirsi grazie a sciamature più frequenti.
In realtà, Seeley nelle sue ricerche si limita riportare dati empirici riguardanti un determinato territorio e non fa riferimento a una specifica tendenza alla sciamatura sviluppata di recente.
Le api da lui osservate nella foresta di Arnot vivono da tempo in quelle condizioni.
La teoria secondo cui le api, in pochi anni avrebbero sviluppato una tendenza a vivere in spazi piccoli e sciamare più frequentemente per “scappare dalla varroa” non ha fondamento. Le misure adottate dalle api per fronteggiare il parassita fanno parte del loro programma genetico di sopravvivenza. Anche la sciamatura improvvisa rientra in questa predisposizione genetica, e avviene infatti a volte allo stato naturale, ma solo in casi eccezionali come rottura dei favi, infiltrazioni d’acqua e deterioramento del nido. Pensare che le api scelgano di vivere in spazi più piccoli, in modo da essere costrette a sciamare più frequentemente e ripulirsi dalla varroa, o che l’organismo alveare abbandoni di continuo il suo corpo invece di attuare tecniche di difesa efficaci e istintive probabilmente è errato. Non sembra si tratti di un processo evolutivo mentre, come ogni essere vivente, questo insetto evolve istintivamente verso un miglioramento della specie.

Le informazioni sono tratte dal libro La rivoluzione dell’alveare

Il libro che avete tra le mani non è l’ennesimo manuale di apicoltura, né tanto meno un trattato animalista. È più semplicemente la testimonianza di un grande amore per le api e la presentazione di un nuovo approccio all’apicoltura, un approccio profondamente ecologico e rispettoso dell’organismo alveare.
Negli ultimi anni, a causa delle continue morie di api, dei cambiamenti climatici in corso e dei numerosi trattamenti contro i parassiti vecchi e nuovi, il lavoro dell’apicoltore è diventato difficile e poco remunerativo.
La proposta provocatoria e rivoluzionaria di Mauro Grasso parte da un principio semplicissimo: proviamo a mettere le mani nell’arnia il meno possibile e lasciamo fare alle api. Ispirandosi al metodo ideato da Oscar Perone, ideatore della permapicoltura, l’autore suggerisce una pratica apistica a basso impatto ambientale, basata su un nuovo modello di arnia in grado di soddisfare a pieno le esigenze etologiche dell’organismo alveare, in modo da offrire alle api le condizioni migliori per sviluppare strategie per sopravvivere ai nuovi parassiti e a un ambiente sempre più contaminato.
Questo libro è una sfida e insieme un invito, rivolto a tutti gli apicoltori, professionisti o alle prime armi, a mettersi in gioco per trovare insieme nuove strade.

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